Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
Oggetto: sentenza GIP -efficacia nel processo tributario -d.lgs. 87/2024 art.21-bis d.lgs. n.74/2000
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27949/2022 R.G. proposto da AGENZIA DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL domiciliata presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t.;
-intimata – avverso la sentenza n. 697/4/2022 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte depositata il 15.6.2022, non notificata.
Lette le conclusioni del sostituto P.G. NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso e, in subordine, per la rimessione in pubblica udienza.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dall ‘ Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli n. 60/1/2018 con la quale erano stati riuniti e accolti i ricorsi avverso due atti di contestazione e due avvisi di accertamento notificati alle società RAGIONE_SOCIALE oggi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ora in liquidazione e fallita, per II.DD. e IVA relativamente agli anni di imposta 2012 e 2013.
In sentenza si legge che le riprese traevano origine da una verifica effettuata nell’anno 2014 dalla Guardia di Finanza presso la sede della RAGIONE_SOCIALE che svolgeva attività di commercio, import/export, di legname. A seguito della verifica veniva emesso p.v.c. del 15 aprile 2014 e veniva contestata alla contribuente l’inesistenza oggettiva di operazioni di acquisto e vendita di legnami apparentemente intercorse con la RAGIONE_SOCIALE, società di diritto ungherese, e con la RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e fallita.
Nella sentenza impugnata si legge che dalla verifica risultava che entrambe le società erano partecipate dalla RAGIONE_SOCIALE, la prima aveva sede presso uno studio legale ungherese ed era priva di magazzino e di struttura aziendale, la seconda aveva sede presso lo stesso complesso commerciale della BASSO; tra le società venivano emesse fatture di vendita e di successivo riacquisto di merci per importi sostanzialmente coincidenti, in assenza di documenti di trasporto.
Il giudice di prime cure riteneva che il fatto che il legname non fosse stato materialmente movimentato non escludeva che fosse comunque intervenuto il trasferimento di proprietà. Il giudice inoltre escludeva la sanzionabilità della condotta contestata, perché riteneva provata l’effettività delle operazioni commerciali tra le due società.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte respingeva l’appello evidenziando come l’Agenzia delle Entrate non aveva dato prova dell’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate e, al contrario, le contribuenti avevano dato prova del l’esistenza delle operazioni anche sulla base di documentazione prodotta nel giudizio di cui l’Agenzia invano contestava la mancata tempestiva esibizione durante il procedimento amministrativo.
Il giudice valorizzava anche il fatto che il Tribunale di Vercelli aveva assolto con formula piena il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in sede penale dall’accusa di evasione, con formula ‘perché il fatto non sussiste’, sentenza divenuta definitiva.
La società RAGIONE_SOCIALE inoltre non era un soggetto giuridicamente inesistente e non vi era obbligo di presentare i modelli Intrastat per le operazioni tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE perché si trattava di operazioni fuori campo IVA ex art. 7 d.P.R. 633/72, come risultava anche dalle indicazioni esposte nelle fatture.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a cinque motivi, cui replica RAGIONE_SOCIALE con controricorso che illustra con memoria ex art.380-bis.1 cod. proc. civ., mentre il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione è rimasto intimato.
Considerato che:
In via preliminare va esaminata e disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., per asserita assenza di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. Tali elementi si evincono dal corpo delle censure che, tutte, individuano i capi della decisione impugnati, sollevano questioni in diritto e non chiedono la rivalutazione di fatti e documenti.
Con il primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. n . 600/73, 21 e 54 d.P.R. 633/72, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. da parte della sentenza, affetta da error in iudicando avendo erroneamente applicato i principi sull’onere della prova in materia di operazioni oggettivamente inesistenti.
Il motivo dev’essere infra esaminato unitamente al terzo per connessione.
Con il secondo motivo la ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., quanto al principio di autonomia dei processi penale e tributario e ai limiti del giudicato penale nel processo tributario, nonché degli artt. 7 d.lgs. n. 546/92 e 2697 e 2727 cod. civ.; la sentenza sarebbe errata e meritevole di riforma in quanto ritiene che la contribuente abbia assolto al proprio onere probatorio
attraverso la produzione della sentenza definitiva n.184/2016 del GIP presso il Tribunale di Vercelli, senza considerare l’autonomia del processo tributario rispetto a quello penale.
Il motivo è fondato.
4.1. Il Collegio non ignora che l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, il quale riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens , anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale, ossia perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 23570 del 03/09/2024).
