Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 5788/2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difesa, per procura a margine del controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 502/2017 della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 20 febbraio 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Prato l’avviso di accertamento notificatogli il 30 ottobre 2012, con il quale l’A genzia delle entrate aveva ripreso a tassazione maggiori redditi accertati a fini Irpef per l’anno d’imposta 2005.
Dalle verifiche svolte era infatti emerso che il contribuente non aveva compilato il quadro RW della dichiarazione dei redditi 2006 in presenza di investimenti finanziari all’estero ; egli, inoltre, aveva omesso di dichiarare, come redditi di capitali, gli interessi che rinvenivano da tali investimenti.
Il COGNOME, per vero, aveva avviato il procedimento di regolarizzazione delle attività finanziarie detenute all’estero, presentando l’apposita dichiarazione riservata il 28 febbraio 2010.
L ‘Amministrazione , tuttavia, aveva ritenuto tale circostanza irrilevante, perché in data anteriore era stato notificato al contribuente un invito a rendere chiarimenti, ai sensi dell’art. 37 -bis , comma quarto, del d.P.R. n. 600/1973, in relazione ad operazioni societarie e di compravendita immobiliare poste in essere in concorso con altri; e l’art. 14, comma 7, del d.l. n. 350/2001 prevedeva l’inefficacia del rimpatrio delle attività laddove, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, il contribuente avesse già ricevuto la
contestazione di una delle violazioni inerenti alle disponibilità finanziarie all’estero , ovvero avessero avuto inizio accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento delle quali l’interessato aveva avuto formale conoscenza.
Il ricorso del contribuente fu respinto.
La pronunzia venne tuttavia integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali rilevarono anzitutto che l’invito a chiarimenti rivolto dall’Ufficio al COGNOME aveva ad oggetto un’ipotetica attività elusiva, relativa alla cessione di quote societarie e del sottostante patrimonio immobiliare; si trattava, quindi, di una vicenda totalmente non pertinente alla detenzione di attività finanziarie all’estero.
Ciò posto, osservarono che l’art. 14, comma 7, del d.l. n. 350/2001, nel neutralizzare gli effetti del cd. scudo fiscale, è certamente ispirato dalla ratio di impedire il riconoscimento di benefici ai contribuenti ‘attenzionati’ dell’avvio di procedure accertative nei loro confronti, ma che, in questo senso, è pur sempre necessario che tali procedure riguardino il rimpatrio, e non altre violazioni fiscali o contributive.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L’intimato ha resistito con controricorso e depositato memoria in prossimità dell’udienza .
Il Pubblico Ministero ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.
Considerato che:
Con l’unico mezzo di impugnazione, l’Agenzia delle entrate deduce violazione dell’art. 13 -bis del d.l. n. 78/2009 e dell’ art. 15 del d.l. n. 350/2001.
La ricorrente critica l’interpretazione della disciplina del cd. scudo fiscale resa dai giudici d’appello, assumendo che sarebbe ostativo all’accesso ai relativi benefici l’inizio di ogni tipo di «attività di accertamento tributario», secondo l’indicazione offerta dall’art. 14 del d.l. n. 350/2001.
La censura è infondata.
2.1. L’art. 13 -bis del d.l. n. 78/2009, convertito con modificazioni nella l. n. 102/2009, consente l’accesso a una sanatoria fiscale per coloro che detengano attività finanziarie e patrimoniali al di fuori dello Stato e procedano al rimpatrio o alla regolarizzazione delle stesse, mediante il rilascio dell’apposita dichiarazione riservata di cui all’ art. 13 del d.l. n. 350/2001, convertito con modificazioni nella l. n. 409/2001, anch’esso relativo all’emersione delle attività detenute all’estero .
La disciplina della relativa procedura contiene un rinvio all’art. 14, comma 7, del decreto ultimo citato, che così dispone: « Il rimpatrio delle attività non produce gli effetti di cui al presente articolo quando, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, una delle violazioni delle norme indicate al comma 1 è stata già constatata o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza ».
2.2. Secondo l’Agenzia ricorrente, detta norma andrebbe interpretata nel senso di ritenere che la locuzione « attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno
avuto formale conoscenza » sia riferita a tutte le ipotesi di violazione fiscale, e non solo a quelle connesse alla detenzione di attività all’estero .
La tesi si fonda, anzitutto, su un criterio ermeneutico letterale; l’A genzia delle entrate sottolinea, infatti, che il legislatore ha utilizzato un ‘espressione ampia ed omnicomprensiva, che non può essere altrimenti interpretata.
Ancora, la ricorrente predica l’irragionevolezza di una lettura limitativa della norma, che circoscrive le attività di accesso alle disponibilità estere; gli inviti, gli accessi, le verifiche e, più in generale, ogni istruttoria in ambito fiscale, infatti, mira ad attivare un controllo su una posizione ancora da conoscere e, come tale, dagli esiti non preventivabili.
