Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27133 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27133 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5039/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO-ROMA n. 369/2021 depositata il 21/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Deve premettersi che la causa approda per la seconda volta in cassazione, dopo che la Sez. 5 Civ., con la sentenza n. 34577 del 2019, aveva cassato con rinvio la sentenza d’appello.
La CTP di Roma aveva parzialmente accolto il ricorso di NOME COGNOME contro l’avviso con il quale l’Ufficio aveva accertato induttivamente, ai sensi degli artt. 39, comma 2, DPR n. 600 del 1973 e 55 DPR n. 633 del 1972, per l’anno d’imposta 2003, ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP, un reddito d’impresa ed un valore della produzione netta pari ad euro 435.414,49 e, ai fini dell’IVA, un volume d’affari, relativo ad operazioni non dichiarate, pari ad euro 755.685,59; rideterminando pertanto le relative imposte, con gli interessi e le conseguenti sanzioni. In particolare, l’Ufficio aveva chiesto alla contribuente, lavoratrice autonoma, di fornire chiarimenti in ordine all’elevata capacità di spesa, che ella aveva giustificato con documentazione riguardante il rimpatrio, nell’anno d’imposta, mediante il cd. scudo fiscale di cui all’art. 14, comma 1, lett. a), d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, della somma di euro 1.474.960,00. L’Ufficio aveva ritenuto la documentazione idonea, invitando tuttavia la contribuente, a seguito del controllo autorizzato degli estratti di quattro conti correnti bancari intestati alla medesima, a presentare giustificazioni delle movimentazioni effettuate. All’esito, ritenuto che non fossero state fornite giustificazioni sufficienti, emetteva l’impugnato avviso. La CTR del Lazio, con sentenza n. 55/22/2012, depositata il 27 febbraio 2012, accoglieva l’appello principale della contribuente e rigettava l’incidentale dell’Agenzia delle entrate. Questa proponeva ricorso per cassazione, volto a denunciare, con due motivi (sotto il profilo del difetto motivazionale e della violazione di legge) l’erroneità della sentenza d’appello, in ragione dell’aver ‘ ritenuto che l’effetto
preclusivo dell’accertamento, proprio del c.d. ‘scudo fiscale’, oper automaticamente, a prescindere dalla riconducibilità, anche astratta, degli imponibili accertati alle somme detenute all’estero e rimpatriate dal contribuente imputato all’Ufficio l’onere di provare tale riconducibilità tra imponibile accertato e capitali ‘scudati’ ‘.
Come preannunciato, questa S.C., con la sentenza n. 34577 del 2019, accoglieva il ricorso ed annullava la sentenza d’appello con rinvio, sulla base di un’articolata motivazione, che distingueva in riferimento, da un lato, alle imposte dirette e, dall’altro, all’IVA. Siffatta distinzione si riscontra nelle due massime estratte dalla sentenza nei seguenti termini:
-In tema di esercizio del potere d’imposizione sui capitali c.d. “scudati”, l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario, previsto all’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350 del 2001, ha natura di misura eccezionale di agevolazione per il contribuente, il quale ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza dei presupposti; la limitazione normativa dell’inibizione dell’accertamento in riferimento agli «imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio» richiede la dimostrazione di una concreta correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio, restando pertanto escluse dall’efficacia inibente dello “scudo” tutte quelle fattispecie in cui l’accertamento abbia ad oggetto componenti estranei rispetto alle attività “scudate” e con essi non compatibili (Rv. 656734 -01);
-In materia di “scudo fiscale”, l’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350 del 2001, convertito dalla l. n. 409 del 2001 -nella versione applicabile “ratione temporis”, antecedente al d.l. n. 16 del 2012, che ne esclude espressamente l’applicazione all’accertamento dell’Iva -deve essere interpretato, in coerenza con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva n. 77/388/CEE e con la giurisprudenza comunitaria in materia di imposte sulla cifra d’affari, nel senso che il rimpatrio dei capitali “scudati” preclude, in riferimento ai periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, ogni accertamento tributario limitatamente alle imposte dirette ed agli imponibili che il contribuente dimostri oggettivamente correlati con le somme costituite all’estero e rimpatriate, non oltre l’importo di queste ultime, ma non inibisce l’accertamento relativamente ai rilievi in materia di Iva (Rv. 656734 -02).
