Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29886 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 29886 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24107/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALEBANK RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1619/2016, depositata il 21 marzo 2016.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del l’11 febbraio 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito l’ AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
–RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento col quale la Direzione regionale della Lombardia dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2007 aveva incrementato di euro 290.388 il valore della produzione industriale rilevante ai fini IRAP e di euro 178.427,68 il volume di affari da assoggettare ad IVA, quantificando le correlative imposte e irrogando le sanzioni amministrative per infedeli dichiarazioni e mancata emissione di fatture. Con la rettifica IRAP erano stati ripresi a tassazione gli interessi passivi corrisposti al depositante COGNOME domiciliato in paese a fiscalità privilegiata perché la contribuente non aveva dimostrato la loro deducibilità con le forme previste dall’art. 110 del d.P.R. n. 597/1973. La rettifica dell ‘ IVA, invece, aveva per oggetto i compensi percepiti da RAGIONE_SOCIALE per prestazioni che l’ufficio aveva ritenuto di tipo pubblicitario e non di intermediazione assicurativa.
La Commissione tributaria provinciale di Milano, con sentenza n. 6978/41/14, depositata il 23 luglio 2014, annullava l’accertamento .
-Avverso tale sentenza proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la riforma.
Resisteva con proprie controdeduzioni la contribuente, proponendo altresì appello incidentale avverso le statuizioni a sé sfavorevoli della decisione di primo grado.
Con sentenza n. 1619/2016, depositata il 21 marzo 2016, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto parzialmente l’appello dell’ufficio e respinto quello incidentale della contribuente e, in riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la legittimità dell’accertamento limitatamente all’l VA, compensando tra le parti le spese.
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del comma 7 dell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’ U nione europea in relazione al n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e all’art. 62, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Secondo quanto prospettato, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata nella parte in cui ha confermato il secondo rilievo relativo all’assoggettamento ad IVA dei servizi resi da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE in quanto la Commissione tributaria regionale di Milano avrebbe erroneamente ritenuto che l’Amministrazione finanziaria non avesse l’obbligo di accordare il contraddittorio preventivo al contribuente e che la violazione di tale obbligo sia configurabile soltanto se sia provato un pregiudizio concreto al diritto di difesa.
1.1. -Il motivo è infondato.
La censura è infondata quanto alla dedotta violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, posto che non emerge (né è
dedotto) che non sia stato osservato il termine dilatorio di sessanta giorni contemplato da questa norma. Ad ogni modo, per i tributi ‘armonizzati’, in conformità al diritto dell’Unione europea, affinché il difetto di contraddittorio endoprocedimentale determini la nullità del provvedimento conclusivo del procedimento impositivo, non è sufficiente che, in giudizio, chi se ne dolga si limiti alla relativa formalistica eccezione, essendo, altresì, necessario che esso assolva l’onere di prospettare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (Cass. n. 37234/2022; Cass. n. 20436/2021; Cass. n. 14628/2020).
Nel caso di specie, la Corte ha escluso una violazione del diritto al contraddittorio preventivo, non avendo la contribuente provato i danni subiti in termini difensivi a causa del mancato riconoscimento di tale possibilità. Si tratta di un accertamento di fatto compiuto dalla Commissione tributaria regionale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, difettando peraltro di specificità i richiami al processo verbale di constatazione. La statuizione si rivela quindi coerente col diritto vivente, di recente ribadito da questa Corte, in base al quale, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali c.d. “a tavolino”, nella disciplina applicabile prima dell’entrata in vigore dell’art. 6-bis della l. n. 212 del 2000 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 219 del 2023, a sua volta richiamato e interpretato ex artt. 7 e 7-bis del d.l. n. 39 del 2024, convertito con modd. dalla l. n. 67 del 2024), l’obbligo di
contraddittorio endoprocedimentale vige, quanto ai tributi cd. non armonizzati, solo se espressamente previsto, mentre ha valenza generalizzata per soli tributi cd. armonizzati, comportando la relativa violazione l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli elementi in fatto che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. n. 21271/25).
2. -Con il secondo motivo si prospetta la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale relativo al legittimo affidamento in violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione al n. 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e all’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1942, n. 546. Secondo quanto prospettato, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata in quanto avrebbe omesso di pronunciarsi sul motivo di appello incidentale con cui RAGIONE_SOCIALE ha eccepito l’illegittimità del secondo rilievo dell’avviso di accertamento oggetto del presente giudizio per violazione del principio del legittimo affidamento sancito dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente.