Infine, e secondo un criterio di interpretazione teleologica, l ‘Amministrazione sostiene che, al fine di selezionare gli accertamenti rilevanti, si dovrebbe valutare la potenziale attitudine di un controllo già attivato a determinare la constatazione di una violazione astrattamente riconducibile alle somme o alle attività illecitamente costituite o detenute all’estero .
In tal senso, e con riferimento al caso di specie, vi sarebbe una chiara correlazione di intenti fra le indagini avviate con l’invito ex art. 37bis del d.P.R. n. 600/1973 in materia di elusione fiscale e la normativa sul monitoraggio delle disponibilità finanziarie all’estero , chiaramente ispirata da finalità antielusive e antievasive.
2.3. Questi argomenti non appaiono persuasivi.
Quanto al dato letterale della norma richiamata, essa ritaglia evidentemente un perimetro di non accessibilità ai benefici del rimpatrio che comprende sia il caso in cui una violazione sia già stata
contestata, sia il caso in cui sia stato solo avviato un accertamento che possa condurre alla contestazione.
Non vi sono dubbi che, per il primo caso, osti alla concessione dei benefici il fatto che la violazione riguardi il settore delle attività finanziarie all’estero.
Stando così le cose, tuttavia (e come ha sottolineato il Procuratore Generale), non è ipotizzabile che il legislatore abbia imposto una condizione più rigida per l’accesso a i benefici nel caso in cui la constatazione non abbia ancora avuto luogo -ritenendo sufficiente la pendenza di un accertamento su una qualsiasi violazione fiscale, anche se avulsa dalla materia del rimpatrio di capitali -ed abbia invece richiesto che, ove già concluso, l’accertamento debba riguardare solo tale ultimo ambito.
Sul punto, va invece condivisa la sentenza d’appello, laddove ha affermato che « la mancata produzione degli effetti della norma si ha non solo quando alla data di presentazione della dichiarazione riservata una delle violazioni delle norme indicate al comma primo è già stata constatata, ma anche quando si è in presenza di un’attività prodromica che può portare alla relativa constatazione » (pag. 6).
È ben vero, in proposito, che gli esiti degli accertamenti non sono sempre preventivabili, ma è proprio questa la ragione per la quale, in presenza di accertamenti ‘generici’, l’accesso ai benefici è precluso solo dal fatto che gli stessi siano poi sfociati in una contestazione pertinente alla specifica materia.
Diversamente opinando, del resto, tale preclusione resterebbe priva di significato, essendo sufficiente il pregresso avvio di un accertamento ‘generico’ a privare dei suoi effetti la dichiarazione riservata; essa, invece, si spiega proprio con riferimento ai casi in cui un accertamento a più largo raggio consenta, nel corso delle
operazioni, di delineare una violazione più definita, che dev’essere contestata al contribuente per bloccare l’accesso al beneficio.
2.4. Le ulteriori considerazioni svolte dalla ricorrente, infine, appaiono volte a sollecitare un sindacato non consentito in questa sede.
L’Amministrazione sostiene infatti che l’invito notificato al contribuente nel caso di specie sarebbe afferente alla materia delle attività detenute all’estero; ma si tratta di indagine consistente in un accertamento di fatto sul contenuto delle relative indagini e, pertanto, estraneo al perimetro del giudizio di legittimità.
2.5. È opportuno, in conclusione, formulare il seguente principio di diritto:
‘In tema di «scudo fiscale», l’art. 14, comma 7, del d.l. 25 settembre 2001, n. 350, conv. con modif. dalla l. n. 409 del 2001, non consente al contribuente di accedere ai benefici d’imposta previsti per il rimpatrio delle attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato, giusta il richiamo operato dall’art. 13 -bis del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. con modif. nella l. n. 102 del 2009, quando, alla data di presentazione dell’apposita dichiarazione riservata, è stata già constatata una violazione in materia di detenzioni finanziarie all’estero, «o comunque sono già iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo di cui gli interessati hanno avuto formale conoscenza».
Tale ultima preclusione deve intendersi limitata ai casi in cui l’accertamento in corso riguardi la stessa materia delle detenzioni all’estero, essendo irragionevole un’interpretazione riferita ad ogni tipo di indagine fiscale, che comporterebbe un limite all’accesso al beneficio in fase anteriore alla contestazione più stringente di quello previsto per il caso in cui la violazione è già stata contestata’ .
3. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Poiché la parte soccombente è un’amministrazione dello Stato patrocinata dall’Avvocatura generale, non si dà luogo alla condanna della stessa al pagamento di un importo pari al contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 7.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario ed oneri di legge . Così deciso in Roma, il 15 aprile 2025.