4. La contribuente riassumeva il giudizio dinanzi alla CTR del Lazio, allegando, come da sentenza epigrafata, ‘ documentazione fornita dalla Banca Generali S.p.A. in cui si evidenzia che in data 31/03/2003 era stato eseguito un bonifico in entrata sul c/c di euro 1.474.959,80, corrispondente agli importi oggetto del rimpatrio . Nella lista dei movimenti contabili è riportata l’emissione di due assegni circolari di euro 133.663,30 cadauno emessi in data 17/12/2003 a favore della Banca Intesa S.p.A. con ultimi beneficiari i venditori dell’appartamento oggetto dell’atto di accertamento impugnato ‘. Inoltre, ‘ con memoria aggiuntiva ‘, ‘ ha allegato gli estratti conto trasmessile dalla Banca Popolare di Ancona, da cui risulta che la COGNOME nel mese di aprile 2004 ha ricevuto dal marito NOME COGNOME prima la somma di € 133.700,00 in data 16.04.2004 e poi la somma di € 74.634,26 in data 26.04.2004 . A tale importo deve essere aggiunta anche la
somma di € 332.673,42 che lo stesso COGNOME aveva corrisposto alla moglie in occasione del rogito notarile del 30.12.2003 ‘.
La CTR del Lazio, pronunciando in sede di rinvio, accoglieva l’appello principale della contribuente e rigettava quello incidentale dell’Ufficio, osservando, in motivazione, che ‘ la contribuente ha provato la compatibilità, cronologica e quantitativa, delle somme rimpatriate con le spese analizzate dall’Ufficio . Le tre dichiarazioni riservate delle attività emerse per un totale di € 1.474.960,00 bonificate sulla Banca Generali portano tutte la data del 3 aprile 2003. Le spese oggetto di accertamento tributario sono state effettuate nello stesso torno di tempo in quanto portano rispettivamente le date, di pochi mesi successive, del 18 luglio 2003, 30 dicembre 2003 e 13 febbraio 2004 . Che le spese siano non solo quantitativamente e cronologicamente ma anche astrattamente riconducibili a quelle rimpatriate si può nella specie ammettere sulla base della deduzione, formulata dalla contribuente alla stregua dei movimenti conto correntizi e non contestata dall’Ufficio, che nessuna risorsa capace di far fronte alle spese sostenute nel 2003/2004, prima del rimpatrio, era a sua disposizione . Posto che non si può richiedere una puntuale corrispondenza delle somme, la connessione o compatibilità degli imponibili accertati con le attività oggett emersione viene certamente rafforzata da questa, sia pur non completa, analiticità, documentata e non contestata, per cui deve concludersi che la contribuente, sia pure solo in questa fase e a seguito delle sollecitazioni deducibili dalla sentenza di rinvio della S. C., ha adempiuto all’onere probatorio, che su di essa incombeva, sulla sostanziale corrispondenza della somma delle spese sostenute a quelle rimpatriate e “scudate” ‘.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con tre motivi; la contribuente resta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I tre motivi di ricorso, per comunanza di censure, possono essere enunciati congiuntamente.
