Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15504 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15504 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23418/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL .
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, sezione staccata di Latina, n. 6765/19, depositata in data 3 dicembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dall ‘Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE av ente ad oggetto l’avviso di accertamento, con il quale, per l’anno d’imposta relativo al 2011, aveva proceduto al recupero di maggiori Ires, Irap e Iva accertate nei confronti della stessa società, considerata obbligata in solido con la società accertata RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 173, comma 13, del TUIR e 15, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che: la presente controversia riguardava la società RAGIONE_SOCIALE la quale era chiamata a rispondere del mancato pagamento delle imposte rimaste inevase da parte della società RAGIONE_SOCIALE; il titolo della pretesa tributaria, nel caso in esame, era costituito dalla condizione di debitore solidale della società evocata in giudizio derivante dall’operazione di scissione societaria; l’operazione di scissione societaria presentava caratteristiche del tutto peculiari, atteso che dal riscontro effettuato dalla Guardia di Finanza, in sede di verifica fiscale, era emerso che i documenti contabili della società RAGIONE_SOCIALE erano stati consegnati dal precedente amministratore, Sig. NOME COGNOME, al nuovo amministratore, Sig. NOME COGNOME e che quest’ultimo era risultato irreperibile; restava il fatto che il pvc inerente la verifica fiscale era stato consegnato al Sig. NOME COGNOME e che l’avviso di
accertamento emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE riportava il riferimento alle risultanze della verifica e le considerazioni svolte dall’Agenzia e che, in tale assetto, doveva ritenersi pienamente assolto l’obbligo di motivazione degli atti impositivi; era necessario rilevare che la mancata esibizione dei documenti contabili, in sede di verifica ispettiva, costituiva il presupposto normativo per l’applicazione della disposizione di cui all’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973; l’operato dell’Ufficio risultava legittimo dal punto di vista formale e congruo dal punto di vista sostanziale; infatti, l’accertamento induttivo aveva preso le mosse da elementi concreti, quali i dati relativi al cd. «spesometro», dove venivano indicate tutte le operazioni rilevanti ai fini IVA uguali o superiori a euro 3.000,00 e tale modus procedendi non poteva essere censurato mediante riferimenti ad atti di un procedimento penale, aperto a carico dei Sigg. NOME COGNOME e NOME COGNOME proprio in relazione all’operazione di scissione societaria, in quanto dell’esito di tale procedimento non risultava nulla agli atti del presente giudizio e, in secondo luogo, dalla lettura della perizia, risultava che il CT, dott. COGNOME aveva compiuto valutazioni di natura diversa rispetto a quelle tipiche dell’ordinamento tributario, in considerazione della necessità che in sede penale fosse accertata la sussistenza o meno di un reato; sulle sanzioni, il comportamento assunto dalle parti intervenute nel processo di scissione era improntato quanto meno all’elemento soggettivo della colpa grave; in realtà, lo scopo dell’operazione appariva almeno sospetto, come confermato dall’avvio di un procedimento penale nei confronti degli amministratori delle società che si erano succeduti nel tempo, né andava trascurato che lo stesso CT della Procura della Repubblica di Latina aveva concluso che, nell’intervallo temporale pluriennale preso in considerazione, si era concretizzata una evasione dell’IVA per oltre 3 milioni di euro e che tale fatto era ascrivibile alla condotta dei predetti amministratori; infine,
per quanto concerneva i motivi assorbiti nella sentenza di primo grado, le questioni restavano assorbite, tenuto conto della duplice circostanza che sulle stesse il giudice di primo grado non si era pronunciato e che la parte costituita aveva operato un mero rinvio alle stesse.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
1 . Il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 23, comma 2bis , del d.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’amministrazione digitale), in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. I giudici dell’appello, nella sentenza impugnata, non si erano pronunciati sulle eccezioni preliminari proposte dalla società contribuente. La società ricorrente aveva, in modo specifico, riproposto in appello, le eccezioni rimaste assorbite dalla sentenza di primo grado, argomentando le dette eccezioni in due capitoli e spendendo ben 4 pagine delle Controdeduzioni (pag. 26-29), per riproporre specificamente le dette eccezioni. Conseguentemente, i giudici della CTR, errando completamente, avevano omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, atteso che la contestazione circa l’omessa sottoscrizione dell’avviso di accertamento impugnato, ove verificata ed accertata, comportava la giuridica inesistenza dell’atto impugnato, ovvero la nullità dell’atto stesso. Inoltre, prima della modifica normativa introdotta dall’art. 2 del d.lgs. n. 217 del 2017, (con decorrenza dal 27 gennaio 2018), la firma
digitale non era ammessa in materia fiscale per la sottoscrizione di un atto ispettivo o di controllo, come l’avviso di accertamento.