Al proposito, il principio di diritto va nondimeno specificato nel senso che la novella non trova applicazione nel caso in cui le formule “di merito” previste dal codice di rito (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) siano state adottate dal giudice non alla conclusione del dibattimento penale, ma alla conclusione dell’udienza preliminare.
La sentenza emessa dal Gip, sia pure con la formula ‘perché il fatto non sussiste’, non è adottata a seguito della celebrazione del dibattimento e la ripetizione della prova assunta durante le indagini preliminari connessa a dibattimento. Conseguentemente, non trova applicazione sotto un profilo testuale l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024 per precisa scelta del legislatore, né emerge un’irragionevolezza della norma sotto il profilo della differenza di trattamento rispetto alla sentenza di assoluzione
dibattimentale in ragione del diverso contenuto probatorio alla base della decisione.
Pertanto, l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione non è applicabile, quale ius superveniens , alla presente fattispecie, in cui è stata pronunciata dal giudice per le indagini preliminari sentenza divenuta definitiva, benché abbia adottato la formula ‘perché il fatto non sussiste ‘ .
Nel caso in esame, il giudice a pag.8 della sentenza ha ritenuto assolto l’onere probatorio attraverso la produzione della sentenza 184/2016 del GIP presso il Tribunale di Vercelli («Il Tribunale di Vercelli ha assolto il signor NOME COGNOME con formula piena in sede venale dall’accusa di evasione ‘perché il fatto non sussiste’ (così v. Trib. Vercelli 6 giugno 2016 n. 184 doc. II 2 fascicolo di primo grado). E questa sentenza è passata in giudicato perché non è stata impugnata») e, per quanto sopra esposto in diritto, la novella non si applica.
4.2. La sentenza penale suddetta non assume automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario (ordinanza n. 17258 del 27/06/2019 e sentenze nn. 10578 del 22/5/2015 e 5720 del 12/3/2007) e il giudice d’appello ha errato a non tener conto di tale consolidato indirizzo interpretativo. Infatti, se i fatti ritenuti rilevanti in sede penale sono gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, la sentenza penale può essere valutata come fonte di prova dal giudice tributario che ne verifica la rilevanza nell’ambito del contenzioso tributario in esame, sulla base della consolidata giurisprudenza di Cassazione, ma non può derivarne alcun effetto di giudicato come ritenuto dal giudice il quale non ha compiuto un’autonoma valutazione delle risultanze del giudizio penale.
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5. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata degli artt. 46 e 47 d.l. 331/1993 e artt. 7 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, laddove afferma ad ulteriore sostegno dell’annullamento della ripresa IVA, con riferimento alle operazioni realizzate con operatore avente sede in Ungheria (Timco), che la ricostruzione documentale effettuata non permetterebbe in alcun modo di avallare l’ipotesi di inesistenza oggettiva delle operazioni ai fini fiscali, giungendo ad affermare che la società accertata ha emesso fatture in regime di non imponibilità IVA.
6. I motivi primo e terzo, connessi, vanno trattati congiuntamente e sono fondati.
Quando le riprese sono per operazioni oggettivamente inesistenti, questa Sezione ha più volte affermato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018) che una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
La sentenza, pur riportando numerosi elementi di prova nel corpo della sua argomentazione (es. dove dà conto della partecipazione societaria di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE) non coglie la logica economica alla base delle operazioni contestate (BASSO ha un interesse materiale all’ottenimento di fi-
nanziamenti con le fatture di cui alle operazioni in ragione delle partecipazioni societarie) e la valutazione sulla oggettiva inesistenza delle operazioni è stata condotta senza il rispetto del canone dell’onere della prova sopra descritto.
La sentenza stessa rende noto in sintesi il contenuto della verifica fiscale da cui emerge non solo che entrambe le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono partecipate dalla RAGIONE_SOCIALE, ma anche che la RAGIONE_SOCIALE ha sede presso uno studio legale ungherese ed è priva di magazzino e di struttura aziendale, mentre la RAGIONE_SOCIALE ha sede presso lo stesso complesso commerciale della BASSO; tra le società vengono emesse fatture di vendita e di successivo riacquisto di merci per importi sostanzialmente coincidenti, in assenza di documenti di trasporto. A fronte di questa prima dimostrazione da parte dell’Agenzia della natura di cartiere delle società attraverso elementi idonei e logici, spetta alla contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tale prova non può essere utilmente data, come ritiene il giudice, sulla base di elementi astratti e formali come la regolare costituzione formale di Timco, il bilancio formalmente regolare, le fatture formalmente regolari e con dicitura fuori campo IVA, né con pagamenti reversibili (v.p.9 sentenza), ostandovi la giurisprudenza della Sezione sopra riportata e di ciò vorrà tener conto il giudice della fase rescissoria.