2.1. -Il motivo è infondato.
Benché manchi un espressa statuizione, la censura non merita accoglimento.
In tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria – le cui forme e modalità sono disciplinate dall’art. 2quater, comma 1, del d.l. n. 564 del 1994, conv. con modif. dalla l. n. 656 del 1994, e dal successivo d.m. n. 37 del 1997, nonché, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10quater e 10-
quinquies, della l. n. 212 del 2000 – trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, qualora non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa (Cass., Sez. Un., n. 30051/2024).
Pertanto, in caso di adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato (autotutela tributaria sostitutiva in malam partem ), il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato, ovvero dall’errata valutazione RAGIONE_SOCIALE circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva in forza degli artt. 2 e 53 Cost.; può, per contro, assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo quando le somme pretese sono state compiutamente versate e ricorrono ragioni di certezza e stabilità. L’orientamento è in RAGIONE_SOCIALEa col diritto unionale posto che, anche di recente, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che ‘ per quanto riguarda il principio della tutela del legittimo affidamento, occorre rilevare che, prima della scadenza del termine di prescrizione, un debitore deve, in quanto operatore economico, accettare il rischio che le autorità doganali rivedano la decisione relativa all’obbligazione dog anale tenendo conto dei nuovi elementi di cui dispongono ‘ (Corte giust. 30
aprile 2025, causa C-330/24, RAGIONE_SOCIALE, punto 31, che ribadisce e richiama Corte giust. 10 dicembre 2015, causa C-427/14, RAGIONE_SOCIALE , punti 41 e 42).
Nel caso in esame, la contribuente poggia la sua censura sulle risultanze del processo verbale di constatazione, che costituisce chiaramente un minus rispetto all’atto poi corretto in malam partem in sede di autotutela; sicché il principio affermato dalle Sezioni Unite è a maggior ragione applicabile. D’altronde, anche da ultimo la giurisprudenza della Corte di giustizia ha stabilito che « Il principio di tutela del legittimo affidamento deve essere interpretato nel senso che: non osta a che l’amministrazione tr ibutaria assoggetti a posteriori all’imposta sul valore aggiunto (IVA) talune prestazioni di servizi, nel caso in cui tale amministrazione abbia controllato e accettato per diversi anni le dichiarazioni IVA del soggetto passivo senza contestare la qualificazione di tali prestazioni come prestazioni esenti da IVA e non abbia informato tale soggetto passivo del cambiamento intervenuto nella normativa nazionale in vigore che, nella sua versione precedente, menzionava espressamente dette prestazioni tra le atti vità esenti dall’IVA. In tale contesto, è irrilevante il fatto che, a seguito di una domanda di parere presentata ai sensi della normativa nazionale in vigore, il soggetto passivo abbia ricevuto una risposta «ex post» e non vincolante da parte dell’amminis trazione tributaria secondo la quale le stesse prestazioni dovevano essere considerate come spese accessorie ad una cessione di beni esente soggetta allo stesso trattamento dell’operazione principale quanto al regime di esenzione dall’IVA » (Corte giust., 1 agosto 2025, Határ Diszkont Kft , causa C-427/23).
-Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dei n. 9) e 2) dell’art. 10, primo comma, del d.P.R . n. 633 e dell’art. 106 del d.lgs. 7 settembre 2005,
n. 209 nonché della lett. a) dell’art. 135, par. 1, della direttiva n. 2006/112/ce in relazione al n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e all’art. 62, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. La sentenza impugnata, secondo quanto prospettato, meriterebbe di essere annullata in quanto la Commissione tributaria regionale avrebbe erroneamente supposto che siano configurabili come servizi di intermediazione relativi a operazioni di assicurazione esclusivamente la proposta di specifici prodotti assicurativi e riassicurativi e la prestazione della relativa consulenza e assistenza.
3.1. -Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, i termini impiegati per designare le esenzioni contemplate dal paragrafo 1 dell’articolo 135 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto devono essere interpretati restrittivamente, dato che esse costituiscono RAGIONE_SOCIALE deroghe al principio generale secondo cui l’IVA viene riscossa su ciascuna prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo che agisca in quanto tale .
Ai sensi dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112, gli Stati membri esentano, da un lato, « le operazioni di assicurazione e di riassicurazione » e, dall’altro, « le prestazioni di servizi relative a dette operazioni, effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione ».