1.1 Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
1.2 È innanzi tutto inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
1.3 È in secondo luogo inammissibile perché la società ha proposto la censura sotto lo specifico profilo di violazione di legge (e specificamente dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 23, comma 2 -bis , del d.lgs., n. 82 del 2005) e non di quello di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.. Cass., 7 maggio 2018, n. 10862; Cass., 20 febbraio 2014, n. 4036). Ed invero, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra, infatti, una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente
ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. (Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759)
1.4 Il motivo è inammissibile pure sotto lo specifico profilo di omesso esame della sottoscrizione dell’avviso di accertamento impugnato, in quanto il vizio contemplato dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (nella formulazione disposta dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis ), concerne esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti e postula l’esatto adempimento degli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, qui, invece, rimasti assolutamente inosservati.
1.5 Il motivo è pure inammissibile perché deduce l’omessa pronuncia su una eccezione formulata nel giudizio di primo grado ( nullità dell’avviso di accertamento perché firmato digitalmente e notificato in forma cartacea a mezzo del servizio postale ) in difetto di autosufficienza non essendo stato trascritto il contenuto del ricorso di primo grado dove la società ricorrente assume di avere dedotto tale eccezione, né il contenuto delle controdeduzioni svolte in appello dalla società vittoriosa in primo grado (cfr. Cass., 8 giugno 2016, n. 11738; Cass., 4 luglio 2014, n. 15367; Cass., 4 marzo 2013, n. 5344), ciò tenuto conto che è onere della parte interamente vittoriosa in primo grado riproporre le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, intendendosi altrimenti rinunciate, ex art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 che ricalca l’art. 346 cod. proc. civ.. (Cass., 30 novembre 2023, n. 33347; Cass., 9 ottobre 2020, n. 21808) e che nel giudizio tributario è previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 il divieto di
proporre nuove eccezioni in sede di gravame, che concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale (Cass., 22 settembre 2017, n. 22015; Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224; Cass., 31 maggio 2016, n. 11223).
1.6 Non è superfluo rilevare, in ultimo, che, nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono prospettabili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass., 16 ottobre 2018, n. 25863, in motivazione; Cass., 26 marzo 2012, n. 4787).
1.7 Il motivo, comunque, è pure infondato, in quanto questa Corte più volte ha affermato, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente che l’avviso di accertamento non è riconducibile agli atti ispettivi o di controllo, e che « L’avviso di accertamento firmato digitalmente nel regime di cui all’art. 2, comma 6, d.lgs. n. 82 del 2005 (“ratione temporis” vigente dal 14 settembre 2016 fino al 26 gennaio 2018), non è nullo per difetto di sottoscrizione, posto che l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi » (Cass., 12 giugno 2024, n. 16293; Cass., 22 aprile 2024, n. 10829; Cass., 9 novembre 2021, n. 32692; Cass., 26 gennaio 2021, nn. 1155 e 1157; Cass., 21 gennaio 2021, n. 1150). Correttamente, infatti, la ratio dell’esclusione degli atti propedeutici all’esercizio del potere di accertamento (e non anche dell’avviso di accertamento) è stata rinvenuta nel fatto che nell’ambito di tali attività di verifica si impone
la partecipazione del contribuente che potrebbe non essere munito di firma digitale, sicché l’applicazione del CAD determinerebbe un aggravio dei suoi diritti di difesa ed un ostacolo al rapporto di collaborazione che dovrebbe sempre ispirare tali incombenti.
2. Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1297 c.c., dell’art. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n.600/ del 1973, dell’art. 7 della legge n. 212/2000 e dell’art. 3 della legge n.241/90, in relazione all’art. 360 comma primo, n. 3, c.p.c. I giudici della CTR, interpretando in malo modo l’art. 1297 c.c. e violando la detta norma e gli insegnamenti della Corte di Cassazione, avevano precluso alla società obbligata in solido (RAGIONE_SOCIALE, società beneficiaria della scissione) di far legittimamente valere le eccezioni ed argomentazioni difensive inerenti i fatti e gli atti che concernevano l’esistenza del credito fiscale, fatti questi che si riflettevano pienamente nella sfera di tutti i soggetti del rapporto solidale, per quanto si fossero spiegati verso uno solo di essi, cioè l’obbligato principale RAGIONE_SOCIALE (società scissa). La motivazione fornita dai giudici della CTR sulla validità della motivazione dell’avviso di accertamento risultava completamente errata, in quanto nell’avviso di accertamento era stato ripetutamente richiamato il PVC redatto dai militi della Guardia di Finanza nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, senza che lo stesso fosse stato allegato. Mancava la prova della notificazione di tale PVC alla società accertata RAGIONE_SOCIALE ed al suo legale rappresentate sig. NOME COGNOME e della richiesta a quest’ultimo della documentazione contabile ed amministrativa ex art. 32, primo comma, numeri 3) e 4), del d.P.R. 600 del 1973, da cui poi era scaturito l’accertamento induttivo. L’avviso di accertamento era nullo perché non riproduceva il contenuto essenziale del PVC. Inoltre, i giudici della CTR avevano omesso di rilevare che l’avviso di accertamento contestato era ulteriormente nullo perché motivato in modo acritico per relationem al verbale della Guardia di Finanza e
l’Agenzia delle Entrate non aveva eseguito un vaglio critico dell’operato della Guardia di Finanza.
Il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 2, dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., e la carenza dei presupposti per l’accertamento di tipo induttivo. Negli avvisi di accertamento impugnati mancava la fondamentale prova dell’avvenuta richiesta della documentazione contabile ed amministrativa nei confronti della società sottoposta a verifica, la RAGIONE_SOCIALE, in quanto la documentazione era stata richiesta a COGNOME Marco (socio ed amministratore della RAGIONE_SOCIALE, società beneficiaria della scissione, obbligata in solido e non sottoposta a verifica. I giudici della CTR del Lazio avrebbero dovuto verificare che l’Amministrazione finanziaria avesse fornito la prova della regolare notificazione, da parte dei militi della Guardia di Finanza, della richiesta dei documenti amministrativi e contabili e della regolare notificazione del successivo PVC a COGNOME NOME, legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE società verificata. La conseguenza di tale omessa consegna di documentazione a seguito del predetto invito sarebbe stata l’applicazione dell’art. 39, comma 2 lett. dbis) , del d.P.R. n. 633 del 1972 e non dell’art. 39, comma 2, lett. c) del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972, come erroneamente avvenuto da parte dell’Ufficio e confermato da parte dei giudici della CTR nella sentenza contestata.
3.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi e in parte sovrapponibili, sono infondati.
3.2 Deve premettersi che la giurisprudenza di legittimità, cui s’intende dare piena continuità, ha affermato che « In tema di scissione societaria, la società beneficiaria è solidalmente responsabile per i debiti erariali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione produce effetti, e può essere richiesta del pagamento di tali debiti senza oneri di avvisi o altri adempimenti
da parte dell’Amministrazione, non pregiudicando tale disciplina il diritto di difesa della società beneficiaria la quale è a conoscenza della situazione debitoria della società scissa, ivi comprese le pendenze tributarie, e può dedurre, in sede di opposizione alla cartella, ogni argomentazione per contestare la pretesa impositiva » (Cass., 21 giugno 2019, n. 16710).