Il quarto motivo prospetta la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata dell’art. 8 del d.l. 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con riferimento agli atti di contestazione sanzioni emessi ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 16/2012.
8. Il motivo è fondato, in dipendenza dell’accoglimento dei motivi primo e terzo relativi alla contestata evasione dell’imposta e la questione del profilo sanzionatorio relativo all’art. 8 del d.l. n. 16/2012 dev’essere riesaminata dal giudice del rinvio.
9. Il quinto motivo prospetta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’ art. 32 d.P.R. n. 600/73 e 52, 5° comma, d.P.R. n. 633/72. Il giudice avrebbe formulato il proprio giudizio sull’erroneo presupposto dell’ammissibilità della ritualità della produzione documentale offerta dalla contribuente in giudizio, senza considerare la preclusione trattandosi di documenti non prodotti nella fase istruttoria del controllo, specie in relazione alla prova della esistenza della merce oggetto di transazioni con le società estere.
Il motivo non può trovare ingresso.
10.1. In primo luogo, la motivazione della CTR non è apparente nella parte in cui afferma che «nella fattispecie non ha importanza il fatto che non vi siano DDT o fatture di trasporto perché, con riferimento alle operazioni tra Basso e Xilo l’Agenzia delle Entrate non considera il fatto che le due società hanno la medesima sede e che non vi era, pertanto, alcuna necessità di movimentare la merce venduta. La regolarità delle operazioni è supportata non solo dalle fatture, ma anche dalla documentazione che ricostruisce le movimentazioni del materiale riacquistato da Basso e identifica i destinatari finali della mercè (doc. I 29 fascicolo primo grado). Tra l’altro le fatture relative alle operazioni tra la Basso e la RAGIONE_SOCIALE sono siate allegate dalla stessa Agenzia delle Entrate al pvc, mentre i contratti tra RAGIONE_SOCIALE ed i propri collaboratori non sono stati esibiti in sede di verifica, in quanto mai richiesti in detta sede e quindi perfettamente producibili nel giudizio» (cfr. p.6 sentenza). Si tratta di un’argomentazione logica che rispetta il minimo costituzionale (Cass. Sez. U., n.8053/2014).
10.2. In secondo luogo, la doglianza con riferimento alla questione sottostante della mancata utilizzabilità di parte della documentazione prodotta dalle contribuenti in giudizio è affetta da difetto di specificità.
10.2. La Corte ha chiarito (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 16757 del 14/06/2021) che, in tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica ex art. 33 d.P.R. n. 600 cit., quanto all’imposizione reddituale ed ex art. 52 del d.P.R. n. 633 cit., quanto all’IVA, poiché – ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è, comunque, onerato; nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria.
10.2. Sotto un primo profilo, il Collegio osserva che non è esplicitato in forza di quale previsione normativa in sede amministrativa sia stata chiesta l’esibizione documentale alle società contribuenti. Comunque, dal momento che né in sentenza né nel ricorso si fa riferimento al questionario né all’art.51 cit., si deve ritenere che la richiesta di documentazione sia intervenuta nel corso della verifica e, dunque, che rientri nella seconda ipotesi sopra descritta. Pertanto, l’Amministrazione avrebbe dovuto fornire la prova, ai fini dell’inutilizzabilità della documentazione non esibita in sede amministrativa, dei
presupposti di fatto di un sostanziale rifiuto di renderla disponibile ai verificanti e tali elementi non emergono dal motivo.
Inoltre, a fronte di un preciso accertamento fattuale del giudice sulla mancata richiesta di parte della documentazione in sede amministrativa, è generico il riferimento a pag.30 del ricorso ai ‘ documenti non prodotti nella fase istruttoria del controllo, specie in relazione alla prova della esistenza della merce oggetto di transazioni con le società estere’ cui fa riferimento il motivo. Non è chiaro quali specifici documenti siano stati chiesti dai verificatori e quali individuati documenti siano stati prodotti in giudizio, adempimento necessario per consentire un controllo circa l’esattezza della preclusione per le singole componenti della produzione documentale. Ne deriva anche il difetto di rilevanza della questione.
11. La sentenza impugnata è perciò cassata con riferimento ai motivi accolti e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo, secondo, terzo e quarto del ricorso, rigettato il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.11.2024