Per quanto riguarda, in primo luogo, le operazioni di assicurazione, esse sono caratterizzate, così come generalmente riconosciuto, dal fatto che l’assicuratore si impegna, a fronte del
previo versamento di un premio, a procurare all’assicurato, in caso di avveramento del rischio coperto, la prestazione convenuta all’atto della stipula del contratto. Esse implicano per natura l’esistenza di un rapporto contrattuale tra il prestatore del servizio assicurativo e il soggetto i cui rischi sono coperti dall’assicurazione, ossia l’assicurato ( Corte giust., 17 marzo 2016, Aspiro , causa C -40/15, punti 22 e 23).
Per quanto concerne le « prestazioni di servizi relative a (…) operazioni , effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione », come risulta dai termini stessi dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112, la loro esenzione è assoggettata al rispetto di due condizioni cumulative. Infatti, dette prestazioni devono essere « relative » ad operazioni di assicurazione ed essere « effettuate dai mediatori e dagli intermediari di assicurazione ».
Per quanto riguarda la prima di queste condizioni, la Corte di giustizia ha statuito che il termine « relative » è sufficientemente ampio per comprendere diverse prestazioni concorrenti alla realizzazione di operazioni di assicurazione e, segnatamente, la liquidazione dei sinistri, la quale costituisce una RAGIONE_SOCIALE parti essenziali di queste operazioni (Corte giust., 17 marzo 2016, Aspiro , causa C -40/15, punto 33). Pertanto, non è escluso che la concessione di una licenza che permette a un assicuratore di utilizzare un prodotto assicurativo concepito da un terzo e di concludere, su questa base, contratti di assicurazione possa costituire una prestazione relativa ad un’operazione di assicurazione.
Quanto alla seconda RAGIONE_SOCIALE suddette condizioni, al fine di stabilire se le prestazioni per le quali viene richiesta l’esenzione a titolo dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112 vengano effettuate da un mediatore assicurativo o da un
intermediario di assicurazione, occorre non già basarsi sulla veste formale del prestatore, bensì esaminare il contenuto stesso di queste prestazioni (Corte giust., 17 marzo 2016, Aspiro , causa C -40/15, punti 35 e 36).
Nell’ambito di tale esame, occorre verificare se siano soddisfatti due criteri.
In primo luogo, il prestatore deve essere in rapporto con l’assicuratore e con l’assicurato, là dove tale rapporto può essere soltanto indiretto qualora il prestatore sia un subappaltatore del mediatore o dell’intermediario.
In secondo luogo, la sua attività deve comprendere aspetti essenziali della funzione di intermediario di assicurazione, come la ricerca di potenziali clienti e la messa in relazione di questi ultimi con l’assicuratore, in vista della conclusione di contrat ti di assicurazione (in tal senso, Corte giust., 17 marzo 2016, Aspiro , causa C -40/15, punti 37 e 39).
Alla luce della giurisprudenza richiamata non sussiste pertanto alcun dubbio in merito all’interpretazione dell’articolo 135, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112 così come prospettato dalla ricorrente.
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale, in piena conformità all’interpretazione restrittiva data dalla Corte di giustizia, ha correttamente ritenuto irrilevante l’iscrizione della società nell’elenco degli intermediari assicurativi escludendo, alla luce RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie (comunicazione di un accordo di collaborazione con la RAGIONE_SOCIALE, attività pubblicitaria dei prodotti svolti dalla RAGIONE_SOCIALE tramite l’apposizione di un link sul proprio sito web; gestione dei flussi elettronici degli ordini di pagamento dei premi), che l’attività fosse diretta a presentare o proporre prodotti assicurativi o a fornire ai clienti consulenza e assistenza finalizzata a tale attività.
4. -Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e all’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. In subordine, nel caso in cui non venissero accolti i motivi precedenti, la contribuente chiede di annullare la sentenza impugnata in quanto la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di esaminare il fatto decisivo e oggetto di discussione fra le parti secondo cui RAGIONE_SOCIALE non si era limitata a promuovere il logo di RAGIONE_SOCIALE, ma aveva effettivamente proposto la sottoscrizione sul sito web ‘wwwfineco.it’ di polizze auto emesse da tale impresa di assicurazioni.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
La pattuizione intercorsa tra le parti e il suo contenuto sono stati esaminati dalla pronuncia (p. 4 e 5 della pronuncia) e sono stati oggetto di discussione, per cui non sussiste alcun omesso esame così come prospettato, risultando peraltro l’attività interpretativa del contratto riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici (Cass. n. 20294/2019).
