Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32243 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32243 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18981/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avv.ti COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE -ricorrente e controricorrente rispetto al ricorso incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di CORTE GIUST. TRIB. DI II GRADO della LOMBARDIA n. 1031/2023 depositata il 16/03/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
La causa approda per la seconda volta in cassazione.
Dalla sentenza in epigrafe, in punto di fatto, si apprende quanto segue:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE riassume il giudizio avente ad oggetto la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano, sez. 20, n. 39/20/13 , pronunciata il 9 novembre 2012 e depositata l’11 febbraio 2013, a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione, sez. V, n. 7300/21 , pronunciata il 24 novembre 2020 e depositata il 16 marzo 2021, che annullava rinviando alla Corte di seconda istanza.
Con separato ricorso, riassumeva il giudizio anche avverso le sentenze della Commissione Tributaria Regionale di Milano, sez. 20, n. 35/20/13 , n. 37/20/13 e n. 34/20/13 , tutte pronunciate il 9 novembre 2012 e depositate l’11 febbraio 2013, a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione, sez. V, n. 7299/21 del 24 novembre 2020, depositata il 16 marzo 2021.
I ricorsi, proposti all’odierna Corte e rubricati sub n. R.G. 3607 e 3608/21, venivano riuniti .
La controversia trae origine da un processo verbale di constatazione redatto in data 7 aprile 2009 dalla Guardia di Finanza -Gruppo Milano, a seguito di una verifica sostanziale a carattere parziale ai fini delle imposte dirette, dell’iva e degli altri tributi per il periodo dal 1° gennaio 2004 all’11 febbraio 2009 (doc. 3 al ricorso di primo grado).
In tale atto è stata contestata alla RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE l’inesistenza di operazioni di acquisto e rivendita di codici di accesso (password) e licenze d’uso di banche dati di opere d’arte, poste in essere negli anni 2004, 2005 e 2006 nell’ambito dei rapporti commerciali intercorsi con società del gruppo RAGIONE_SOCIALE La verifica
è scaturita dalle (più estese) indagini di Polizia Giudiziaria condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria di Milano nei confronti del gruppo societario Gabrius, riconducibile al sig. NOME COGNOME ‘volte a smascherare un’associazione a delinquere dedita alla frode fiscale cd. carosello, mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, aventi per oggetto la commercializzazione di licenze relative a un database contenente le battute d’asta di importanti opere d’arte’ (p. 7 pvc, doc. 3 al ricorso di primo grado) .
oiché nel periodo d’imposta 2005, la società partecipava, in qualità di consolidata e consolidante, ad un consolidato fiscale, l’Ufficio ha emesso:
-l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO , notificato in data 15 febbraio 2010, con il quale ha contestato l’indebita deduzione di costi ai fini IRES per euro 6.230.135,00, accertando un maggior reddito imponibile da imputare al consolidato di euro 6.250.135,00, ed una maggiore imposta teorica di euro 2.062.545,00 (doc. 2 al ricorso di primo grado). Questo avviso è stato oggetto di una separata sentenza della Suprema Corte, la n. 7299/21 , che sarà oggetto di contestuale riassunzione;
-l’avviso di accertamento n. R1P038B00131/2010 , notificato in data 15 febbraio 2010, con il quale ha contestato l’indebita deduzione di costi ai fini IRAP per euro 6.230.135,00, così accertando una maggiore imposta di euro 265.631,00, e l’indebita detrazione della relativa iva per euro 1.250.027,00, ed ha altresì irrogato una sanzione di euro 1.875.040,50, determinata applicando il cumulo giuridico (doc. 1 al ricorso di primo grado);
-l’avviso di accertamento n. R1P098B00159/2010 , notificato una prima volta in data 28 aprile 2010 ed una seconda volta in data 23 giugno 2010, con il quale ha liquidato in euro 2.062.545,00 la maggiore ires derivante dalla rettifica all’imponibile operata con il precedente avviso n. R1P088B00149, ed ha altresì irrogato una sanzione di euro 2.062.545,00.
