Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5714 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5714 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 27278/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, con l’ avvocato NOME COGNOMEricorrente-
COGNOME NOME COGNOME con l’ avvocato NOME COGNOMEricorrente- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 1685/2017 depositata il 11/04/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Uditi l’Avvocato NOME COGNOME per le ricorrenti e la Difesa erariale, nella persona dell’Avvocato dello Stato NOME COGNOME che hanno richiamato le rispettive conclusioni.
Udito il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con gli avvisi d’accertamento e gli atti di contestazione impugnati nel presente giudizio l’Agenzia delle entrate imputava alle signore
Allegra NOME COGNOME e NOME COGNOME i maggiori redditi percepiti nel territorio dello Stato italiano nel periodo compreso tra gli anni 2004 e 2010 e sanzionava l’omessa dichiarazione (mediante compilazione del quadro RW) di ingenti capitali mobiliari e immobiliari posseduti all’estero. L’operato dell’Ufficio trovava fondamento nell’attività di controllo posta in essere dall’Ufficio Centrale per il Contrasto agli Illeciti Fiscali Internazionali – U.C.I.F.I. e volto ad individuare l’effettivo domicilio fiscale delle contribuenti , che l’Amministrazione finanziaria affermava essere nel territorio italiano e non in St. Moritz (Svizzera), come formalmente risultante.
Le signore Gucci proponevano ricorso avverso gli atti impositivi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che, previa riunione, li accoglieva.
Quindi la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, con la sentenza n. 1685/2017, depositata in data 11/04/2017, rigettava i ricorsi introduttivi delle contribuenti, fatta salva l’applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni , condannando le appellate alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la predetta sentenza le contribuenti hanno proposto separati ricorsi, sorretti da otto identici motivi e l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Le ricorrenti, in data 17 gennaio 2025, nel rispetto del termine di quindici giorni prima dell’udienza prescritto dall’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000, hanno depositato, unitamente a memorie illustrative ex art. 378 c.p.c., la sentenza n. 14010/2015 del 23.12.2015 del Tribunale di Milano, Sezione 2^ Penale, pronunciata all’esito della fase dibattimentale, in copia conforme all’originale debitamente attestata, e divenuta irrevocabile in data 7 maggio 2016 per mancata impugnazione, come risulta dalla formula apposta a pagina 64 della stessa, che, ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., ha assolto le
ricorrenti dal reato di omessa dichiarazione dei redditi ad esse ascritto ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000 per gli anni dal 2007 al 2010 perché il fatto non sussiste, e ha dichiarato di non dover procedere per gli anni dal 2004 al 2006 essendo il reato estintosi per intervenuta prescrizione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I motivi di ricorso
1.1. Con il primo comune motivo di ricorso le contribuenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 546/1992, per motivazione apparente, per avere la CTR valutato in maniera globale ed indistinta situazioni -e segnatamente l’effettiva residenza ai fini fiscali in Italia per numerose annualità d’imposta di due distinti soggetti – le sorelle NOME ed NOME COGNOME, che avevano vite familiari e lavorative diverse e che richiedevano, viceversa, necessariamente, un’analisi specifica ed autonoma.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 546/1992, per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo in relazione a specifici punti della pronuncia impugnata.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e 2, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, anche in relazione all’art. 43 c.c., in quanto la Commissione territoriale avrebbe omesso l’esame del quadro indiziario complessivo e dell’intero materiale probatorio versato agli atti dalle ricorrenti, non essendosi correttamente confrontata con la qualità indiziaria degli elementi forniti dall’Ufficio e la idoneità delle “prove contrarie” o controprove offerte, che, come definitivamente statuito anche dal giudice penale investito della medesima vicenda, erano utili a privare di univocità e