5. -Con il quinto motivo si deduce, in subordine, la nullità della sentenza nella parte in cui ha rigettato la richiesta di disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative per l’apparenza della relativa motivazione in relazione al n. 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. e all’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Il giudice di appello avrebbe corredato la sentenza di una motivazione meramente apparente per il fatto che ha preteso di motivare il rigetto della richiesta di disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative sulla base dell’esame di disposizioni di legge e cioè quelle ‘che assoggettano ad Iva le prestazioni pubblicitarie’, diverse da quelle che RAGIONE_SOCIALE ha invocato a fondamento di tale richiesta e cioè le disposizioni dei
nn. 9) e 2) dell’art. 10 del d.P.R. n. 633 e della lett. a) dell’art. 135, par. 1, della direttiva n. 2006/112/CE di cui si era avvalsa per considerare esenti da IVA i servizi di intermediazione relativi ad operazioni di assicurazione resi a RAGIONE_SOCIALE.
5.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 4166/2024; Cass. n. 7090/2022).
Nel caso di specie, non sussiste alcuna lesione del minimo costituzionale, avendo la Commissione tributaria regionale escluso la richiesta di disapplicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni alla luce della normativa applicata, ritenendo quindi che non vi fossero le condizioni di obiettiva incertezza RAGIONE_SOCIALE disposizioni.
6. -Con il sesto motivo si prospetta, in subordine al motivo precedente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4 , e dell’art. 6, commi 1, 4 e 5 , del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, così come modificati dall’art. 15 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in relazione al n. 3 dell’art. 360, comma 1, c.p.c. e all’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. La società contribuente chiede di cassare la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE
norme richiamate, riducendo le sanzioni irrogate dall ‘Ufficio con l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO per IVA relativa al periodo d’imposta 2007 nella misura del 100 per cento della maggiore imposta accertata, quantomeno sino a concorrenza del 90 per cento della maggiore imposta accertata. La lett. e) del comma 1 dell’art. 15 del d.lgs. n. 158 ha ridotto la misura della sanzione irrogabile per la dichiarazione di un’imposta sul valore aggiunto inferiore a quella dovuta, di cui al comma 4 dell’art. 5 del d.lgs. n. 471, dal 100 per cento al 90 per cento con effetto dal 1° gennaio 2016. Allo stesso modo, la lett. f) del comma 1 dell’art. 15 del d.lgs. n. 158 ha ridotto la misura della sanzione irrogabile per la violazione degli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imp onibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui ai commi 1, 4 e 5 dell’art. 6 del d.lgs. n. 471, dal 100 per cento al 90 per cento con effetto dal 1° gennaio 2016.
6.1. -Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha evidenziato di aver già provveduto alla rideterminazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni nella misura del 90% dell’imposta dovuta attraverso l’invito di pagamento emesso ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. 546 del 1992, vigente ratione temporis , difettando sotto tale profilo un interesse specifico all’impugnazione ex art. 100 c.p.c.
Nella memoria, la difesa della società ha dato atto di quanto affermato dall’amministrazione che ha accolto in questo modo spontaneamente la domanda oggetto del presente motivo di ricorso.
La società ha chiesto l’applicazione del più favorevole ius superveniens di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 87/2024 che ha ridotto la misura della sanzione stabilita dal comma 4 dell’art. 5 e dal comma 1 dell’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 al 70% della maggiore imposta accertata. Tale norma, secondo quanto
prospettato, dovrebbe trovare applicazione anche a violazioni commesse prima della sua entrata in vigore, sulla base del principio del favor rei e di retroattività della lex mitior sancito dal comma 3 dell’art. 3 del d.lgs. n. 472/1997. Si è altresì evidenziata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024 che ha stabilito che ‘le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 e 4 si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024’, per violazione degli artt. 3 e 117 della Costituzione.
La richiesta di applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni nella misura più favorevole al contribuente, così come prevista dall’art. 2 d.lgs. n. 87 del 2024, non può trovare accoglimento, né sussistono le condizioni per rimettere la questione alla Corte costituzionale.
L’applicazione della sanzione più favorevole è preclusa da una espressa previsione normativa, e in particolar modo all’art. 5 del d.lgs. n. 87 del 2024, secondo cui la rivisitazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative in materia fiscale, complessivamente favorevole al contribuente, va applicata a partire dalle violazioni commesse dal 1° settembre 2024. La scelta del legislatore di derogare espressamente al generale principio di retroattività della legge più favorevole non appare in contrasto con i principi costituzionali, né con quelli di diritto dell’Unione europea (Cass. n. 1274/2025).
