Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17240 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17240 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2635/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ed COGNOMERAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati nello studio dell’Avvocato NOME COGNOME Rosa in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB. RAGIONE_SOCIALE BOLZANO n. 55/2018, depositata in data 6 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Avv. Acc. IRES, IRAP e IVA 2008 2009
L’Ufficio controlli della direzione provinciale di Bolzano dell’Agenzia delle Entrate, in seguito ad una verifica svolta dalla Guardia di Finanza, accertava nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e dei singoli soci, l’indebita deduzione di costi, per un importo complessivo di € 58.950,00 nel 2008, e di € 47.350,00 nel 2009, con determinazione di un maggior reddito d’impresa imponibile, e conseguente recupero ai fini IRAP e IVA in capo alla società, e IRPEF a carico dei soci.
Con distinti ricorsi gli odierni ricorrenti impugnavano dinanzi la C.t.p. di Bolzano i due avvisi di accertamento emessi; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Bolzano, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 102/02/2017, li accoglieva.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t. II° grado di Bolzano; si costituivano anche i contribuenti, chiedendo la conferma della sentenza emessa in primo grado.
Con sentenza n. 55/02/2018, depositata in data 6 giugno 2018, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio.
Avverso tale decisione i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi mentre l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 5 marzo 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per falsa applicazione degli artt. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e 2697 cod. civ.» i contribuenti lamentano l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha tenuto conto del compendio probatorio prodotto in giudizio dai contribuenti.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti»
i contribuenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha valutato la sentenza pensale di assoluzione (passata in giudicato) per NOME COGNOME e NOME COGNOME con riferimento al reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, sentenza che aveva a presupposto i medesimi fatti qui in oggetto.
Il primo motivo di ricorso proposto è inammissibile.
2.1. Invero, la censura proposta non fa che risolversi nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019).
Con essa, in sostanza, si mira a richiedere alla Corte una rivalutazione del sindacato, congruamente espresso dal Giudice di merito, sull’inidoneità della prova contraria volta a superare la conclusione dell’Ufficio circa l’illegittima deduzione di costi per operazioni in realtà inesistenti.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. Invero, questa Corte ha costantemente affermato, in tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega
automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare ( ex plurimis , Cass. n. 17258/2019, Cass. n. 10578/2015 e Cass. n. 5720/2007).
Si è precisato, infatti, che l’art. 654 cod. proc. pen., il quale stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale – norma operante, in base all’art. 207 disp. att. cod. proc. pen., anche per i reati previsti da leggi speciali, ed avente, quindi, portata immediatamente modificativa dell’art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, disposizione che regolava l’autorità del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poi espressamente abrogata dall’art. 25, lett. d), del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 -, la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa”.
Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (e, in precedenza, dall’art. 35, comma 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (art. 39, comma 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, primo comma, cod. civ.), che nel
processo penale (art. 192, secondo comma, cod. proc. pen.), la conseguenza era che nessuna automatica autorità di cosa giudicata potesse attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non poteva limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), doveva, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. n. 17258/2019, Cass. n. 28174/2017, Cass. n. 10578/2015, Cass. n. 4924/2013, Cass. n. 19786/2011, Cass. n. 5720/2007 e Cass. n. 10945/2005).
3.2. Né può trovare applicazione nel caso di specie il nuovo art. 21 bis D.Lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), del D.L. 14 giugno 2024, n. 87 e rubricato ‘Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione’, che così dispone, per quel che in questa sede interessa: «1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio».
Tale ius superveniens , sebbene applicabile anche ai casi, come quello per cui è causa, in cui la sentenza penale di assoluzione sia
divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del D.Lgs., sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto (Cass. n. 23570/2024), non può invece applicarsi con riguardo a sentenze penali di assoluzione emesse solo in esito ad udienza preliminare dal GUP, come quella che caratterizza il presente caso, anziché, come prescritto dalla norma, in seguito a giudizio dibattimentale (Cass. n. 26482/2024).
3.3. Orbene, alla stregua di quanto rassegnato (non diretto stato di giudicato della sentenza penale nel giudizio tributario), non è possibile ravvisare nella mancata considerazione della sentenza penale citata dai ricorrenti il carattere della decisività ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., dovendosi escludere che la considerazione della suddetta condurrebbe certamente la C.t.r. ad esito opposto, rispetto a quello cui è pervenuta, e favorevole ai contribuenti.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 4. 000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 5 marzo 2025.
La Presidente
NOME COGNOME