Con il primo motivo si denuncia: ‘ Violazione dell’art. 384 c.p.c. e nullità della motivazione per inesistenza o mera apparenza della motivazione sulla pretesa impositiva relativa all’IVA, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4) c.p.c.; violazione dell’art. 384 c.p.c. sotto ulteriore profilo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ‘. ‘ a Suprema Corte ha limitato il controllo del Giudice di rinvio alle imposte dirette, in conformità con la giurisprudenza comunitaria; di contro, la decisione della CTR in sede di rinvio ha integralmente accolto l’appello della contribuente e quindi integralmente annullato l’avviso di accertamento ‘. Inoltre, ‘ l’accertamento impugnato non era un accertamento sintetico; quindi, oggetto di accertamento non erano le spese . Il giudice del rinvio, pertanto, non doveva valutare se la contribuente avesse dato dimostrazione della compatibilità delle somme rimpatriate con le spese e così conferire decisiva rilevanza al fatto che fossero state effettuate in mesi successivi alle tre dichiarazioni riservate ; la CTR avrebbe dovuto, invece e come statuito da codesta Suprema Corte, verificare in concreto se le entrate e le uscite dai conti, e quindi il reddito accertato, avessero avuto ad oggetto le somme rimpatriate ‘.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e 61, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 394 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, numero 3), c.p.c. ‘. Illegittimamente la CTR ha fondato la decisione su ‘ allegazioni e prove documentali introdotte per la prima volta dalla contribuente in sede di rinvio ‘.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘ In via gradata: Violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 1, lett. a), del D.L. n. 350/2001 e dell’art. 32 del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3), c.p.c. ‘. ‘ Il giudice del rinvio , non solo ha esteso illegittimamente l’efficacia inibente dello scudo all’IVA, ma non ha affatto verificato se gli imponibili accertati erano quantitativamente e cronologicamente riferibili ai capitali rimpatriati ‘.
Sono fondati il primo ed il secondo motivo, assorbito il terzo.
5.1. Con riferimento al primo, il giudice di rinvio ha inosservato il mandato rimessogli.
5.1.1. Anzitutto, ritenendo l’illegittimità ‘in toto’ dell’avviso di accertamento, che pur conteneva (altresì) riprese ai fini dell’IVA, esso ha totalmente negletto avere questa S.C., nella sentenza rescindente, escluso alcun effetto del rimpatrio di somme a seguito di scudo fiscale sul recupero dell’IVA (comprensivo, oltreché degli interessi, anche delle sanzioni), per incompatibilità dell’art. 14, comma 1, lett. a), del d.l. n. 350 del 2001 con il diritto dell’Unione europea, siccome interpretato, con efficacia vincolante, dalla Corte di giustizia; invero, chiarissimamente, ma vanamente, questa S.C. ha specificato, nella sentenza rescindente, che, dovendosi disapplicare la disciplina interna per la suddetta incompatibilità, con conseguente inidoneità ‘a priori’ dello scudo fiscale ‘ ad inibire l’accertamento controverso relativamente ai rilievi in materia d’Iva ‘, compito del giudice di rinvio avrebbe dovuto essere, puramente e semplicemente, quello della ‘ prosecuzione del giudizio , limitatamente alle questioni rimaste assorbite dalla decisione d’appello cassata ‘. Tale compito, come subito sarà chiaro, è stato disatteso dal giudice di rinvio, che, oltretutto, ‘a priori’, avendo annullato l’avviso anche relativamente all’IVA, si è ‘in parte qua’
posto in verticale contrasto con la questione già (definitivamente) decisa da questa S.C.
5.1.2. In secondo luogo, con riferimento ai recuperi delle imposte dirette, il medesimo ha inosservato, svuotandolo, il contenuto dell’onere probatorio del contribuente, siccome invece puntualmente delineato da questa S.C. al par. 2.5 della sentenza rescindente. Esigeva, invano, questa S.C. ‘ la dimostrazione di una concreta ‘ – e dunque non astratta, generica, o meramente teorica – ‘ correlazione oggettiva (quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione, oltre che cronologica e quantitativa) tra il reddito accertato ‘ – ossia una grandezza di flusso in un dato periodo, ben distinta dalle disponibilità sufficienti a sostenere una capacità di spesa – ‘ e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai beni emersi a seguito dei rimpatrio ‘. E la ragione di siffatto rigore nella valutazione della prova che incombe al contribuente risiede evidentemente nella necessità di evitare che questi, invocando l” ombrello protettivo ‘ dello scudo, possa sottrarre a tassazione ‘ componenti estranei rispetto alle attività ‘scudate’ ‘. Donde l’esigenza – non a caso ben sottolineata nella sentenza rescindente – della dimostrazione positiva (in quanto ancorata a dati concreti) e sufficientemente specifica (in quanto analitica) di una ‘ correlazione oggettiva ‘ (ossia documentata) tra reddito e somme scudate: correlazione che deve conclusivamente inscriversi in un quadro ‘ quanto meno di compatibilità, se non di immediata derivazione ‘ (sul duplice ma concorrente piano ‘ cronologic e quantitativ ‘). È, cioè, necessario che il contribuente ricostruisca, con attendibile conducenza, la disponibilità delle somme scudate, onde dimostrare che di esse si è alimentato il reddito accertato.