L’oggetto del contendere si inserisce nel quadro della ampia revisione dell’intero sistema sanzionatorio tributario, coinvolgendo in pratica l’intero impianto regolato dai d.lgs. n. 471 e 472 del 18 dicembre 1997. Tuttavia, proprio questo ampio ripensamento della disciplina, come di tutto il sistema tributario, secondo la delega apprestata dal legislatore con la l. n. 111 del 2023 dall’art. 20 quanto alle sanzioni, con i conseguenti principi e criteri direttivi, specie, per quanto qui di interesse, quelli elencati nelle lett. a (per gli aspetti comuni alle sanzioni amministrative e penali) e c, punti da
1 a 5 (per le sanzioni amministrative) – consente di leggere la deroga alla lex mitior disposta dal legislatore delegato in un quadro coerente con i principi costituzionali e sovranazionali.
Secondo quanto riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, poiché le sanzioni fiscali differiscono dal nocciolo duro del diritto penale, le garanzie dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e RAGIONE_SOCIALE libertà fondamentali non si applicano necessariamente con il loro pieno rigore (Corte europea dei diritti dell’uomo, 3 novembre 2022, RAGIONE_SOCIALE Belgio , n. 49812/09, § 76; 7 giugno 2012, Segame SA c. Francia , n. 4837/06, §§ 56-60; 23 novembre 2006, NOME c. Finlandia , n. 73053/01, § 43).
La riprova, in tema, è data dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, laddove la norma prevede che « Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile ». Si tratta di una regola che, pur prevedendo una deroga al principio della sopraggiunta non punibilità di una condotta, non è stata mai posta in discussione, tanto meno nel panorama dottrinale e giurisprudenziale se ne è denunciato il contrasto con i principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e RAGIONE_SOCIALE libertà fondamentali o con quelli della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Ebbene, è pur vero che il terzo comma del medesimo articolo, che disciplina l’applicazione della lex mitior , non prevede, al contrario, alcuna espressa deroga, limitandosi invece a disporre che « Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di
irrogazione sia divenuto definitivo », avendo dunque quale solo limite la definitività della sanzione applicata.
Ma, sebbene sia diffusa l’opinione che il silenzio normativo, a differenza della espressa previsione nel comma 2, escluda in radice eccezioni al principio del favor rei , non può ignorarsi che l’ipotesi trattata nel comma 2 è ben più radicale di quella disciplinata dal comma 3 (perché la prima ipotesi riguarda una fattispecie per la quale la legge successiva esclude del tutto il disvalore della condotta prima sanzionata, la seconda afferisce ad ipotesi per le quali la condotta resta invece sempre punibile, ma con una sanzione meno grave, così che il suo disvalore scema ma non scompare).
Può allora dedursi che l’esclusione assoluta della derogabilità della lex mitior incontra innanzitutto dei limiti proprio sul piano logico. Infatti, se è possibile che una sanzione continui ad essere applicata a fattispecie successivamente escluse dal regime sanzionatorio, non è dato comprendere perché ciò non possa parimenti accadere, ovviamente sempre in via di eccezione, per fattispecie ritenute con una legge successiva solo meno gravi. Ciò è quanto induce a considerare una interpretazione coerente con le fattispecie contemplate nel secondo e nel terzo comma dell’art. 3 cit., in un approccio ermeneutico che tenga conto di una lettura complessiva dei due commi, nei quali i principi della riserva di legge (comma 2) e quello della lex mitior (comma 3) non possono essere tenuti nettamente separati.
La conseguente considerazione è che le ragioni che sottendono la disciplina sanzionatoria apprestata in tema di obbligazioni tributarie, quando leggi successive escludano in radice il disvalore di una condotta, ma anche quando lo affievoliscano semplicemente, possono giustificare deroghe all’applicazione del principio del favor rei .
Queste considerazioni hanno una chiara copertura proprio in precedenti della Corte costituzionale.