congruenza gli clementi forniti d all’ufficio , ed erano tali da sostenere che il centro principale degli interessi vitali delle ricorrenti andassero individuati in Svizzera.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione del combinato disposto degli artt. 2, commi 2 e 2-bis. del D.P.R. n. 917/1986 e 43 c.c., per avere i giudici di seconde cure ritenuto le signore Gucci residenti ai fini fiscali in Italia, senza valutare, tuttavia, la volontà delle stesse di dimorare a Saint Moritz, in Svizzera e, dunque, senza tenere in considerazione gli elementi che legavano le ricorrenti al territorio svizzero né la circostanza che la Svizzera fosse pacificamente riconosciuta dai terzi come il centro vitale degli interessi delle ricorrenti.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto in via subordinata, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., 12 del D.L. n. 78/2009 e degli art. 4 e 5 del D.L. n. 167/1990, deducendosi che i giudici di seconde cure avrebbero accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate sebbene le presunzioni di sussistenza di redditi sottratti a tassazione e di attività finanziarie detenute all ‘ estero in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale trovassero il loro fondamento non già in fatti noti, bensì in fatti meramente presunti dalla medesima Agenzia delle Entrate.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, anch’esso proposto in via subordinata, si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. 546/1992, per insanabi1e contraddittorietà ed incomprensibilità della motivazione stante la presenza di argomentazioni tra loro contrastanti, con riguardo al capo della sentenza ove si afferma l’applicabilità dell’art. 12 del D.L n. 78/2009.
1.7. Con il settimo motivo di ricorso, anch’esso proposto in via subordinata, si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, del D.L 78/2009, stante la natura di norma sostanziale e conseguentemente irretroattiva della stessa.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, anch’esso proposto in via subordinata, si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, per avere i giudici di seconde cure condannato al pagamento integrale delle spese esclusivamente le ricorrenti, nonostante la soccombenza parziale dell’Agenzia delle Entrate in ordine alle pretese avanzale a titolo di sanzioni per la mancata applicazione del cumulo giuridico ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 546/1992.
2. L’oggetto della controversia.
2.1. La questione che si pone, con sicura rilevanza per il presente giudizio, quanto meno in relazione ai primi quattro motivi di ricorso, proposti in via principale, e in riferimento agli anni di imposta dal 2007 al 2010, è quella degli effetti nel processo tributario, anche di cassazione, della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa ad esito del dibattimento con la formula “perché il fatto non sussiste”, con l’ulteriore appendice, anch’essa rilevante nel caso di specie, della disciplina applicabile alla assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale, il tutto alla luce della innovazione apportata dall’art. 21 -bis d.lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, in vigore dal 29 giugno 2024, quindi trasposto nell’art. 119 del Testo unico della giustizia tributaria (D.lgs. 14 novembre 2024, n. 175), vigente dal 1° gennaio 2026.
2.2. Non vi è dubbio che i fatti posti alla base degli avvisi di accertamento e degli atti di contestazione impugnati siano gli stessi
fatti oggetto dell’imputazione penale dalla quale le contribuenti sono state definitivamente assolte.
Ad esito di ampia argomentazione, il Tribunale di Milano ha affermato che « In conclusione, gli elementi sopra indicati, utilizzati dall’Agenzia delle Entrate e fatti propri dal PM nel presente giudizio, a sostegno della residenza effettiva italiana delle due imputate e, di conseguenza, del loro obbligo contributivo in relazione a tutti i redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di produzione, risultano ‘contraddetti’ e posti in dubbio da altri di segno contrario, provati dalla difesa che dimostrerebbero, invece, il legame e collegamento effettivo e reale delle due imputate con la Svizzera. Ne consegue, quindi, che in tale situazione di ‘contraddittorietà della prova’ tutti gli imputati vanno mandati assolti con la formula dubitativa ‘per ché il fatto non sussiste’ in relazione al reato loro contestato per quanto riguarda gli anni di imposta dal 2007 al 2010».
3. Lo ‘stato dell’arte’ prima dell’intervento normativo.
Si rende opportuno, in premessa, ricostruire quello che era lo ‘stato dell’arte’ prima dell’intervento normativo di cui si discute , con riguardo sia alla cornice normativa, sia all’intervento nomofilattico di questa Suprema Corte.