5.2.3. A fronte di ciò, la CTR – laddove ritiene la pretesa impositiva ‘ superata dalle allegazioni della contribuente nella
memoria aggiuntiva relativamente agli estratti conto almeno della Banca popolare di Ancona ‘, in quanto ‘ la connessione o compatibilità degli imponibili accertati con le attività oggett emersione viene certamente rafforzata da questa, sia pur non completa, analiticità ‘ – compie (per di più al netto di quel che si affermerà a proposito del secondo motivo) un duplice errore:
-valorizza, in una totale confusione concettuale, un’ossimorica ‘ analiticità ‘ ‘ non completa ‘, che, oltre a stridere per un’intrinseca contraddittorietà concettuale, di per sé non soddisfa l’onere della dimostrazione di quella ‘ concreta correlazione oggettiva ‘ – che non può che essere anche completa tra il reddito accertato e la provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati ‘, ‘ concreta correlazione oggettiva ‘ di cui espressamente, nei termini poc’anzi illustrati, ragiona la sentenza rescindente;
-tradisce ‘funditus’ la necessaria correlazione, a termini della sentenza rescindente, tra la ‘ provenienza delle somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati ‘ ed il ‘ reddito ‘, valorizzando invece l’inconferente correlazione tra siffatta provenienza e le spese (‘rectius’, la capacità di spesa).
5.3. Può ora passarsi al secondo motivo. La CTR è caduta in ulteriore errore, allorquando ha attribuito rilevanza, in favore della contribuente, a documentazione dalla medesima versata solo in sede di rinvio, contravvenendo all’insegnamento secondo cui ‘ l’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che fa salva la produzione di nuovi documenti, non si applica nel giudizio riassunto a seguito di cassazione con rinvio della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, trovando applicazione la disciplina specifica del successivo art. 63, comma 4, in base al quale, essendo sostanzialmente chiusa l’istruzione, è preclusa l’acquisizione di nuove prove, in particolare documentali, salvo che sia giustificata da fatti sopravvenuti riguardanti la controversia in
decisione, da esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento o dall’impossibilità di produrli in precedenza per causa di forza maggiore ‘ (così, recentemente, tra le numerose altre, Cass. n. 28976 del 2023, nonché, da ultimo, Cass. n. 19126 del 2025). Nella specie, dalla sentenza impugnata non consta avere la contribuente dedotto e documentato cause di forza maggiore ostative alla tempestiva produzione. Né detta sentenza accenna ad ‘ esigenze istruttorie derivanti dalla sentenza di annullamento ‘: esigenze, in effetti, del tutto insussistenti alla luce del tenore letterale della sentenza rescindente, la quale, laddove rassegna il mandato al giudice di rinvio (parr. 2.6, p. 11 e 3.4, p. 18), recita semplicemente che ‘ la causa va rinviata al giudice d’appello affinché, effettuati i predetti accertamenti in fatto – con riguardo ai movimenti bancari oggetto dell’accertamento e le somme giustificate altrimenti dalla contribuente -ed applicati i principi sopra esposti, provveda a nuova decisione di merito ‘, nonché che ‘ nel caso controverso, lo ‘scudo fiscale’ era a priori inidoneo ad inibire l’accertamento controverso relativamente ai rilievi in materia d’Iva, cosicché alla cassazione della sentenza impugnata consegue la prosecuzione del giudizio di rinvio, ‘in parte qua’, limitatamente alle questioni rimaste assorbite dalla decisione d’appello cassata ‘.
Conclusivamente, in accoglimento del primo e del secondo motivo, assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata con (ulteriore) rinvio, affinché il giudice di merito proceda a nuovo esame, nella rigorosa osservanza della sentenza rescindente e dei principi più sopra esplicativamente riassunti, oltreché alla definitiva regolazione tra le parti delle spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla
Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 16 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME
NOME