Nella sentenza 16 aprile 2021, n. 68, la Corte Costituzionale, nell’esaminare la questione della legittimità della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida, quale sanzione accessoria alla condanna per il reato di omicidio colposo per violazione RAGIONE_SOCIALE regole sulla circolazione stradale, disposta con sentenza irrevocabile ai sensi dell’art. 222, comma 2, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (art. 30, quarto comma, della l. 11 marzo 1953, n. 8), richiamando altra sentenza della Corte (21 marzo 2019, n. 63) -che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui escludeva l’applicazione retroattiva RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dal comma 3 dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per gli illeciti di cui agli artt. 187-bis e 187-ter del d.lgs. n. 58 del 1998 – ha evidenziato che « la stessa Corte costituzionale ha equiparato le sanzioni amministrative di tipo afflittivo a quelle formalmente penali ai fini dell’applicazione del principio di retroattività della lex mitior : principio di minor forza rispetto a quello di legalità costituzionale. Nell’occasione, la Corte ha affermato che, laddove la sanzione amministrativa abbia natura punitiva, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicarla, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento: ciò, salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo vaglio positivo di ragionevolezza, alla cui stregua debbono essere in RAGIONE_SOCIALEa generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius».
Nella sentenza n. 63 del 2019, la Corte costituzionale, dopo essersi diffusa sulla copertura costituzionale della lex mitior in materia penale, da ricercarsi non già nell’art. 25 Cost. ma nell’art. 3 Cost., e averne perimetrato l’applicazione, esaminando il principio con riferimento alle sanzioni amministrative ‘punitive’, ossia sostanzialmente equiparabili alle sanzioni penali, avverte che « Se poi, ed eventualmente in che misura, il principio della retroattività della lex mitior sia applicabile anche alle sanzioni amministrative, è questione recentemente esaminata funditus dalla sentenza n. 193 del 2016. In quell’occasione, questa Corte ha rilevato come la giurisprudenza di Strasburgo non abbia ‘mai avuto ad oggetto il sistema RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipRAGIONE_SOCIALE sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche “punitive” alla luce dell’o rdinamento convenzionale’. In difetto, pertanto, di alcun ‘vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative’, la sentenza n. 193 del 2016 ha giudicato non fondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), del quale il giudice a quo sospettava il contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 7 CEDU, nella parte in cui non prevede una regola generale di applicazione della legge successiva più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi: regola generale la cui introduzione, secondo la valutazione di questa Corte, avrebbe finito ‘per disattendere la necessità della preventiva valutazione della singola sanzione
(qualificata “amministrativa” dal diritto interno) come “convenzionalmente penale”, alla luce dei cosiddetti criteri Engel’. Rispetto, però, a singole sanzioni amministrative che abbiano natura e finalità “punitiva”, il complesso dei principi enucleati dalla Corte di Strasburgo a proposito della “materia penale” – ivi compreso, dunque, il principio di retroattività della lex mitior , nei limiti appena precisati (supra, punto 6.1.) – non potrà che estendersi anche a tali sanzioni. . L’estensione del princ ipio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione “punitiva” è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali. Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo «vaglio positivo di ragionevolezza», al cui metro debbono essere in RAGIONE_SOCIALEa generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale » (Corte cost., sentenza n. 63 del 2019, punto 6.2).
Riguardo al diritto dell’Unione europea, a differenza della tutela del principio di legalità, che resta assoluto e mai recessivo, quanto al rispetto della lex mitior , la Corte di giustizia riconosce che il medesimo principio può risultare recessivo nella comparazione con altri interessi – di pari rango e che nel caso di specie si concretizza in quello di apprestare un efficace sistema sanzionatorio idoneo al contrasto a reati di frode grave ai danni degli interessi finanziari
dell’Unione europea -, con sue conseguenti deroghe (Corte giust., 24 luglio 2023, PPU -Lin , causa C-107/2023). Il principio, elaborato in tema di sanzioni penali, va applicato al sistema sanzionatorio amministrativo, pur quando equivalente a norma penale.
Nel caso di specie, l’irretroattività disposta dall’art. 5 del d.lgs. n. 87 del 2024 per le nuove sanzioni, complessivamente più favorevoli per il contribuente, si colloca in un contesto che accompagna la rimeditazione dell’intero sistema sanzionatorio, su l piano qualitativo come quantitativo. Al di là RAGIONE_SOCIALE ragioni esposte nella relazione illustrativa di accompagnamento, in ordine alla previsione dell’art. 5, non può negarsi che la ratio che giustifica la irretroattività RAGIONE_SOCIALE sanzioni più favorevoli è la emersione di diritti o finalità di pari o superiore livello alla garanzia sacrificata.
