Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32685 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32685 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: genericità inventario e fattura
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1474/2024 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale in atti (PEC: EMAIL
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore e rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, n. 878/02/2023 depositata in data 12/09/2023, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–NOME COGNOME ricorreva avverso l’avviso di accertamento notificatole relativo a maggiori imposte per l’annualità 2012;
la CTP accoglieva l’impugnazione; appellava l’Ufficio;
con la sentenza qui gravata la CTR ha riformato la pronuncia di primo grado in quanto ha ritenuto difettoso il carattere di analiticità delle scritture d’inventario; secondo la CTR la distinta inventariale difetta dell’elemento essenziale e cioè la quantità dei beni raggruppati nelle singole categorie, dal momento che invece si limita a riportare genericamente la tipologia dei beni quali ‘maglie’, ‘camicie’ ‘jeans’, ‘costumi’, ‘scarpe’, ‘bijoux’ ; essa indica anche un costo di acquisto unitario uguale. La successiva distinta inventariale, riferita al 1°gennaio 2012, ancora secondo il giudice di secondo grado, indica invece le richieste puntualizzazioni in tema di pezzature e valori; mentre o in sede di accertamento è stata esibita una prima ‘scheda’ priva dei riferimenti ex lege, nel processo è stata invece allegata una ‘scheda’ completa di tali riferimenti. Inoltre, osserva ancora la sentenza impugnata, risulta estremamente generica la fattura di vendita n.6 del 16 marzo 2012 dove gli articoli sono divisi secondo la denominazione della Ditta produttrice, circostanza che -secondo tale pronuncia – impedisce qualsiasi controllo incrociato;
ricorre a questa Corte la contribuente con atto affidato a sei motivi;
-l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
Considerato che:
Cons. Est. NOME COGNOME 2 – il primo motivo deduce la nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente e illogica in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e art. 36, comma 2, n. 4, d. Lgs. n. 546 del 1992 e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.; la CTR, secondo parte ricorrente avrebbe, reso motivazione apparente ed illogica circa la
correttezza della documentazione inventariale presentata con particolare riguardo alla scheda giacenze al 1° gennaio 2012;
il secondo motivo censura la pronuncia gravata per motivazione apparente in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e art. 36, comma 2, n. 4, d. Lgs. n. 546 del 1992 e art. 111 Cost in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.; denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alle domande ed eccezioni di parte appellata in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.; la ricorrente denuncia poi sotto un duplice profilo la nullità della sentenza anche nel capo ove è stata ritenuta legittima la ricostruzione reddituale dell’Agenzia delle Entrate senza nemmeno dare conto delle critiche svolte nella sentenza di primo grado e dei rilievi dell’odierna esponente in entrambi i gradi di giudizio;
infine, il motivo censura anche l’omessa pronuncia in relazione ai medesimi profili per i quali la ricorrente ha dedotto il vizio di motivazione apparente;
i sopradetti motivi sono infondati;
come è noto, l’apparenza motivazionale ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019; ma già Cass. S.U. n. 22232/2016). A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. disposta dall’art. 54 del d. L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle disposizione preliminari al codice civile, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U., n. 8053, 7/4/2014; Cass. S.U. n. 8054, 7/4/2014; Cass. Sez. 6-2, ord., n. 21257, 8/10/2014). Applicando i principi di cui innanzi alla fattispecie in esame, l’invocata violazione non sussiste essendo comprensibile il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito;
in particolare, la pronuncia di appello ha esaminato la distinta inventariale redatta dalla contribuente al 31 dicembre 2011, che ha ritenuta carente proprio dell’elemento essenziale prescritto dall’art. 15 secondo comma del d.P.R. n. 600 del 1973 vale a dire la quantità dei beni raggruppati nelle singole categorie, dal momento che invece si limita a riportare genericamente la tipologia dei beni quali ‘maglie’, ‘camicie’ ‘jeans’, ‘costumi’, ‘scarpe’, ‘bijoux’; ha poi osservato che oltre a mancare la quantità delle varie tipologie pare molto anomalo il fatto che gli articoli raggruppati nelle varie categorie, verosimilmente di marchi diversi, di diversa fabbricazione e di diverso pregio abbiano un costo di acquisto unitario uguale;
Cons. Est. NOME COGNOME 4 – essa ha poi valutato del tutto anomalo che una successiva distinta inventariale, riferita al 1° gennaio 2012, indichi invece le richieste
puntualizzazioni in tema di pezzature e valori. Più in dettaglio in sede di accertamento è stata poi esibita una prima ‘scheda’ priva dei riferimenti ex lege mentre in sede di ricorso è stata invece allegata una ‘scheda’ completa di tali riferimenti; quanto sopra si aggiunge -ancora secondo la sentenza di appello l’estrema genericità della fattura di vendita n.6 del 16 marzo 2012 dove gli articoli sono divisi secondo la denominazione della Ditta produttrice, circostanza che impedisce qualsiasi controllo incrociato: da una parte si indicano giacenze di gonne, pantaloni, camicie etc. etc. dall’altra si indica la vendita di numero x di articoli prodotti da vari Gazel, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE etc. etc.;
inoltre, la Corte di secondo grado, con riguardo alla censura che si incentra sulla omessa pronuncia, ha invero dettagliatamente preso in esame ogni elemento dedotto dalle parti, dimostrando di aver statuito su tutte le questioni e le circostanze che le sono state sottoposte;
con riguardo, inoltre, all’omessa pronuncia ulteriormente dedotta, tale profilo del secondo motivo risulta evidentemente contraddittorio rispetto alla censura pure proposta di difetto assoluto di motivazione, la quale che presuppone comunque un esame della domanda risolta per l’ appunto con motivazione apparente; in ultimo, dalla lettura della pronuncia impugnata risulta che la CTR abbia preso posizione in ordine a ogni questione sottoposta al suo giudizio;
il terzo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), 39 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art . 15 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cc in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente il giudice del merito ha ritenuto erroneamente sussistenti le condizioni di cui agli artt. 39 comma 2 del d.p.r. n. 600 del 1973 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, ai fini del legittimo esperimento di una attività accertativa di carattere induttivo c.d. ‘ puro ‘ , con ricorso a elementi presuntivi, anche privi di gravità, precisione e concordanza;
sostiene in dettaglio la ricorrente che nella scheda delle giacenze al 1° gennaio 2012, depositata alla Agenzia delle Entrate giusto verbale del 4 aprile 2017 (Registro Ufficiale 0020776), erano perfettamente indicate le quantità per le voci indicate dalla contribuente;
il motivo può trattarsi congiuntamente con il successivo quarto motivo di ricorso, che denuncia parimenti la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), 39 comma 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. in quanto il giudice del merito si sarebbe, secondo parte ricorrente, concentrato dapprima sulle scritture inventariali, ponendo poi a base del proprio decidere ‘l’estrema genericità della fattura di vendita n.6 del 16 marzo 2012 dove gli articoli sono divisi secondo la denominazione della Ditta produttrice, circostanza che impedisce qualsiasi controllo incrociato’ . Alla luce di tale circostanza, la sentenza di appello, sempre secondo parte ricorrente, avrebbe quindi concluso erroneamente che ‘tutto questo ha comportato una analitica ricostruzione (cfr. pagg. 3-5 dell’avviso impugnato in I° grado) dei movimenti finanziari con recupero a tassazione, cui si rimanda’ ;
osserva il Collegio, preliminarmente, che la censura è rispettosa del principio di specificità e localizzazione, trascrivendosi in ricorso per cassazione il contenuto della scheda inventariale di cui si è detto, sia la fattura in argomento, documenti che sono poi anche prodotti di fronte a questa Corte;
venendo al contenuto delle stesse, le doglianze si rivelano fondate;
è ben vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte (si veda per tutte Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15022 del 15/07/2020) in tema di accertamento delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 600 del 1973 l’inventario, oltre agli elementi richiesti dal codice civile e dalle leggi speciali, deve indicare con chiarezza la consistenza dei beni distinti in categorie omogenee per natura e valore nonché il valore
attribuito a ciascun gruppo; in mancanza di tali elementi, devono essere tenute a disposizione dell’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica, le distinte utilizzate per la compilazione dell’inventario, contenenti il dettaglio e la valorizzazione delle varie voci;
nondimeno, il dettaglio in argomento non deve raggiungere livelli di analiticità particolare, in quanto la sua funzione è quella di consentire all’Ufficio di esercitare il potere di controllo; controllo che si rende possibile -e che va valutato – non solo alla luce del contenuto informativo dei documenti inventariali ma anche della loro analiticità che non viene in rilievo né va apprezzata in valore assoluto, ma debitamente collocata nel contesto della attività esercitata dal contribuente e della dimensione dell’impresa;
questa Corte sul punto ha precisato (in termini si veda Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29105 del 13/11/2018) che in materia di imposte sui redditi, anche le imprese minori, che fruiscono del regime di contabilità semplificata, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 600 del 1973, devono indicare ogni anno nel registro degli acquisti, tenuto ai fini IVA, il valore delle rimanenze, senza limitarsi ad annotare quello globale, ma distinguendo i beni per categorie omogenee, del medesimo tipo e della stessa quantità, con analiticità adeguata rispetto all’attività esercitata, analiticità che può essere sindacata dall’Ufficio solo ove il difetto della stessa impedisca in concreto l’esercizio della funzione di controllo;
in assenza di tali indicazioni – che ove fatte oggetto di richiesta da parte dei verificatori possono essere fornite dal contribuente anche in sede procedimentale durante l’accesso, l’ispezione e la verifica l’Amministrazione finanziaria può ritenere inattendibile la contabilità e procedere all’accertamento induttivo;
Cons. Est. NOME COGNOME 7 – nella fattispecie in esame, le indicazioni riportate nella scheda inventariale al 1° gennaio 2012, per vero distingue i beni per categorie e valori oltre che per quantità, come la stessa CTR in parte riconosce: tali informazioni risultano sotto questo profilo, diversamente da quanto
ritenuto dalla CTR in altro passo della propria motivazione, del tutto adeguate a consentire l’esercizio dell’attività di controllo da parte dell’Ufficio ;
analogamente, le indicazioni relative a natura, qualità e quantità dei beni riportate nella fattura n. 1/2012 di cui al motivo non costituiscono elemento indiziario idoneo a fondare l’accertamento induttivo, in quanto scevre da irregolarità;
in tale documento contabile si attesta la cessione di beni ‘a stock, collezioni vecchie’ in forza dell’avvio della liquidazione dell’impresa ; tale modalità di cessione è quindi espressamente e chiaramente indicata nel documento contabile e l’emissione della fattura risale a poco più di un mese prima della cessazione dell’attività (verificatasi di lì a poco, il 14 marzo 2021); si tratta di elementi documentali e fattuali che rendono l’indicazione utilizzata adeguatamente puntuale, analitica e chiara ai fini di consentire l’esercizio dell’attività di controllo dell’Ufficio;
si ricordi che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di IVA, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, quindi, idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità delle prestazioni attestate (Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10); nondimeno è consentito al contribuente integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare, ad esempio, la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010);
con riguardo specifico alle indicazioni richieste dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, si deve ricordare anche che esse rispondono ad una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione, da indicarsi specificandone natura, qualità e quantità, e, di conseguenza, a permettere l’espletamento delle attività di controllo e
verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 21980/2015);
– questo Collegio intende sul punto dare continuità al richiamato orientamento, anche recentemente confermato (Cass. n. 18208/2021) per quanto riguarda, in particolare, l’IVA, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Unionale (sentenza 15 settembre 2016, causa C516/14, COGNOME RAGIONE_SOCIALE e Aduaneira), secondo la quale la normativa sovraordinata prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della c.d. sesta direttiva IVA), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi, al fine di consentire alle Amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’IVA; – e comunque, secondo il Giudice Unionale, l’Amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale; – nel presente caso, l’insieme della documentazione, vale a dire la fattura, le fatture nel loro complesso e le scritture inventariali, esaminate congiuntamente, consentivano l’ esercizio adeguato dell’attività di controllo diretto a verificare il rispetto degli obblighi tributari senza ricorrere all’accertamento induttivo;
in ogni caso, poi, non si evince per vero nemmeno dalla sentenza impugnata che tali indicazioni documentali abbiano in qualche modo reso più difficile l’attività in argomento;
pertanto, in accoglimento del terzo e del quarto motivo, la sentenza va cassata con rinvio al giudice del merito che riesaminerà il fatto alla stregua dei sopra illustrati principi;
alla luce della decisione che precede, il quinto motivo, che censura la sentenza impugnata per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. così come il sesto motivo che si incentra ancora sull’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. con riferimento alla omessa valutazione di fatti/elementi decisivi idonei a confermare la correttezza dei ricavi dichiarati dalla contribuente in ordine alle vendite effettuate, escludendosi l’ammissibilità della ricostruzione induttiva dell’Ufficio, sono assorbiti in quanto divenuti irrilevanti ai fini del decidere;
p.q.m.
accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso; rigetta il primo e il secondo motivo; dichiara assorbito il quinto e il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana in diversa composizione alla quale demanda provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di Legittimità.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2024.