Si è anche condivisibilmente evidenziato che « Quando sia realizzata un’operazione di scissione parziale, la responsabilità per i debiti fiscali riguardanti gli anni di imposta ad essa antecedenti, prevista dall’art. 173, comma 13, d.P.R. n. 917 del 1986, e confermata, quanto alle somme dovute per violazioni tributarie, dall’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, diverge da quella riguardante le obbligazioni civili, soggetta invece ai limiti di cui agli artt. 2506-bis, comma 2, e 2506quater, comma 3, c.c., in quanto, fermi gli obblighi erariali in capo alla scissa e alla designata, si estende non solo solidalmente, ma anche illimitatamente a tutte le società partecipanti all’operazione, indipendentemente dalle quote di patrimonio assegnato con detta operazione, senza che tale differente trattamento sia costituzionalmente illegittimo, siccome rispondente all’esigenza di un’agevole riscossione dei tributi nel rispetto del principio costituzionale di pareggio del bilancio e a criteri di adeguatezza e di proporzionalità, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 90 del 2018» (Cass., 10 febbraio 2021, n. 3233; Cass., 6 dicembre 2018, n. 31591).
Già in precedenza la Corte di legittimità aveva incisivamente puntualizzato che « i procedimenti riguardanti gli obblighi tributari concernenti periodi d’imposta anteriori alla scissione di società sono svolti nei confronti della società scissa, se si sia trattato di scissione parziale, e di quella designata, se la scissione sia stata totale, ma possono essere adottati i provvedimenti cautelari e compiute tutte le attività di riscossione anche nei confronti delle beneficiarie
solidalmente responsabili, ai sensi dell’art. 173, comma 13, del d.P.R. n. 917 del 1986, “ratione temporis” vigente, senza oneri di avvisi o altri adempimenti per l’Amministrazione, salva la possibilità per quelle beneficiarie di partecipare ai relativi procedimenti e prendere visione degli atti. Pertanto, notificato l’avviso di accertamento nei confronti della società scissa o designata, anche in epoca successiva all’efficacia della scissione, non vi è necessità di rinnovare la notifica, né di integrare il contenuto della cartella di pagamento nei confronti delle società beneficiarie suddette » (Cass., 16 novembre 2016, n. 23342).
In buona sostanza, per i debiti fiscali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori all’operazione rispondono solidalmente ed illimitatamente tutte le società partecipanti alla scissione, come conferma l’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, che, con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza delle violazioni fiscali commesse dalla società scissa, prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie, differentemente dalla disciplina della responsabilità relativa alle obbligazioni civili, per la quale, invece, gli artt. 2506bis , comma 2, e 2506quater , comma 3, c.c., prevedono precisi limiti.
In tale quadro, come affermato nel citato precedente del 2016, in relazione agli avvisi di accertamento notificati alla società scissa prima della scissione, non è necessario reiterare la notifica degli stessi alla società beneficiaria ai fini dell’avanzamento del procedimento di accertamento e di riscossione (Cass., 24 giugno 2015, n. 13059).
Si tratta di orientamento fondato su quanto stabilito dall’articolo 173, comma 13, d.P.R. n. 917 del 1986, secondo cui i controlli ed i procedimenti accertativi sono svolti nei confronti della società scissa o, in caso di scissione totale, di quella designata; fermo restando che le altre società coobbligate « hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’amministrazione ».
La disposizione legislativa – volta a garantire un ruolo partecipativo in capo alle società solidalmente responsabili per i debiti della società scissa -risulta conforme alla natura stessa dell’operazione straordinaria in questione, nella quale la società beneficiaria, indipendentemente dalla sua distinta soggettività e personalità giuridica, ha modo di acquisire, attraverso i propri organi, piena contezza della situazione debitoria della società scissa, del resto normalmente descritta nel progetto di scissione.