È sufficiente la lettura dell’art. 20 della legge delega, e degli ampi obiettivi che con essa sono stati assunti dal legislatore, per comprendere come la riforma non si limita a rideterminare le sanzioni in senso favorevole al contribuente, ma si accompagna a un ripensamento del ruolo stesso della sanzione, implementando un contesto di collaborazione tra Amministrazione e contribuente (art. 20, comma 1, lett. a, n. 4), prevedendo forme di compensazione tra sanzioni comminate e crediti maturati nei confronti RAGIONE_SOCIALE amministrazioni (art. 20, comma 1, lett. a, n. 2), oppure valorizzando la condotta successiva o pregressa del contribuente in uno spirito radicalmente rivoluzionato rispetto al passato, quanto meno in termini di obiettivi (art. 20, comma 1, lett. c, n. 2 e 3).
Un simile riassetto – che non risulta neppure del tutto compiuto, almeno quanto a riordino della disciplina, atteso che i vecchi decreti legislativi n. 471 e 472, le cui norme risultano modificate dal d.lgs. n. 87 del 2024, cesseranno di avere vigore il 1° gennaio 2026, perché abrogati dal d.lgs. 5 novembre 2024, n. 173, art. 102, con
l’introduzione di un testo unico in materia – giustifica la scelta del legislatore delegato.
Un intervento di tale portata, e la previsione di sanzioni più leggere, con conseguente riduzione di risorse già preventivate, al di là RAGIONE_SOCIALE esigenze di rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, ex art. 97 Cost., riversa direttamente i suoi effetti sul raggiungimento di prestazioni standard in materie di rango costituzionale altrettanto sensibili, quali le prestazioni sanitarie (art. 32 Cost.), scolastiche (art. 34 Cost.), di sicurezza pubblica, ecc.
È dunque agevole rilevare che una riforma del sistema tributario, nel quale la previsione di un minor carico sanzionatorio si relaziona a una modifica radicale del rapporto fisco/contribuente, giustifica una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dalla Costituzione. D’altronde, che la deroga sia ‘pensata’ con estrema ponderazione lo si rinviene nella constatazione che l’irretroattività non è coincidente con il momento di entrata in vigore della legge, ma con una data ulteriormente successiva, a comprova della necessità che anche l’attenuazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni necessita di un ‘tempo’ per l’attuazione dell’intero ripensamento dell’impianto sanzionatorio.
Ne discende anche che è parimenti priva di fondamento la denuncia di eccesso di delega del legislatore delegato, come pure prospettato dalla difesa della ricorrente, mancando una espressa previsione derogatoria della lex mitior nella legge delega.
Invece è proprio la complessa revisione della disciplina che in sé porta a reputare come il legislatore delegato, nella ponderazione complessiva dei valori e degli interessi di rilevanza costituzionale, abbia agito nel legittimo perimetro della delega conferita.
Sotto altro profilo va evidenziato che la Corte di giustizia ha ribadito come non esiste una tradizione costituzionale comune che possa fondare l’estensione del principio della lex mitior a sanzioni non aventi carattere penale (Corte giust. 1 agosto 2025, BAJI Trans , causa C -544/23, punti 75 ss.). Tale conclusione è corroborata dalla scelta degli autori della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea di limitare alle sole misure rientranti nell’ambito penale l’ambito di applicazione del principio d ella legge penale più favorevole, quale garantito dal suo articolo 49, paragrafo 1, ultima frase, nonché dal fatto che l’ambito di applicazione dell’articolo 7 della CEDU è parimenti limitato a queste sole misure.
L’obbligo di applicare, in forza dell’articolo 49, paragrafo 1, ultima frase, della Carta, una legge successiva alla commissione del reato è subordinato alla condizione che tale legge «preved l’applicazione di una pena più lieve».
L’applicazione di detta disposizione presuppone quindi una successione di regimi giuridici nel tempo e si fonda sulla constatazione che tale successione rifletta, nell’ambito dell’ordinamento giuridico di cui trattasi, un mutamento di posizione, favorevole all’autore del reato, o in merito alla qualificazione penale dei fatti che possono costituire reato oppure in merito alla pena da applicare a un simile reato (sentenza del 24 luglio 2023, Lin , C -107/23 PPU, punto 107 e giurisprudenza citata).
Peraltro, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha già dichiarato che l’articolo 7 della CEDU non garantisce l’applicazione retroattiva di una modifica della normativa favorevole all’autore dell’illecito qualora quest’ultimo si spieghi unicamente con un m utamento di circostanze di fatto, intervenuto dopo la commissione di tale illecito, e sia, pertanto, irrilevante ai fini dell’esame dell’illecito in quanto tale (Corte EDU, 18 ottobre 2022, COGNOME c. Danimarca , § 52).