3.1. Dopo l’abbandono della c.d. pregiudiziale tributaria di cui all’art . 21, comma 4, legge 7 gennaio 1929, n. 4, l’art. 12 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, aveva disposto la rilevanza nel processo tributario del giudicato penale, sia assolutorio sia di condanna, in riferimento ai medesimi fatti materiali.
Tale sistema venne poi superato, sia a seguito della introduzione del nuovo codice di procedura penale, sia ad opera del d.lgs. n. 74/2000, in vigenza del quale il tema del raccordo tra i due procedimenti è stato interpretato in termini di “doppio binario” e quindi di autonomia reciproca dei medesimi.
3.2. Sul punto questa Corte ha costantemente affermato, in tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare (Cass. 27 giugno 2019, n. 17258; Cass. 22 maggio 2015, n. 10578; Cass. 12 marzo 2007, n. 5720).
3.3. Si è precisato, infatti, che l’art. 654 c.p.p., che stabilisce l’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile ed amministrativo nei confronti di coloro che abbiano partecipato al processo penale – norma operante, in base all’art. 207 disp. att. c.p.p., anche per i reati previsti da leggi speciali, ed avente, quindi, portata immediatamente modificativa dell’art. 12 del d.l. n. 429/1982, conv. dalla legge n. 516/1982, disposizione che regolava l’autorità del giudicato penale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poi espressamente abrogata dall’art. 25, lett. d), del d.lgs. n. 74/2000 -, la sottopone alla duplice condizione che nel giudizio civile o amministrativo (e, quindi, anche in quello tributario) la soluzione dipenda dagli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudicato penale e che la legge civile non ponga limitazione alla prova “della posizione soggettiva controversa”.
3.4. Atteso che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/1992 (e, in precedenza, dall’art. 35, comma 4, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici
(art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973), prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (art. 2729, comma 1, c.c.), quanto nel processo penale (art. 192, comma 2, c.p.p.), la conseguenza del mutato quadro normativo era che nessuna automatica autorità di cosa giudicata potesse più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non poteva limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), doveva, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cass. 27 giugno 2019, n. 17258; Cass. 24 novembre 2017, n. 28174; Cass. 22 maggio 2015, n. 10578; Cass. 27 febbraio 2013, n. 4924; Cass. 27 settembre 2011, n. 19786; Cass. 12 marzo 2007, n. 5720; Cass. 24 maggio 2005, n. 10945).
3.5. Questa Corte, di conseguenza, ha precisato, quanto alla produzione della sentenza penale di assoluzione nel giudizio di cassazione in sede di memoria difensiva ex art. 378 c.p.c., che il principio secondo cui, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, con correlativa inopponibilità del divieto di cui all’art. 372 c.p.c., non può trovare applicazione laddove la sentenza passata in giudicato venga invocata, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., unicamente al fine di
dimostrare l’effettiva sussistenza (o insussistenza) dei fatti. In tali casi il giudicato non assume alcuna valenza enunciativa della regula iuris alla quale il giudice civile ha il dovere di conformarsi nel caso concreto, mentre la sua astratta rilevanza potrebbe ravvisarsi soltanto in relazione all’affermazione (o negazione) di meri fatti materiali, ossia a valutazioni di stretto merito non deducibili nel giudizio di legittimità. Ne consegue l’inammissibilità della produzione della sentenza penale, siccome estranea all’ambito previsionale dell’art. 372 c.p.c. (Cass., sez. un., 2 febbraio 2017, n. 2735, di cui fanno applicazione, tra tante, Cass. 26 settembre 2017, n. 22376; Cass. 11 aprile 2024, n. 9900; Cass. 9 giugno 2023, n. 16413).
