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Sanzioni tributarie: la crisi di liquidità non scusa

Una società impugnava un avviso di irrogazione di sanzioni per il tardivo versamento di accise, adducendo una grave crisi di liquidità. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31907/2024, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, stabilendo che le difficoltà economiche rientrano nel normale rischio d’impresa e non costituiscono una causa di forza maggiore idonea a escludere la colpevolezza e le conseguenti sanzioni tributarie. Spetta al contribuente dimostrare l’assenza di colpa tramite prove di eventi eccezionali ed esterni alla gestione aziendale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sanzioni tributarie: la crisi di liquidità non scusa il tardivo pagamento

Le difficoltà economiche, come una crisi di liquidità, possono esonerare un’azienda dal pagamento delle sanzioni tributarie per tardivi versamenti? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta, ribadendo un principio fondamentale: la crisi aziendale rientra nel normale rischio d’impresa e non costituisce, di per sé, una causa di giustificazione.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore petrolifero si vedeva notificare un avviso di irrogazione sanzioni da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per aver pagato in ritardo le accise relative all’anno 2015. La società impugnava l’atto, sostenendo di non avere colpa per il ritardo. La causa del mancato pagamento era, a suo dire, una grave crisi di liquidità dovuta a fattori esterni, come la persistente morosità dei suoi principali clienti e la revoca di alcuni affidamenti bancari.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della società. Successivamente, anche la Commissione Tributaria Regionale (CTR) confermava la decisione, respingendo l’appello dell’Agenzia. Secondo la CTR, l’azienda aveva fornito prova sufficiente dell’assenza di dolo o colpa e, in ogni caso, sussisteva una causa di forza maggiore che giustificava il comportamento.

Il ricorso in Cassazione e le sanzioni tributarie

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli non si arrendeva e presentava ricorso per cassazione, basandosi su due motivi principali:

1. Violazione delle regole sull’onere della prova e sulla colpevolezza: L’Agenzia sosteneva che la CTR avesse erroneamente ritenuto provata l’assenza di colpa. Gli elementi addotti dalla società (shock di liquidità, morosità dei clienti, revoche bancarie) non sono eventi eccezionali, ma si collocano nelle normali dinamiche commerciali e nel rischio d’impresa.
2. Errata applicazione del concetto di forza maggiore: Veniva contestato che la CTR avesse applicato in modo errato la nozione di forza maggiore, la quale richiede un evento imprevedibile e inevitabile, non una semplice crisi aziendale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi di ricorso, cassando la sentenza della CTR e decidendo la causa nel merito con il rigetto del ricorso originario della società.

La presunzione di colpevolezza e il rischio d’impresa

La Corte ha ribadito un principio consolidato in materia di sanzioni tributarie. L’art. 5 del D.Lgs. 472/1997 stabilisce una presunzione di colpevolezza a carico del contribuente. Non basta la mera volontarietà dell’omissione; è richiesta la consapevolezza, ovvero un comportamento almeno negligente. Tuttavia, è il contribuente a dover dimostrare l’assenza di colpa, fornendo la prova di essere incorso in un errore inevitabile o di aver agito in buona fede.

Nel caso specifico, secondo gli Ermellini, gli elementi presentati dalla società (difficoltà economiche, problemi con clienti e banche) non costituiscono fattori esterni, imprevedibili ed evitabili. Al contrario, sono considerati parte integrante del rischio d’impresa, che un operatore commerciale accorto deve prevedere e gestire. Pertanto, la presunzione di colpevolezza non era stata superata.

Il concetto restrittivo di forza maggiore

La Cassazione ha chiarito che, in tema di sanzioni tributarie, la forza maggiore deve essere intesa nella sua accezione penalistica. Si tratta di “un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti“. Una crisi di liquidità o una crisi aziendale non rientrano in questa definizione.

Per invocare la forza maggiore, sono necessari due elementi:
1. Elemento oggettivo: circostanze anormali ed estranee all’operatore.
2. Elemento soggettivo: il dovere del contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi.

Le difficoltà economiche, essendo prevedibili per un imprenditore, non soddisfano questi requisiti. La Corte ha quindi escluso l’operatività di tale esimente nel caso di specie.

Le conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche per tutte le imprese. Sottolinea che la responsabilità per il puntuale adempimento degli obblighi fiscali è una priorità che non può essere derogata da difficoltà finanziarie interne o di mercato. La crisi di liquidità, sebbene possa essere grave, è considerata una variabile intrinseca all’attività imprenditoriale. Per evitare sanzioni tributarie, l’imprenditore deve dimostrare di aver affrontato un evento veramente eccezionale, imprevedibile e inevitabile, che va ben oltre le normali turbolenze del mercato. La gestione prudente e la pianificazione finanziaria restano gli strumenti principali per garantire la conformità fiscale anche nei momenti difficili.

Una crisi di liquidità aziendale può giustificare il ritardato pagamento delle imposte ed evitare le sanzioni tributarie?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la crisi di liquidità e le difficoltà economiche rientrano nel normale rischio d’impresa e non costituiscono una causa di giustificazione idonea a escludere la colpevolezza per il tardivo versamento delle imposte e le relative sanzioni.

Cosa si intende per “forza maggiore” nel contesto delle sanzioni tributarie?
Per forza maggiore si intende un evento imprevedibile, inevitabile ed estraneo alla sfera di controllo dell’imprenditore, che annulla la sua capacità di agire e adempiere agli obblighi. Una crisi aziendale o difficoltà finanziarie non rientrano in questa definizione, in quanto sono considerate prevedibili nell’ambito dell’attività commerciale.

A chi spetta l’onere di provare l’assenza di colpa nel mancato pagamento delle imposte?
L’onere della prova spetta al contribuente. La legge presume la colpa del contribuente che non adempie puntualmente ai suoi obblighi fiscali. Per evitare le sanzioni, è il contribuente a dover dimostrare di aver agito senza dolo o colpa, a causa di un errore inevitabile o di circostanze eccezionali e non superabili con la normale diligenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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