E non vi è dubbio che in tale sfera di conoscenza rientrino anche le pendenze tributarie già contestate alla società scissa con motivati avvisi di accertamento. Da ciò consegue come – per effetto sia del suddetto ruolo partecipativo ed informativo, sia della ordinaria conoscenza della situazione debitoria acquisita o acquisibile dalla società beneficiaria -quest’ultima possa essere richiesta del pagamento dall’amministrazione finanziaria mediante la notificazione di una cartella facente riferimento essenziale alla pretesa, e pur in assenza di previa emissione di ruolo, ovvero notificazione diretta di atto impositivo riproduttivo di quello già emesso nei confronti della società scissa.
La società beneficiaria della scissione non risulta, peraltro, assistita, nel rapporto impositivo, da alcun beneficio di preventiva escussione della società scissa, dal momento che quest’ultimo non è previsto dalla disciplina tributaria.
Va affermato, inoltre, che l’art. 173 del d.P.R. n. 917 del 1986 disposizione inserita nella disciplina delle imposte dei redditi in quanto tale settore del diritto delle imposizioni è il più interessato ai fini delle operazioni di scissione, ma nei commi indicati da qualificarsi norma di diritto tributario generale, anche alla luce del tenore testuale degli stessi – esclude il sussistere di tali requisiti motivazionali ulteriori. Invero, fermo il cennato principio già affermato in giurisprudenza secondo cui, in base a detto art. 173, comma 13, non è necessario
reiterare la notifica dell’avviso di accertamento alla società beneficiaria della scissione ai fini dell’avanzamento del procedimento di riscossione, deve precisarsi che secondo lo stesso art. 173, comma 13, per le debenze tributarie anteriori alla scissione parziale, « gli accertamenti e ogni altro procedimento … sono svolti nei confronti della società scissa» (salva, nella scissione totale, la prosecuzione presso la designata in sede di operazione societaria o, in mancanza, individuata secondo un criterio obiettivo legale), mentre le società beneficiarie, obbligate in ogni tipologia di scissione solidalmente « ipso iure» e assoggettate anche ai provvedimenti cautelari consequenziali, hanno meramente « facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti », ciò che – responsabilizzando gli organi della società beneficiaria che dalla scissa traggono la loro ragion d’essere -implica che nessuno specifico ulteriore onere di comunicazione sussiste a carico dell’ente impositore (o, per esso, del concessionario per la riscossione), una volta che i passaggi procedimentali previsti siano stati attuati nei confronti della scissa.
In altri termini, la creazione di uno o più nuovi soggetti giuridici all’esito della scissione resta indifferente ai fini tributari, salvo che – ferma restando la responsabilità della scissa o della società beneficiaria designata -per la responsabilità, altrimenti insussistente, delle partecipanti quali condebitrici solidali a prescindere dai limiti di cui all’art. 2506quater c.c. e per la prosecuzione nei confronti di queste dell’accertamento e della riscossione, anche previ atti cautelari.
La ratio di tale disciplina va individuata, da un lato, nella circostanza per cui – secondo id quod plerumque accidit – gli organi delle società beneficiarie sono ben informati della precedente vita societaria e, dall’altro, nella irrazionalità di una diversa disciplina che imponesse all’amministrazione finanziaria, in dipendenza di una trasformazione societaria che l’amministrazione stessa non potrebbe in alcun modo impedire o posporre, procedimenti di accertamento o riscossione dei
tributi inutilmente aggravati e assoggettati a notevoli incertezze quanto alla regolarità, ove gli stessi dovessero essere rinnovati o integrati, potendo operazioni straordinarie di tal fatta essere realizzate in qualunque stadio dei procedimenti tributari, anche a fini di ostacolo dell’attività impositiva.
In tale quadro, ben si colloca l’espressione del testo di legge secondo cui i procedimenti di accertamento (e riscossione) sono svolti nei confronti della scissa, salva la facoltà di informarsi e partecipare degli organi della beneficiaria, « senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’Amministrazione ».
In tal senso, la disciplina eccezionale in parola non consente di tenere in alcun conto della diversa personalità giuridica della società beneficiaria e dell’esigenza, che ne deriverebbe, per cui gli organi di questa dovrebbero essere informati, con la cartella, del precedente avviso di accertamento soggettivamente loro ignoto; come già in altri termini esplicato, a fronte di una oggettiva conoscibilità degli atti in base alla prosecuzione di vita societaria tra scissa e partecipanti, alla eventuale soggettiva carenza informativa la legge sopperisce, con scelta non irrazionale e conforme al principio di buon andamento dell’amministrazione, non già con un accresciuto onere informativo e motivazionale a carico dell’apparato erariale, bensì attraverso una facoltà di partecipazione della società beneficiaria ai procedimenti concernenti la scissa che potrebbero coinvolgere la responsabilità solidale della beneficiaria; procedimenti dei quali gli organi della beneficiaria peraltro, come pure detto, sono ordinariamente edotti o possono esserlo usando la debita diligenza.
Necessita osservare che, come è stato precisato da questa Corte, la responsabilità concernente il debito d’imposta della società beneficiaria della scissione parziale non è un’obbligazione da fatto proprio, ma è propria, e scaturisce direttamente dalla legge, pur non avendo la
beneficiaria realizzato il fatto indice di capacità contributiva (Cass., 3 novembre 2022, n. 32469).
3.3 Tale essendo il quadro della disciplina di riferimento, consegue l’infondatezza dei rilievi mossi dalla società beneficiaria, con riferimento alla mancata prova della notifica del PVC richiamato nell’ avviso di accertamento a COGNOME NOME, legale rappresentante della società accertata ed obbligata principale RAGIONE_SOCIALE, e alla prova della richiesta dei militari della Guardia di Finanza della documentazione contabile ed amministrativa della società accertata RAGIONE_SOCIALE Ed invero, rileva in modo significativo quanto riportato a pag. 2 della sentenza impugnata, sulla complessiva operazione di scissione societaria: la scissione parziale ( avente ad oggetto la cessione del ramo d’azienda relativo alla costruzione di edifici per conto proprio e per conto di terzi, compreso il movimento terra ed il trasporto dei rifiuti non pericolosi ) era stata posta in essere in data 30 dicembre 2015, quando ancora rappresentante legale della società scissa era COGNOME NOME (COGNOME Mario era diventato legale rappresentante della scissa dal 18 giugno 2016 e seppure iscritto all’AIRE del Comune di Verona dal 22 ottobre 1996 e residente in Spagna, era risultato irreperibile), poi divenuto rappresentante legale della società beneficiaria, e la Guardia di Finanza aveva iniziato una verifica generale nei confronti della società scissa RAGIONE_SOCIALE in data 26 ottobre 2016 alla presenza di COGNOME COGNOME che si era conclusa con processo verbale di constatazione redatto in data 18 novembre 2016 nei confronti della società scissa RAGIONE_SOCIALE Dal che rileva la legittimità della procedura seguita dai militari della Guardia di Finanza che dapprima si sono recati presso la sede della società, sostanzialmente non rinvenendola, e dopo hanno accertato che il legale rappresentante della società (COGNOME Mario) si era reso irreperibile fuori dall’Italia non indicando alcun indirizzo ai sensi dell’art. 60, primo comma, lett. ebis , del d.P.R. n. 600 del 1973 che dispone che « è
facoltà del contribuente che non ha la residenza nello Stato e non vi ha eletto domicilio ai sensi della lettera d), o che non abbia costituito un rappresentante fiscale, comunicare al competente ufficio locale, con le modalità di cui alla stessa lettera d), l’indirizzo estero per la notificazione degli avvisi e degli altri atti che lo riguardano; salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione degli avvisi o degli atti è eseguita mediante spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento». Rileva, altresì, oltre al comma 13 dell’art. 173 TUIR (più volte richiamato ), anche il comma 14 dell’art. 173 TUIR che dispone che « Ai fini dei suddetti procedimenti la società scissa o quella designata debbono indicare, a richiesta degli organi dell’Amministrazione finanziaria, i soggetti e i luoghi presso i quali sono conservate, qualora non le conservi presso la propria sede legale, le scritture contabili e la documentazione amministrativa e contabile relative alla gestione della società scissa, con riferimento a ciascuna delle parti del suo patrimonio trasferite o rimaste. In caso di conservazione presso terzi estranei alla operazione deve essere inoltre esibita l’attestazione di cui all’articolo 52, comma 10, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Se la società scissa o quella designata non adempiono a tali obblighi o i soggetti da essa indicati si oppongono all’accesso o non esibiscono in tutto o in parte quanto ad essi richiesto, si applicano le disposizioni del comma 5 del suddetto articolo ».
3.4 La censura, peraltro, laddove contesta che l’ avviso di accertamento doveva ritenersi nullo poiché non riproduceva il contenuto essenziale del PVC, limitandosi a riportare solamente degli stralci ed operare continui richiami allo stesso, omettendo circostanze di estrema rilevanza come ad esempio la mancanza della prova dell’avvenuta formale notificazione a COGNOME NOME e della richiesta a quest’ultimo della documentazione contabile ed amministrativa, da cui poi era scaturito l’ accertamento induttivo, è inammissibile, perché censura un
accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, avendo i giudici di secondo grado affermato che il pvc inerente la verifica fiscale era stato consegnato al Sig. NOME COGNOME e che l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE riportava il riferimento alle risultanze della verifica e le considerazioni svolte dall’RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che doveva ritenersi pienamente assolto l’obbligo di motivazione degli atti impos itivi (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass., 11 settembre 2017, n. 21066; Cass., 11 aprile 2017, n. 9323; Cass., 15 aprile 2013, n. 131109). Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richi amato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva. Peraltro, i giudici di secondo grado, hanno compiuto tale accertamento in fatto, ad integrazione delle motivazioni già proposte dalla CTP (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), la quale aveva espressamente affermato che l’avviso di accertamento era
motivato e che lo stesso riproduceva il contenuto essenziale del PVC redatto dalla Guardia di Finanza (cfr. pag. 5 del controricorso nella parte in cui trascrive integralmente il contenuto della sentenza di primo grado). Infine, va rilevato che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., 14 gennaio 2015, n. 407; Cass., 2 luglio 2008, n. 18073), così nel caso in esame dove, come già detto, i giudici di merito hanno affermato che il PVC inerente la verifica fiscale era stato consegnato al sig. NOME COGNOME
3.5 La sentenza impugnata, in ultimo, conformemente ai principi statuiti da questa Corte, ha affermato che l’accertamento induttivo aveva trovato origine dalla mancata produzione delle scritture contabili, sottratte o comunque non disponibili per causa di forza maggiore. Va precisato, a tal proposito, che ai sensi dell’art. 39, comma secondo, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 (norma specificamente richiamata dai giudici di secondo grado), la determinazione del reddito di impresa può essere compiuta dall’amministrazione finanziaria prescindendo dalle presunzioni dotate dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; si tratta, dunque, di una metodologia di controllo che può essere attivata dall’Amministrazione finanziaria soltanto al ricorrere di precise condizioni caratterizzate da irregolarità estreme o comunque gravissime ed è in tali circostanze che i verificatori hanno facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili nei casi in cui siano esistenti e di utilizzare, oltre che prove dirette, anche elementi indiziari
connotati da una valenza dimostrativa non particolarmente pregnante, vale a dire presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, c.d. presunzioni semplicissime; in questo contesto, il discrimine tra l’accertamento condotto con il metodo analitico-induttivo e con il metodo induttivo puro va ricercato nella parziale od assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili; ed invero, nel primo caso, la incompletezza, falsità od inesattezza degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, essendo legittimato l’Ufficio accertatore a completare le lacune riscontrate utilizzando ai fini della dimostrazione della esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati ovvero della inesistenza di componenti negativi dichiarati anche presunzioni semplici rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 cod. civ.; nel secondo caso, invece, le omissioni o le false o inesatte indicazioni risultano tali da inficiare la attendibilità – e dunque la utilizzabilità, ai fini dell’accertamento anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), con la conseguenza che in questo caso l’Amministrazione finanziaria può prescindere in tutto od in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 cod. civ. (Cass., 18 dicembre 2019, n. 33604, in motivazione).
3.6 Va, in ultimo, disatteso il profilo alla censura relativo alla violazione dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 (norma anche questa correttamente indicata nell’avviso di accertamento, unitamente all’art. 39, comma secondo, del d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di accertamento induttivo e all’art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 in tema di detrazione Iva), questa Corte ha osservato che « L’accertamento parziale di cui all’ artt. 41 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del
1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole. Tale accertamento differisce da quello ordinario in ragione della disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi, non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne, idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento » (Cass., 22 aprile 2022, n. 12854; Cass., 4 dicembre 2020, n. 27788) e che « L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare » (Cass., 7 novembre 2019, n. 28681;Cass., 28 ottobre 2015, n. 21984).
4. Il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli art. 41 bis , d.P.R. n. 600 del 1973, art. 54 d.P.R. 633 del 1972 e dell’art. 2967 c.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e specificamente della perizia tecnicocontabile in relazione alla ricostruzione dell’ammontare dell’IVA evasa, elaborata dal Dott. NOME COGNOME, consulente della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Latina e dallo stesso depositata nel procedimento penale R.G.R. n. 7365/16. I Giudici della CTR avevano aderito acriticamente alle argomentazioni dell’Ufficio,
condividendone l’operato, omettendo ogni concreta e reale valutazione sulle argomentazioni difensive e sulle contestazioni sollevate dalla società oggi ricorrente e sui documenti probatori dalla stessa depositati (la perizia tecnico-contabile). In particolare, la società aveva contestato il metodo utilizzato dall’Ufficio per la determinazione in via induttiva del reddito della società e per il calcolo delle maggiori imposte, fornendo una serie di contestazioni precise e puntuali, rilevando l’erroneità dei criteri utilizzati dall’Ufficio e la carenza di supporti probatori a sostegno dei calcoli elaborati dall’Amministrazione finanziaria (cfr. pagine 35-43 del ricorso per cassazione), che i giudici di secondo grado non avevano tenuto in considerazione.
4.1 Il motivo è inammissibile, in quanto, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un «fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti». Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio « fatto», in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., cioè un « fatto» costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
4.2 Il « fatto» il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere « decisivo», vale a dire che se esaminato avrebbe determinato
un esito diverso della controversia, e deve, altresì, essere stato « oggetto di discussione tra le parti»: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto « controverso», contestato, non dato per pacifico tra le parti. È utile rammentare, poi, che Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che « la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti » (cfr. anche Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415).
4.3 Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti il motivo è inammissibile, in primo luogo, perché non rispetta le appena descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite circa le modalità di deduzione del vizio motivazionale ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non indicando la società ricorrente, quale sarebbe il « fatto», come in precedenza definito e delimitato, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Commissione tributaria regionale ( e tale non è, all’evidenza, la perizia tecnicocontabile sulla ricostruzione dell’ammontare dell’IVA evasa, elaborata dal consulente della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Latina e depositata nel procedimento penale R.G.R. n. 7365/16), né, soprattutto, argomenta in ordine alla sua necessaria decisività. La doglianza riguarda, poi, sostanzialmente, il complessivo ed intero governo del materiale istruttorio, totalmente obliterando che la valutazione delle risultanze istruttorie rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in
dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 13 marzo 2025.