4. L’introduzione del nuovo art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000.
Tale assetto, come si è anticipato in premessa, è stato innovato dall’art. 21 -bis d.lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, in vigore dal 29 giugno 2024, (quindi trasposto nell’art. 119 del Testo unico della giustizia tributaria – d.lgs. 14 novembre 2024, n. 175), rubricato «Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione», il quale dispone: «1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha
agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati».
5. L’efficacia intertemporale della nuova disposizione.
5.1. La prima questione che si è posta, in relazione alla efficacia intertemporale della nuova disposizione, è stata affrontata e risolta da questa Suprema Corte con esiti, in ultimo, pressoché unanimi, sì da costituire, allo stato, diritto vivente.
5.2. Si è infatti chiarito che « L’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal D.Lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens , anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule di merito previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso)» (cfr. Cass. n. 30814/2024; Cass. n. 23570/2024, Cass. n. 21584/2024, Cass. n. 23609/2024; da ultimo, v. ancora Cass. n. 1021/2025).
5.3. Le disposizioni in esame appaiono infatti avere carattere processuale, incidendo sulla efficacia esterna nel processo tributario del giudicato penale (il primo comma) e sulle modalità di produzione nel giudizio di cassazione (il secondo comma).
Come è noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, sono sostanziali le norme che consistono in regole di giudizio la cui applicazione ha una diretta ricaduta sulla decisione di merito, di accoglimento o di rigetto della domanda, mentre hanno carattere processuale le disposizioni che disciplinano i modi di deduzione, ammissione e assunzione delle prove (Cass. 23/02/2007, n. 4225; Cass. 02/04/2015, n. 6743; Cass. 17/07/2018 n. 18912).
5.4. Va ancora rilevato che questa Corte, in analogo snodo normativo, pronunciandosi sull’efficacia del sopravvenuto art. 654 c.p.p. rispetto alla previsione dell’art. 12, comma 1, del d.l. n. 429/1982, conv. dalla legge n. 516/1982, che prevedeva allora la efficacia vincolante del giudicato penale, ha osservato che «la norma attiene ai poteri doveri del giudice civile (od amministrativo) quando statuisce dopo il formarsi di giudicato penale, e, quindi, alla fase decisionale del relativo procedimento, di modo che deve trovare applicazione quando tale fase sia successiva alla sua entrata in vigore» (Cass. 5 luglio 1995, n. 7403).
5.5. Si osserva ancora che, in tema di disposizioni processuali, questa Corte ha affermato il principio che, in mancanza di una disposizione transitoria (circostanza che ricorre anche nella disciplina in esame), debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, ove il legislatore non abbia diversamente disposto, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore ma anche i singoli atti, ad essa successivamente compiuti, di processi iniziati prima della sua entrata in vigore (così Cass. 3 aprile 2017, n. 8590; Cass. 30 dicembre 2014, n. 27525; Cass. 12 settembre 2014, n. 19270).
6. Gli effetti del giudicato penale di assoluzione nel giudizio tributario.
Analoga convergenza non è, al contrario, ravvisabile in merito agli effetti che genera, nel processo tributario, anche di cassazione, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione che risponda ai requisiti previsti all’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000, essendosi formati a tale riguardo due, non conciliabili, orientamenti, di cui: i) il primo riconosce l’efficacia del giudicato penale anche ai fini dell’accertamento de l presupposto impositivo, e dunque ai fini del rapporto tra contribuente ed erario, ii) il secondo opera una lettura riduttiva della novella legislativa, che esplicherebbe i suoi effetti
esclusivamente con riguardo alle sanzioni irrogate, mentre con riguardo all’imposta la sentenza penale , ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, continuerebbe ad essere una possibile fonte di prova, autonomamente valutabile dal giudice tributario, esattamente come avveniva prima della recente riforma.
La prima tesi : l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000 riguarda l’imposta, ossia la decisione del giudice tributario sulla sussistenza del presupposto impositivo.
7.1. Secondo un primo orientamento (manifestato da questa Corte con le coeve decisioni Cass. n. 23570/2024 e Cass. n. 23609/2024, successivamente ribadito, inter alias , da Cass. 21584/2024, Cass. n. 30675/2024, Cass. n. 30814/2024 e, da ultimo, ancora da Cass. n. 936/2025 e n. 1021/2025) l’art. 21bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso), comporta che debba ritenersi, anche con riferimento al giudizio tributario, che tali fatti non sussistano, così venendo meno il relativo presupposto impositivo delle riprese fiscali.
7.2. L ‘art. 21 -bis cit., che non si accompagna alla previsione di una sospensione obbligatoria del processo tributario in pendenza di quello penale, impone di riconoscere efficacia vincolante nel processo tributario al giudicato penale assolutorio formatosi a seguito di giudizio dibattimentale, purché tale giudicato abbia ad oggetto gli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario e purché l’assoluzione sia avvenuta in base ad una delle due formule sopra indicate; l’efficacia del giudicato attiene quindi agli “stessi fatti materiali”, dovendosi ritenere che, quando si discute
di efficacia della sentenza penale nel giudizio tributario non ci si riferisce al giudicato penale in sé e per sé, ma all’accertamento dei fatti contenuti nella relativa decisione. E quindi, ciò che interessa non è il valore extra-penale del dispositivo della sentenza, ma il valore extra-penale degli accertamenti di fatto che, presenti i requisiti prescritti dell’art. 21 -bis cit., ‘fanno stato’ nel giudizio tributario.
E dunque, per l’orientamento richiamato risulta centrale la valorizzazione dell’univocità dell’accertamento materiale del fatto .
7.3. Quanto osservato, in effetti, come è stato anche rilevato in dottrina, risponde al l’obiettivo della riforma di attuare il principio di non contraddizione e di coerenza del sistema, innovando la struttura del c.d. doppio binario per armonizzarne la disciplina con i principi generali dell’ordinamento, con primario riferimento all’art. 53, comma 1 della Costituzione che impone, quale requisito strutturale dell’obbligazione tributaria, l ‘effettività e realità del presupposto impositivo.
Ciò non solo, pertanto, nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem , ma, appunto, anche per l’esigenza di attuare il principio di non contraddizione e di coerenza del sistema, con recupero della omogeneità della verità processuale sul fatto e in ultima istanza, scongiurando l ‘eventualità che, per effetto di un doppio binario processuale, ciò che non esiste dal punto di vista fenomenico in ambito penale, possa invece esserlo in ambito tributario, ciò, almeno, quando l’accertamento penale sia stato esito del giudizio dibattimentale, dotato di caratteristiche strutturali e di standard probatori più elevati di quelli del processo tributario.
7.4. Da quanto sinora osservato discende, quale necessario corollario, il superamento, con riguardo al processo tributario, delle limitazioni poste dall’art. 654 c.p.p. , con riguardo ai differenti regimi probatori, alla estensione del l’efficacia , nei giudizi civili o amministrativi dall’accertamento degli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale. 7.5. Le tesi formulate nelle ora richiamate pronunce di questa Corte troverebbero conforto nella ratio legis desumibile dai principi e criteri
direttivi predicati dall’art. 20, comma 1, della legge delega n. 111 del 2023, che, pur sotto il ‘cappello’ unitario della rubrica che recita «revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale, con riferimento alle imposte sui redditi, all’IVA e agli altri tributi indiretti nonché ai tributi degli enti territoriali», affida al Governo delegato due finalità distinte ed autonome: al comma 1, lett. a n. 1) quella di «razionalizzare il sistema sanzionatorio amministrativo e penale, anche attraverso una maggiore integrazione tra i diversi tipi di sanzione, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem» e, al comma 1, lett. a, n. 3) quella di «rivedere i rapporti tra il processo penale e il processo tributario prevedendo, in coerenza con i principi generali dell’ordinamento, che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facciano stato nel processo tributario quanto all’accertamento dei fatti medesimi (…)», sì che, se il primo criterio direttivo può ritenersi intes o alla regolazione coerente delle conseguenze sanzionatorie derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario, il secondo risulta, al contrario, diretto a regolare l’estensione al giudizio tributario del giudicato penale dibattimentale di assoluzione con formula di merito, nell’ipotesi di identità dei fatti materiali posti a fondamento della fattispecie criminosa e della ripresa fiscale.
7.6. La volontà del legislatore, così delineata, troverebbe inoltre conferma nella Relazione illustrativa del decreto legislativo attuativo 14 giugno 2024, n. 87, ove, in particolare, si afferma che « l’obiettivo del citato articolo 20, comma 1, lettera a), numero 1), è quello di conseguire una maggiore integrazione tra sanzioni amministrative e penali, evitando forme di duplicazione non compatibili con il divieto di bis in idem», laddove «l’articolo 20, comma 1, lettera a), numero 3) è finalizzato, invece, alla revisione dei rapporti tra processo penale e processo tributario».
7.7. Da ultimo, pur nei limiti della natura compilativa di tali strumenti normativi, non sarebbe priva di rilievo, ai fini di una ricognizione pur
postuma della voluntas legis , la circostanza dell’avvenuta trasposizione , con efficacia del 1° gennaio 2026, dell’art. 21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000 all’art. 119 del Testo Unico della giustizia tributaria (d.lgs. n. 175 del 2024), mentre l’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 74 è stato inserito all’art. 98 del Testo Unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali (d.lgs. n. 173 del 2024), vigenti dal 1° gennaio 2026.
La seconda tesi: l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000 si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non riguarda l’imposta, ossia la decisione del giudice tributario sulla pretesa impositiva.
8.1. Successivamente, a partire da Cass. n. 3800/2025 (conformi Cass. n. 4916/2025, Cass. n. 4921/2025, Cass. n. 4924/2025 e Cass. n. 4935/2025), è stato manifestato un difforme orientamento secondo il quale l ‘art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000 si riferisce esclusivamente alle sanzioni tributarie e non all’accertamento dell’imposta, rispetto alla quale la sentenza penale assolutoria continuerebbe ad assumere rilievo come mero elemento di prova, oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice tributario unitamente agli altri elementi di prova introdotti nel giudizio.
8.2. La diversa tesi si fonda su una lettura della novella, e degli atti preparatori, intesa a coglierne esclusivamente la finalità di razionalizzazione del sistema sanzionatorio penale e tributario vigente, mediante la loro integrazione, nella prospettiva del rispetto del principio del ne bis in idem .
8.3. L’ introduzione dell’art. 21 -bis cit., in un sistema ancora governato dal c.d. doppio binario, avrebbe pertanto la sola funzione di estendere anche alla fase di cognizione l’ambito di applicazione del principio di specialità tra disposizioni amministrative e penali, previsto dall’art. 19 del d.lgs. n. 74/2000, il quale stabilisce che «Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale».
L’effetto della novella sarebbe, dunque, l’estensione al giudizio di cognizione -ed anche al giudizio di cassazione – della deducibilità della pronuncia penale di assoluzione per le formule ‘il fatto non sussiste’ e
‘l’imputato non lo ha commesso’, s ì che la relativa valutazione non sarebbe più limitata alla sola fase riscossiva.
E dunque l ‘esigenza tutelata dal legislatore – ma già presente nelle originarie previsioni -sarebbe esclusivamente quella di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario.
8.4. Il rapporto di imposta che intercorre tra il contribuente e l’erario incardinato tra dovere contributivo e capacità contributiva in funzione della giusta imposizione -secondo il richiamato orientamento, non partecipa pertanto, in quanto tale, al rapporto penale, che attiene, invece, all’aspetto sanzionatorio, per il quale si pone, differentemente, l’esigenza di una valutazione unitaria e contemperata del complessivo trattamento afflittivo.
8.5. Le decisioni menzionate fanno, inoltre, riferimento al dato -di sistema -della introduzione, con la novella, anche del l’art. 21 -ter d.lgs. n. 74 del 2000 che ha regolato il -pur diverso – diverso versante del cumulo sanzionatorio nel caso di riconosciuta responsabilità, sì da evitare che il trattamento risulti eccessivamente gravoso, prevedendo che «il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva».
8.6. Ancora, sul piano strettamente letterale, viene posto in rilievo il dettato del comma 3 dell’art. 21bis cit., che prevede: «3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati».
A tale riguardo si afferma che l’utilizzo della congiunzione “anche”, riferita alla persona fisica o alla società, nonché ai soci o associati si
spiegherebbe soltanto in chiave sanzionatoria, poiché l’accertamento del tributo è naturalmente riferito al soggetto passivo, che è l’imprenditore individuale o la società, non certo alla persona che abbia agito per loro, né ai soci e agli associati, che rispondono ad altro titolo. 8.6.1. Per completezza, giova comunque, a tale proposito, rilevare che, secondo la ricostruzione operata dall’opposto orientamento, gli effetti della sentenza penale irrevocabile di assoluzione nei termini di cui all’art. 21 -bis cit. si riverberano non solo sul rapporto impositivo, ma sul conseguente trattamento sanzionatorio, e quindi ben potrebbe giustificarsi, in tale ottica, il dato letterale evidenziato.
8.7. Infine, l’orientamento qui da ultimo richiamato sottolinea la neutralità del dato formale della avvenuta trasposizione dell’art. 21 -bis d.lgs. n. 74 del 2000 all’art. 119 del Testo Unico della giustizia tributaria (d.lgs. n. 175 del 2024), e della differente trasposizione dell’art. 21 del medesimo d.lgs. n. 74 all’art. 98 del Testo Unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali (d.lgs. n. 173 del 2024), vigenti dal 1° gennaio 2026.
9) La seconda questione: la rilevanza della sentenza penale pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p.
Non vi è, inoltre, convergenza di orientamento in ordine alla rilevanza nel giudizio tributario delle sentenze penali di assoluzione pronunziate ex art. 530, secondo comma, c.p.p., questione che assume specifica rilevanza in ordine alla fattispecie oggetto del ricorso qui in esame.
10. Il primo orientamento.
10.1. Si è formato, a tale riguardo, un orientamento inteso ad escluderne il rilievo ai fini della disciplina di cui all’art. 21 -bis cit. in esame (a partire da Cass. n. 3800/2025, seguita da Cass. n. 4291/2025 e Cass. n. 4294/2025).
È stato, in particolare, affermato, che, pur dovendosi considerare che nel giudizio penale la prova positiva dell’innocenza dell’imputato (art. 530, comma 1) e la prova negativa della sua responsabilità (art. 530,
comma 2) hanno pari valore, la giurisprudenza civile, invece, nell’interpretare gli artt. 651 -654 c.p.p., ha distinto le due situazioni, attribuendo differente valore alle ipotesi di assoluzione pronunciate a norma del primo comma rispetto a quelle pronunciate a norma del secondo comma , con orientamento consolidato da oltre trent’anni e che ha trovato il suo riconoscimento anche da parte delle Sezioni Unite (v. Sez. U, n. 1768 del 26/01/2011, che, con riguardo all’art. 652, ma anche rispetto agli artt. 651, 653 e 654 c.p.p., ha affermato che «la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto»). Il principio, si osserva, è stato affermato anche dal giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sez. 2, n. 2509 del 2014), secondo il quale « l’efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la su ssistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell’art. 530, comma 1, c.p.p.».
10.2. La giustificazione logica e giuridica dell’orientamento che distingue la rilevanza ai fini civili tra i due commi viene altresì colta nel fatto che il fondamento sostanziale della scelta di attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione (per le formule assolutorie di insussistenza del fatto e per non aver commesso il fatto, qui in rilievo) deriva dal maggior approfondimento istruttorio che caratterizza il processo penale rispetto a quello civile (e tributario) e dalla possibilità, propria del processo penale, di ricostruire la situazione fattuale con estrema certezza.
10.3. Tale condizione (ossia la ricostruzione della situazione fattuale con estrema certezza) si avrebbe, tuttavia, solamente nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 1, c.p.p. (prova positiva che superi ogni ragionevole dubbio) e non nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 2, c.p.p. (prova mancante, insufficiente o carente).
11. Il secondo orientamento.
11.1. La tesi contraria, favorevole alla estensione degli effetti dell’art. 21 -bis cit. anche alle sentenze di assoluzione con formula di merito pronunciate ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p., è ravvisabile, seppure in forma inespressa, in Cass. n. 23570/2024 e Cass. n. 23609/2024.
11.2. Per completezza, a tale riguardo, può osservarsi che l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74/2000 sfugge al sistema degli artt. 651-654 c.p.p., ponendosi come regola autonoma e speciale, e dunque verrebbe meno anche il riferimento agli esiti della consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo.
Ciò vale, in primo luogo, in relazione ai presupposti di applicabilità, rilevandosi, ad esempio, che l’art. 21 -bis cit., a differenza della disciplina dettata dall’art. 65 2 c.p.p., non equipara, quoad effectum , alla sentenza dibattimentale la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442 c.p.p., anche se la parte civile abbia accettato il rito abbreviato.
Ancora, e con maggior rilievo euristico, la disciplina del l’art. 21 -bis cit. elude la clausola di compatibilità con le limitazioni alla prova imposte dalla ‘legge civile’ predicata dall’art. 654 c.p.c.
11.3. E dunque, in ragione della autonomia della nuova disciplina, potrebbe valorizzarsi l’elemento testuale della mancata esplicita esclusione, ne ll’art. 21 -bis cit., del l’efficacia extra -penale della sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p . Osservandosi che la ratio della novella è dichiaratamente semplificatoria, di integrazione completa dei due sistemi, e tende ad uniformare gli esiti penali e tributari sui medesimi fatti accertati, potrebbe pertanto ritenersi che, se il legislatore avesse voluto escludere il secondo comma lo avrebbe fatto, così come ha escluso le assoluzioni a seguito di giudizi non dibattimentali. 11.4. Infine, sul versante prospettico del rispetto del principio del ne bis in idem , non appare peregrino osservare che anche il secondo
comma dell’art. 530 c.p. p. esprime un accertamento, negativo, in merito alla insussistenza dei fatti materiali oggetto della imputazione, per come contestati, comuni ai fatti oggetto della pretesa tributaria.
12. Conclusioni.
Il Collegio ritiene, in conclusione, che, considerati la non uniformità della decisioni assunte e la rilevanza dei principi sottesi, di ambito generale, possano ricorrere i presupposti per una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c., in merito all’ambito di efficacia dall’art. 21 -bis d.lgs. n. 74/2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. m), d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, in vigore dal 29 giugno 2024, quindi trasposto nell’art. 119 del Testo unico della giustizia tributaria (D.lgs. 14 novembre 2024, n. 175), vigente dal 1° gennaio 2026, sia in relazione al profilo della estensione anche al rapporto impositivo degli effetti della sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa ad esito del dibattimento con la formula “perché il fatto non sussiste”, sia in ordine alla applicabilità della nuova disciplina alla ipotesi di assoluzione con la formula prevista dal secondo comma dell’art. 530 del codice di procedura penale,
È opportuno, pertanto, ai sensi del richiamato art. 374, secondo comma, c.p.c., rimettere gli atti alla Prima Presidente per le sue determinazioni in ordine alla eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite per questione di massima di particolare importanza
P.Q.M.
rimette gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite.
Così deciso in Roma, il 05/02/2025 ed il 28/02/2025.