La fattispecie da ultimo portata all’attenzione della Corte di giustizia si distingue peraltro nettamente dalla presente, registrando la Corte un ‘mutamento di posizione’ da parte del legislatore dell’Unione, attraverso l’adozione del regolamento 2020/1054 , prevedendo – nella specie – un’ulteriore ipotesi concessa agli Stati membri di introdurre deroghe all’obbligo di installare un tachigrafo a bordo di una determinata categoria di veicoli (a seguito di tale modifica, applicabile a decorrere dal 20 agosto 2020, l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 561/2006 menziona, alla lettera r), i «veicoli utilizzati per la consegna di calcestruzzo pronto per l’uso» tra i veicoli che possono essere oggetto di deroghe alle disposizioni degli articoli da 5 a 9 del regolamento n. 561/2006). Il legislatore nazionale slovacco aveva poi provveduto ad avvalersi della facoltà di esonerare le categorie di veicoli di cui all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 561/2006, come integrato dal regolamento 2020/1054, dall’obbligo di essere provvisti di tachigrafo, riflettendo un mutamento di posizione del legislatore nazionale quanto alla volontà di reprimere fatti come quelli contestati.
Di conseguenza, ciò che risulta modificata è in definitiva la fattispecie dell’illecito e i suoi elementi costitutivi. Secondo la giurisprudenza della corte di giustizia, l’articolo 49, paragrafo 1, ultima frase, della Carta deve essere interpretato nel senso che esso può applicarsi a una sanzione amministrativa, di natura penale, inflitta sulla base di una norma che, successivamente all’adozione di tale sanzione, è stata modificata in modo più favorevole alla persona sanzionata, purché tale modifica rifletta un mutamento di posizione sulla qualificazione penale dei fatti commessi da tale persona o sulla pena da applicare.
La modifica che ha interessato il contenzioso davanti alla Corte di giustizia nella pronuncia del 1 agosto 2025, BAJI Trans , causa
C -544/23 si distingue così dai casi in cui, in precedenza, la Corte ha avuto occasione di considerare, in sostanza, che una modifica della normativa applicabile, benché favorevole all ‘ imputato o al condannato, non poteva rientrare nell ‘ ambito di applicazione del principio della lex mitior , in quanto una siffatta modifica non era idonea ad alterare gli elementi costitutivi del reato ma costituiva, alla luce di tale reato, un semplice cambiamento di una situazione di fatto, o era giustificata esclusivamente da una nuova valutazione puramente economica e tecnica del legislatore dell’Unione che non rimetteva in discussione l’irregolarità dei comportamenti precedenti della persona sanzionata (v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2016, COGNOME e a ., C -218/15, punti da 32 a 36, nonché del 7 agosto 2018, COGNOME e a ., C -115/17, punti da 34 a 40).
Nel caso oggetto del presente contenzioso nulla di tutto questo si è verificato, rimanendo inalterata la fattispecie dell’illecito.
In ogni caso, se non viene interessata la fattispecie dell’illecito non si realizzano i presupposti per l’applicabilità del principio del “favor rei”, ma si determina un mero fenomeno di successione di leggi nel tempo, mantenendo il disvalore della condotta e la risposta sanzionatoria (Cass. n. 33999/2024; Cass., Sez. Un. n. 13145/2022).
Infine, non esportabili nell’odierno giudizio le ragioni che hanno indotto le Sezioni Unite di questa Corte a ritenere rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1097, della legge 27 dicembre 2017 , n. 205, nella parte in cui nel sostituire in mitius l’art. 6, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708, ratificato, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1952, n. 2388, escludendo per i soggetti indicati l’obbligo della richiesta del certificato di agibilità nei confronti dei lavoratori dello spettacolo (art. 3, nn.1-14)
con rapporti di lavoro subordinato qualora utilizzati nei locali di proprietà o di cui abbiano un diritto personale di godimento per i quali le medesime imprese effettuano regolari versamenti contributivi presso l’RAGIONE_SOCIALE, non ha previsto l’applicazione retro attiva della novella: in quel caso, difatti, le Sezioni Unite hanno precisato, l’applicazione della lex mitior sopravvenuta ha diretta incidenza sulla sussistenza dell’illecito amministrativo cui è connessa la sanzione irrogata
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, l’11 febbraio 2025.
Il AVV_NOTAIO est. La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME