Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5946 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 05/03/2024
Oggetto: tributi – avviso di accertamento – atto recettizio – notificazione – scissione degli effetti per il notificante
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14826/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale del 20 maggio 2021 dall ‘ AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 5769/24/2020, depositata in data 24 novembre 2020 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 settembre 2023 dal AVV_NOTAIO Relatore NOME COGNOME .
RILEVATO CHE
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore del commercio di autoveicoli, ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2012, con il quale si accertavano maggiori IRES, IRAP e IVA quale effetto del disconoscimento di fatture di acquisto ritenute soggettivamente inesistenti. L’accertamento traeva origine da accertamenti nei confronti delle società emittenti, dai quali emergeva che gli stessi erano soggetti meramente interposti e privi di organizzazione (cartiere) che avevano consumato una « frode carosello », sulla base delle quali segnalazioni veniva redatto PVC a carico della società contribuente. Venivano, inoltre, disconosciuti alcuni costi in quanto non inerenti. La società contribuente ha dedotto la propria estraneità alla frode IVA consumata a monte.
La CTP di Napoli ha rigettato il ricorso.
La CTR della Campania, con sentenza in data 24 novembre 2020, ha parzialmente rigettato l’appello della società contribuente. Ha ritenuto il giudice di appello, per quanto qui rileva, che l’avviso fosse stato tempestivamente notificato a mezzo posta con atto spedito in data 28 dicembre 2017; nel merito, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio avesse addotto elementi indiziari sufficienti dai quali trarre la presunzione che parte contribuente non potesse ignorare la frode IVA consumata a monte, quali l’acquisto di beni a prezzi inferiori a quelli di mercato, l’accesso al mercato parallelo, la mole e la ripetitività dei rapporti intrattenuti con le persone fisiche cui le società cartiere erano riferibili. Il giudice di appello ha, poi, ritenuto decisiva la circostanza
che parte contribuente non avesse dimostrato con documentazione commerciale adeguata l’effettiva sussistenza dei sottostanti rapporti commerciali con le emittenti cartiere. Il giudice di appello ha, infine, accolto l’appello in relazione ad alcuni costi, ritenuti inerenti per € 29.018,00.
Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi; resiste con controricorso l’Ufficio, che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo, ulteriormente illustrato da memoria. Il ricorrente principale ha depositato memoria e ha formulato istanza di riunione con altri procedimenti pendenti.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente rigettata l’istanza di riunione, trattandosi di giudizi relativi a diversi periodi di imposta, che mantengono ciascuno la propria autonomia.
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce in modo diffuso, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 e dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché dell’art. 36, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ritenendo il ricorrente che ricorra motivazione apparente sia nella parte in cui il giudice di appello ha rigettato il motivo di appello relativo alla nullità della sentenza di primo grado, sia nella parte in cui sono stati rigettati gli ulteriori motivi di appello.
Il primo motivo è infondato. I n disparte l’inammissibilità del motivo nella parte in cui deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione alla dedotta nullità della sentenza di primo grado (posto che la sentenza di appello si sostituisce integralmente a quella di primo grado), la nullità della sentenza può essere predicata solo in caso di assoluta mancanza del percorso motivazionale da parte del giudice di appello o, comunque, in caso di
sentenza che non sia in grado di consentire di ripercorrere l’iter argomentativo che ha condotto alla decisione (Cass., Sez. U., n. 8053/2014), ossia ove si deduca l’inesistenza del cd. «minimo costituzionale».
La sentenza impugnata va ben oltre il minimo costituzionale in quanto -come indicato in narrativa -dopo avere ritenuto che già la sentenza di primo grado avesse rispettato il principio dell’obbligo costituzionale di motivazione, ha risposto a tutte le doglianze del ricorrente, avuto riguardo alla corretta notificazione del ricorso nel termine di decadenza dall’accertamento, al rispetto del contraddittorio procedimentale, al rispetto dell’obbligo di motivazione, alla prova della non estraneità del contribuente alla frode IVA consumata a monte, illustrando gli elementi indiziari dai quali è stato tratto il convincimento. Né il giudice di appello è incorso in omessa pronuncia, avendo dato risposta a tutti i motivi di appello.
Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto rispettato il termine di decadenza dall’accertamento. Osserva parte ricorrente che l’atto impositivo sarebbe stato notificato in data 8 gennaio 2018, oltre il termine decadenziale. Il ricorrente deduce che l’avviso di accertamento, in quanto «atto negoziale unilaterale», produrrebbe i propri effetti all’atto della consegna al destinatario, al pari degli atti recettizi.
Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e degli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi d’imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale e per gli atti tributari
dall’art. 60 d.P.R. n. 600/1973, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti, né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli elementi necessari ai fini della notifica dell’atto e non quella, eventualmente successiva, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente (Cass., Sez. U., 17 dicembre 2021, n. 40543). Non essendo stato impugnato il capo della decisione, secondo cui la notificazione dell’atto impositivo è stata spedita in data 28 dicembre 2017, il motivo va rigettato.
Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116 e 132 cod. proc. civ., nella parte in cui il giudice di appello ha confermato l a legittimità dell’atto impositivo. Deduce parte ricorrente che sarebbe carente la prova della inesistenza soggettiva delle operazioni e che ciò contrasterebbe con la tracciabilità dei mezzi di pagamento utilizzati. Deduce, inoltre, che il giudice di appello avrebbe fatto malgoverno degli elementi indiziari addotti dall’Ufficio, così violando le regole di riparto dell’onere della prova.
Il motivo è inammissibile -conformemente alle deduzioni di parte controricorrente – nella parte in cui deduce violazione delle regole di riparto della prova, in quanto il motivo non è volto a censurare il mancato rispetto delle regole di riparto della prova, bensì la scelta e l’a pprezzamento degli elementi di prova valorizzati dal giudice di appello nell’accertare in fatto che le operazioni sottostanti fossero soggettivamente inesistenti, attività riservata al giudice del merito e non censurabile in quanto tale nel giudizio di legittimità.
Il motivo è, invece, infondato nella parte in cui si deduce che non sarebbero stati valorizzati -a sostegno della prova contraria
incombente sul contribuente – elementi di prova che darebbero contezza del pagamento delle prestazioni con mezzi tracciabili, posto che la regolarità dei pagamenti e la regolarità della contabilità -secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – non assumono rilievo in materia di operazioni soggettivamente inesistenti (Cass., Sez. V, 9 agosto 2022, n. 24471), in quanto oggetto della prova dell’Ufficio (e della prova contraria del contribuente) è una frode commessa a monte della catena distributiva e non dal contribuente (Cass., Sez. V, 12 luglio 2022, n. 22018; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851).
10. Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inerenti alcuni costi , posto che la prova dell’inerenza dei suddetti costi si sarebbe dovuta dare dal contribuente e non dall’Ufficio.
11. Il ricorso incidentale è inammissibile, in quanto volto a riformulare -attraverso la formale censura della violazione di legge un accertamento in fatto circa l’inerenza di costi operati dal giudice di appello, precluso al giudice di legittimità, riguardo ai quali il giudice del merito ha ritenuto non fondate le censure dell’Ufficio in quanto fondate su un PVC non notificato alla parte e non depositato nel corso del giudizio di primo grado. La censura si rivela, inoltre, inammissibile in relazione alla dedotta inversione dell’onere della prova, in quanto la sentenza impugnata non ha ritenuto di addossare l’onere della prova all’Ufficio, ma si è limitat a a ritenere che, in assenza della menzionata documentazione, non sarebbe stato possibile « verificare e controllare la legittimità della ripresa a tassazione dei costi ».
12. Il ricorso principale va pertanto rigettato, come anche il ricorso incidentale. La reciproca soccombenza comporta la compensazione integrale delle spese processuali. Sussistono a carico del ricorrente principale i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara integralmente compensate le spese processuali; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 settembre 2023