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Sentenza per relationem: quando è nulla la decisione?

Un imprenditore del settore apparecchi da intrattenimento ha impugnato un avviso di accertamento fiscale. La Commissione Tributaria Regionale ha parzialmente accolto il suo appello, ma con una motivazione che si limitava a richiamare la sentenza di primo grado. La Corte di Cassazione ha dichiarato nulla tale decisione, affermando che una sentenza per relationem è invalida quando non esplicita il percorso logico-giuridico seguito e non affronta specificamente i motivi di appello, rendendo impossibile individuare il thema decidendum. La causa è stata rinviata per un nuovo esame.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sentenza per relationem: La Cassazione chiarisce i limiti della motivazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale del diritto processuale: la validità di una sentenza per relationem dipende dalla capacità del giudice di esplicitare il proprio percorso argomentativo. Un semplice rinvio alla decisione precedente, senza un’analisi critica dei motivi di appello, porta alla nullità della sentenza. Analizziamo insieme questo importante caso in materia tributaria.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del titolare di un’impresa individuale che gestiva apparecchi da intrattenimento. L’Ufficio contestava maggiori ricavi e maggiore IVA per l’anno d’imposta 2007. Il contribuente impugnava l’atto e, dopo una decisione di primo grado a lui sfavorevole, si rivolgeva alla Commissione Tributaria Regionale (CTR).

La CTR accoglieva parzialmente l’appello, ma per diverse censure sollevate dal contribuente (come la mancanza di motivazione sulle indagini finanziarie o l’illegittimità della verifica), si limitava a confermare la decisione di primo grado attraverso un mero rinvio al suo contenuto. Insoddisfatto, l’imprenditore proponeva ricorso per cassazione, lamentando proprio la nullità della decisione d’appello per difetto di motivazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i motivi del contribuente relativi alla nullità della sentenza d’appello, cassando la decisione e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno distinto nettamente tra la motivazione apparente e quella effettiva.

La Corte ha stabilito che, nel processo tributario, una sentenza d’appello che si limita a motivare “per relationem”, cioè richiamando la sentenza di primo grado con una mera adesione ad essa, è da considerarsi nulla. Questo approccio, infatti, impedisce di comprendere il thema decidendum (l’oggetto del decidere) e le ragioni che hanno portato il giudice a respingere le specifiche censure dell’appellante.

Le Motivazioni: la nullità della sentenza per relationem

Il cuore della decisione risiede nell’articolo 36 del D.lgs. 546/1992, che impone al giudice tributario l’obbligo di esporre succintamente i fatti e le ragioni giuridiche della decisione. Secondo la Cassazione, la CTR, nel caso di specie, ha violato questo obbligo. Anziché analizzare e valutare l’infondatezza dei motivi di gravame proposti dal contribuente, si è limitata a un generico rimando alla sentenza di primo grado.

Questa pratica, secondo gli Ermellini, svuota di contenuto il diritto di difesa e il principio del doppio grado di giudizio. Il giudice d’appello non può semplicemente “condividere” la decisione precedente; deve dimostrare di aver esaminato le critiche mosse dall’appellante e spiegare perché queste non siano meritevoli di accoglimento. Mancando questo passaggio logico-giuridico, la motivazione diventa solo apparente e la sentenza è, di conseguenza, nulla. La Corte ha quindi ritenuto che il giudice di secondo grado avesse eluso il suo dovere di fornire una risposta argomentata alle specifiche doglianze del contribuente.

Conclusioni: l’obbligo di motivazione del giudice d’appello

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale: il giudice d’appello ha un preciso dovere di fornire una motivazione autonoma e completa, che dia conto dell’analisi critica dei motivi di impugnazione. Non è sufficiente una generica adesione alla sentenza di primo grado. La sentenza per relationem è ammessa solo a patto che il percorso logico del giudice sia chiaramente esplicitato e che le argomentazioni richiamate siano coerenti e pertinenti rispetto alle censure sollevate. In caso contrario, come avvenuto in questa vicenda, si configura una violazione del diritto di difesa che porta all’annullamento della decisione.

Quando una sentenza d’appello che si limita a richiamare la decisione di primo grado è considerata nulla?
È considerata nulla quando il giudice si limita a una mera adesione alla sentenza impugnata, senza illustrare le censure mosse dall’appellante e le considerazioni che lo hanno indotto a disattenderle. Tale prassi rende impossibile individuare il ‘thema decidendum’ e le ragioni della decisione.

L’effetto di una sentenza definitiva (giudicato) su un accertamento fiscale si estende automaticamente agli anni d’imposta successivi?
No, l’effetto vincolante del giudicato esterno per le imposte periodiche è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti con efficacia permanente o pluriennale. Non si estende a fatti variabili di anno in anno, come la ‘medesima attività di verifica’ o la ‘movimentazione operata sui medesimi conti’.

È possibile chiedere la revocazione di una sentenza per un errore di fatto se questo errore non è immediatamente evidente?
No, l’errore di fatto che giustifica la revocazione di una sentenza deve consistere in una errata percezione dei fatti, una svista materiale oggettivamente e immediatamente rilevabile. Non può derivare da un preteso inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, che costituisce invece un errore di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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