Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11740 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11740 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12943/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
E CONTRO
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA della C.T.R. L’AQUILA dell’ABRUZZO n. 1119/2016 depositata il 21/11/2016 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. Ing. COGNOME RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo la quale -in totale riforma della sentenza della C.T.P. di Teramo che aveva accolto il ricorso della società contribuente per l’annullamento della cartella esattoriale con cui era recuperata la somma di euro 63.295,77 a titolo di acconti non versati per IRES ed IRAP – ha dichiarato con il dispositivo che ‘il recupero di imposta di cui alla cartella impugnata debba comprendere, per i motivi esposti in motivazione, l’intero importo di euro 65.877,00 indicato dal contribuente al rigo RN 22 della dichiarazione del modello unico per l’anno 2010 ai fini Ires ed Irap, salva la determinazione dell’imposta dovuta a seguito delle agevolazioni introdotte con la L. 183/2011 e la valutazione dei versamenti nel frattempo effettuati dal contribuente per il periodo di imposta in questione (2010)’.
La C.T.R. ha dato atto che la controversia ha per oggetto la dichiarazione presentata dalla società ai fini IRES ed
–
contro
ricorrente-
IRAP, per l’anno di imposta 2010 (modello UNICO 2011) e che l’Ufficio, in sede di liquidazione, aveva parzialmente riconosciuto l’importo degli acconti indicati dal contribuente in euro 65.877,00 nei limiti dell’imposta dovuta, disconoscendo la differenza richiesta dal contribuente, in quanto costituente credito di imposta, non legittimamente utilizzabile per le dichiarazione dei redditi successive alla scadenza del periodo di sospensione dei versamenti (30 giugno 2010 -20 dicembre 2010), fissato dalla legge, quale agevolazione fiscale prevista a seguito del sisma del 6 aprile 2009. Ciò premesso, ha ritenuto di non condividere le due diverse impostazioni offerte dalle parti. Al contrario, ha affermato che, in assenza di allegazione da parte del contribuente di documentazione attestante il versamento di quanto dichiarato al rigo RN 22, in relazione agli acconti, l’Ufficio avrebbe dovuto, in sede di liquidazione ex art. 36 d.P.R. 600 del 1973, disconoscere l’intero importo, in quanto non documentato ai sensi dell’art. 79 T.U.I.R., secondo il quale gli acconti si scomputano dall’imposta ai sensi dell’art. 22 T.U.I.R., e richiesto dalla parte in violazione dell’art. 80 T.U.I.R. che regola il riporto del credito, il rimborso o la compensazione degli acconti eseguiti rispetto all’imposta dovuta. In particolare, ha escluso la rilevanza delle istruzioni ministeriali, poste dall’Ufficio alla base del riconoscimento della legittimità degli acconti sospesi e non versati, assumendo che le uniche agevolazioni sono quelle di cui alla normativa primaria, ovverosia dall’art. 33, comma 28 l. 83 del 2011, che prevede la ripresa della riscossione per i tributi rimasti sospesi senza applicazione delle sanzioni, degli interessi e degli oneri accessori, con il pagamento di 120 rate mensili a decorrere dal gennaio 2012, relativamente all’ammontare di ciascun tributo, il cui pagamento era oggetto di sospensione, al netto dei versamenti già eseguiti. Da questo quadro la C.T.R. ha desunto che gli acconti di imposta, sospesi e non versati non
possano generare un credito di imposta, neppure nella forma della compensazione dell’eventuale debito, come preteso dall’Ufficio, sicché l’indicazione da parte della società contribuente, nella dichiarazione reddituale relativa all’anno di imposta 2010, di acconti non versati ed il relativo scomputo dall’imposta dovuta, con determinazione di un saldo pari a zero e di un credito di imposta per l’eccedenza non è legittimo. Ma, essendo illegittima anche la tesi propugnata dall’Ufficio, secondo la quale ancorché non compensabili gli acconti sospesi sono legittimamente indicati, ha ritenuto di dover estendere il sindacato al merito della controversia, affermando che la pretesa erariale deve coincidere con il disconoscimento totale dell’importo dichiarato al rigo RN 22, del modello Unico per l’anno 2010.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La soc. Ing. COGNOME RAGIONE_SOCIALE. formula quattro motivi di impugnazione.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n.4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la decisione travalicato i limiti della domanda, pronunciando ultra petita . Ricorda che l’Agenzia delle Entrate, attric e in senso sostanziale, con l’iscrizione a ruolo e la successiva cartella di pagamento aveva enucleato la pretesa determinandola nella misura della differenza fra gli acconti, calcolati con il metodo c.d. storico, come indicati in dichiarazione, e le imposte dovute a saldo, determinando una maggior IRAP per euro 6.723,00 ed una maggiore IRES per euro 41.996,00. In particolare, come spiegato dallo stesso Ufficio negli scritti difensivi, gli acconti IRES erano stati riconosciuti
come non dovuti (o meglio legittimamente sospesi) sino alla concorrenza del rigo differenza RN17, essendo il criterio adottato finalizzato all’azzeramento del saldo dovuto (altrimenti pari ad euro 23.881,00) ma non come strumento di emersione di un credito integralmente riportabile ad annualità successive. Lo stesso era avvenuto per l’IRAP. Rammenta che l’Agenzia, riconoscendo la coerenza della tesi della contribuente all’interno del regime anteriore alla l. 183 del 2011, ha sostenuto, in via subordinata che, nel successivo quadro normativo la riduzione del credito avrebbe potuto essere determinata in misura pari a quella degli acconti, cioè nella misura del 40%, con corrispondente obbligo restitutorio di cui alla cartella, pari al 60% del credito recuperato. Nondimeno, la C.T.R., discostandosi da entrambe le prospettazioni dell’Ufficio, si è pronunciata accertando una pretesa erariale superiore a quella portata nella cartella, che rappresenta il limite della domanda che il giudice non può oltrepassare, se non decidendo in ultrapetizione.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 79 e 80 T.U.I.R., 22 d.l. 78 del 2009, 39 del d.l. 78/2010, così come modificato dall’art. 33, comma 28 della l. 183 del 2011, nonché dell’art. 3, comma 2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 42341 del 16 marzo 2010 e dell’art. 3 comma 2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 151122 del 23 novembre 2010. Rammenta che all’indomani del sisma del 6 aprile 2009, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3780 del 6 giugno 2009, era stata disposta la sospensione degli adempimenti fiscali e che la loro ripresa era stata disciplinata in via generale dall’art. 25 del d.l. 78 del 2009, ed indi, per i soli residenti all’interno del cratere, dall’art. 39 del d.l. 78 del 2010, prevedendosi poi con i provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 4231
del 16 marzo 2010 e n. 151122 del 23 novembre 2010, che al pagamento delle somme dovute si dovesse provvedere, a seconda della collocazione della residenza del contribuente fuori o dentro il cratere, rispettivamente in sessanta ed in centoventi rate mensili, senza applicazione di sanzioni ed interessi e con decorrenza dal gennaio 2011. Con la successiva l. 183 del 2011 (art. 33 comma 28), si è, invece, limitato al 40% il pagamento delle somme dovute, in relazione ai versamenti per i quali era stata disposta la sospensione. Nella prospettiva indicata da siffatta normativa, la contribuente, in assenza di disposizioni che regolassero in modo specifico il trattamento degli acconti dichiarati e non versati alla scadenza per effetto della sospensione e della successiva rateizzazione, ha indicato nella dichiarazione reddituale l’importo degli acconti, determinati con metodo storico, avuto riguardo all’imposta relativa all’anno precedente, riportando un credito pari all’eccedenza degli acconti non versati rispetto al saldo dovuto. Sottolinea che nessun rilievo, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, può essere attribuito alla circostanza che agli acconti da scomputare non siano in realtà mai stati versati, essendo i medesimi versati in un momento successivo e ratealmente come previsto dalle disposizioni regolanti il pagamento dei tributi, a seguito del sisma dell’Abruzzo.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 79 e 80 T.U.I.R., 22 d.l. 78 del 2009, 39 del d.l. 78/2010, così come modificato dall’art. 33, comma 28 della l. 183 del 2011, nonché dell’art. 3, comma 2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 42341 del 16 marzo 2010 e dell’art. 3 comma 2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 151122 del 23 novembre 2010, nonché dell’art. 67 d.P.R. 600 del 1973. In via subordinata all’accoglimento del
motivo che precede, osserva che, in forza dell’intervento dell’art. 28 comma 33 della l. 183 del 2011, tenendo conto che è stata disposta la riduzione delle somme dovute nella misura del 40%, la C.T.R. avrebbe dovuto limitare l’ammontare del recupero al 60% dell’importo complessivo degli acconti IRES ed IRAP, ripristinando la corrispondenza fra somme versate e versande (in forza del pagamento rateale) e quelle scomputabili.
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360, comma 1 n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del d.lgs. 472 del 1997 e dell’art. 10 della l. 212 del 2000, per non avere la C.T.R. escluso la debenza delle sanzioni, in evidente assenza di colpa da parte della società contribuente, stante la mancanza di una previsione espressa sul trattamento da riservare agli acconti non versati.
Il primo motivo è fondato. Invero, la sentenza esorbita dai limiti della pretesa erariale portati dalla cartella esattoriale impugnata. Al di là dell’interpretazione assegnata alle norme che disciplinano la materia fatta propria dal giudice, che ben può essere diversa da quella prospettata dalle parti in giudizio e non coincidere con nessuna delle tesi dalle medesime propugnate, vi è che, in alcun modo, è consentito al giudice di determinare il credito tributario in misura superiore a quello indicato dall’atto impugnato. La cartella di pagamento, così come l’avviso di accertamento, ed in generale gli atti impositivi, circoscrivono, infatti, il contenuto della domanda formulata nei confronti del contribuente dall’amministrazione fiscale, che, in quanto attr ice sostanziale nelle cause di impugnazione, mai può essere superata in sede di decisione sulla pretesa ivi delineata, se non incorrendo nella violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c..
Il secondo motivo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
La società ricorrente assume l’erroneità della sentenza impugnata per non avere riconosciuto la sussistenza del diritto della società contribuente ad indicare quale credito di imposta le somme relative agli acconti calcolati con il metodo storico, non versati per effetto della sospensione collegata al sisma dell’Abruzzo del 6 aprile 2009, il cui pagamento è stato dilazionato in centoventi rate mensili, ancorché – in assenza di una disposizione diretta a regolamentare espressamente il regime degli acconti – siffatta soluzione sia desumibile dal sistema agevolativo risultante dalla normazione emergenziale.
Ora, per dare soluzione alla questione, appare necessario introdurre alcune considerazioni, richiamando i precedenti di legittimità, pronunciati in casi analoghi.
Senza ripercorrere storicamente lo snodarsi dei provvedimenti di normazione primaria e secondaria che hanno caratterizzato il dopo-sisma in Abruzzo -fra l’altro ordinatamente esposti in ricorso- può semplicemente ricordarsi che, sospesi i pagamenti tributari con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6 giugno 2009, la loro ripresa è stata regolata dall’art. 25, comma 2 d.l. 78 del 2009, conv. con mod. nella l. 102 del 2009, norma avente portata generale, e dall’art. 39 d.l. 78 del 2010 conv. con mod. nella l. 122 del 2010 -quest’ultimo riservato ai soli contribuenti residenti all’interno del c.d. cratere del sisma – che, da un lato, hanno stabilito che ai tributi non versati nel periodo di sospensione non si applicassero sanzioni ed interessi, dall’altro, hanno introdotto i termini del differimento del pagamento dei tributi non versati, rispettivamente in sessanta e centoventi rate mensili. Successivamente l’art. 33, comma 28, ultima parte della l. 183 del 2011, ha disposto che ‘L’ammontare dovuto per ciascun tributo o contributo, ovvero per ciascun carico iscritto a ruolo, oggetto delle sospensioni, al netto dei versamenti già eseguiti, è
ridotto al 40 per cento’ (cfr. sulle differenze di disciplina fra contribuenti residenti al di fuori e dentro il cratere Cass. Sez. 5, Ordinanza, n. 9385 del 8/04/2024).
A fronte di queste disposizioni, la Corte di legittimità ha ritenuto che lo scopo della normativa fosse quello ‘di agevolare, in maniera graduata, i soggetti colpiti dall’evento sismico dell’Abruzzo, senza ovviamente che le disposizioni debbano essere interpretate in guisa da recare agli interessati addirittura una locupletazione’ (così Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12558 del 19/03/2024; in parte ripresa da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11242 del 26/04/2024). Siffatta locupletazione, infatti, si realizzerebbe, laddove fosse consentito che gli acconti non versati, da pagarsi in una pluralità di rate (centoventi, nel caso di specie, trattandosi di società ricadente nel cratere), fossero portati a credito e scontati negli anni successivi, posto che essi verrebbero decurtati per l’intero, ancorché pagati successivamente solo nella misura del 40% del dovuto. Così facendo, invero, si produrrebbe l’effetto di riconoscere al contribuente ‘una sorta di bonus aggiuntivo, che nessuna legge ha mai previsto’ ( ibidem ). Diversamente, imputando la somma dovuta a titolo di acconto non versato nei limiti dell’imposta dovuta, da pagarsi nella misura del 40%, si eviterebbe che l’importo dell’acconto non versato -che tra l’altro sarà corrisposto solo nella misura ridotta, ai sensi dell’art. 33, comma 28 l. 183 del 2011 ed in una pluralità di rate- sia scomputato per l’intero dalle imposte dovute per annualità successive ed estranee al beneficio riconosciuto dalla legge a salvaguardia dei contribuenti colpiti dall’evento sismico.
Una simile impostazione, che induce a ritenere superabile, sul punto, qualsiasi apparente discrasia in tema di disciplina di dettaglio tra il Provvedimento direttoriale prot. 2010/42341 avente come destinatari i residenti fuori cratere ed
il successivo Provvedimento direttoriale n. 2010/151122 riguardante i residenti nel cratere, che non reca, diversamente dal primo, al par. 3.2. quanto alle modalità di ripresa della riscossione, l’inciso ‘nei limiti dell’imposta dovuta a saldo’, peraltro, si concilia con la lettera dell’art. 22 T.U.I.R. che autorizza lo scomputo degli acconti solo in relazione ‘ai versamenti eseguiti’ a tale titolo dal contribuente.
Limitare lo scomputo alle somme effettivamente versate, fra l’altro, consente, nel caso in cui il contribuente – nonostante la normativa emergenziale di sospensione dei pagamenti- abbia effettivamente corrisposto l’acconto per l’intero, il rimborso degli importi corrisposti in eccedenza alla misura del 40% fissata dall’art. 33, comma 28 l. 183 del 2011, come è stato riconosciuto da questa Sezione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24307 del 3 aprile 2019, che richiama alcune pronunce relative all’applicazione della normativa agevolativa per i contribuenti colpiti dal sisma del dicembre 1990 nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa).
Si è, infatti, affermato che ‘che la norma successiva, che riduce il tributo dovuto per un certo periodo di tempo, rende quest’ultimo, se pagato integralmente, una sorta di indebito, essendo venuta meno, benché a posteriori, la causa del versamento, con conseguente diritto ex lege del contribuente alla restituzione (sul sisma che ha interessato nel 1997 Molise e Puglia: Sez. 5, n. 19037 del 10 settembre 2014)’ (così ancora: Sez. 5, Ordinanza n. 24307 del 3 aprile 2019).
Ma se è consentito il rimborso delle somme versate in eccedenza, e se quelle somme possono essere, alternativamente, portate in compensazione, allora si chiarisce ancor meglio che, se si consentisse lo scomputo per l’intero di acconti non versati dalle annualità successive, si introdurrebbe una discriminazione fra chi quegli acconti li ha effettivamente
versati per l’intero, e li porta in compensazione in quanto non effettivamente dovuti (stante la riduzione dell’imposta al 40%), e chi invece non li ha versati e li porta in scomputo per l’intero nella prospettiva di versarne solo una frazione (40%) in futuro (in una pluralità di rate).
Nondimeno, è parimenti evidente, sotto il profilo logico, che il recupero totale della somma portata a credito e non versata, non può intervenire per l’intero, essendo la medesima dovuta solo nella frazione del 40%, come stabilito l’art. 33, comma 28, ultima parte della l. 183 del 2011 (secondo il quale, come si è detto, ‘L’ammontare dovuto per ciascun tributo o contributo, ovvero per ciascun carico iscritto a ruolo, oggetto delle sospensioni, al netto dei versamenti già eseguiti, è ridotto al 40 per cento’).
Ne consegue che la cartella, con la quale si recupera la somma per l’intero va annullata per la parte eccedente quella misura, al netto degli acconti già versati.
Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
‘In tema di agevolazioni fiscali concernenti il sisma Abruzzo 2009 , non è autorizzato lo scomputo per l’intero delle somme dovute a titolo di acconti di imposta, ove esse non siano ancora state versate per effetto della rateizzazione del pagamento disposta dall’art. 39 d. l. n. 78 del 2010 conv. con mod. nella l. 122 del 2010, in favore dei contribuenti colpiti dall’evento sismico residenti nel c.d. ‘cratere’, in quanto, da un lato, l’art. 22 comma 1 lett. b) T.U.I.R. autorizza solo lo scomputo delle somme effettivamente versate, dall’altro, l’art. 33, comma 28 ultima parte della l. 183 del 2011 riduce l’importo dei tributi dovuti nella misura del 40%, sicché lo scomputo dell’intero rappresenterebbe una ingiustificata locupletazione non consentita dalla legge’.
Il quarto motivo è fondato.
L’assenza di normativa espressa sulla modalità di trattamento degli acconti non versati deve condurre all’esclusione dell’elemento soggettivo, richiesto dall’art. 5 del d.lgs. 472 del 1997, a mente del quale l’applicazione delle sanzioni amministrative è subordinata alla condotta ‘cosciente e volontaria, dolosa o colposa’ del contribuente. E’ infatti dolosa, ai sensi della disposizione, ‘la violazione attuata con l’intento di pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero diretta ad ostacolare l’attività amministrativa di accertamento’ (comma 4) mentre è connotata da colpa grave -in quanto cosciente ‘l’imperizia o la negligenza (…) indiscutibile’ allorquando non sia ‘possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e di conseguenza risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari’ (comma 3).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, al fine di determinare, al netto degli acconti versati, la misura del recupero di cui alla cartella impugnata, demandando anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, cui manda anche la liquidazione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 22 gennaio 2025