Negli avvisi, l’Ufficio, condividendo le risultanze del pvc, ha rilevato che la società ‘acquistava le licenze del software dalla RAGIONE_SOCIALE, società di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, e poi le vendeva a società straniere (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE)’, costituendo una ‘società filtro’ all’interno di un ‘vorticoso meccanismo fraudolento cosiddetto ‘carosello’, costituito da varie società, che si interpongono ‘fittiziamente’, attraverso l’emissione di
fatture per operazioni inesistenti’ (pp. 3 -4). Pertanto, ‘si rileva un ammontare di costi indeducibili ai fini Irap pari a € 6.250.135,00’ (p. 5).
In data 11 maggio 2010 , la società ha impugnato il secondo degli avvisi indicati che, se si fosse ammessa la fittizietà delle operazioni contestate, escludendo che i relativi costi partecipassero alla formazione dell’imponibile, allora i connessi ricavi avrebbero dovuti essere esclusi dalla formazione di detta grandezza, al fine di evitare una sostanziale doppia imposizione.
L’Ufficio si è costituito in giudizio insistendo sulla fondatezza della propria pretesa.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 190/41/11, pronunciata il 23 marzo 2011 e depositata il 12 maggio 2011, ha in parte accolto il ricorso della Società, annullando l’avviso di accertamento limitatamente all’IRAP e confermandolo per quanto riguarda l’IVA.
Analogamente, il contribuente presentava ricorso avversi gli altri due avvisi, con motivi sostanzialmente uguali.
L’Ufficio si è costituito articolando difese analoghe.
Sui ricorsi la CTP di Milano, sez. 41, si pronunciava con la sentenza n. 192/41/11; in relazione all’impugnazione proposta con riferimento alla seconda notifica; con la sentenza n. 228/41/11, pronunciata il 23 marzo 2011 e depositata il 9 giugno 2011, ha accolto il ricorso della Società rinviando alla decisione assunta in merito all’avviso imponibile IRES n. CODICE_FISCALE; interveniva sui ricorsi altresì la sentenza n. 191/41/11, tutte di contenuto analogo, in parziale accoglimento.
Avverso le sentenze di prime cure, l’Ufficio ha proposto appello .
In data 9 novembre 2012 la Commissione Tributaria Regionale ha pronunciato la sentenza n. 39/20/13, depositata l’11 febbraio 2013 , con la quale ha accolto l’appello dell’Ufficio.
La Società, con ricorso iscritto con n. R.G. 21224/2013, ha presentato ricorso per cassazione contro la sentenza della CTR di Milano.
Tra gli altri motivi, ha prospettato la violazione o falsa applicazione dell’art. 8, c. 2, del d.l. 16/2012, convertito con l. 44/2012, per non avere i giudici applicato alla presente fattispecie in contestazione la suddetta
norma, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, del c.p.c. (paragrafo 10, pp. 123 -124) .
La Corte di Cassazione, sez. V, con la sentenza n. 7300/21, pronunciata il 24 novembre 2020 e depositata il 16 marzo 2021, ha ritenuto ‘fondato il … ricorso … con cui si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 2 del d.l. 16/2012 convertito dalla L. 44/2012 in relazione all’art. 360 n. 3) cpc, per non avere la CTR applicato alla presente fattispecie la suddetta norma, che risulta applicabile, ove più favorevole, anche retroattivamente’ (p. 19) .
La Corte di Cassazione ha quindi cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo sopra indicato, rinviando per un nuovo esame su questo punto ad altra sezione della CTR della Lombardia .
La Società, con ricorso iscritto con nr. R.G. 21216/2013, ha impugnato altresì la sentenza della CTR di Milano n. 37/20/13 mediante tre motivi di censura. Tra gli altri, per quanto qui di rilievo, con il terzo motivo, ha prospettato la violazione dell’art. 12, commi 1 e 3, del d.lgs. 472/1997, per avere i Giudici escluso l’applicazione della regola del cumulo giuridico tra la sanzione irrogata con l’atto impugnato ai fini ires e quelle irrogate con diverso atto, riferito alle medesime violazioni, ai fini irap e iva, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c.
Con ricorso iscritto con nr. R.G. 21222/2013, il contribuente ha altresì impugnato la sentenza della CTR di Milano n. 34/20/13 mediante dodici motivi di censura.
Sui ricorsi, la Corte si pronunciava riaffermando il principio di cui sopra in ordine alla applicabilità retroattiva della legge in riferimento all’art. 8 comma 2 cit. La Corte ha altresì stabilito che ‘la questione del cumulo era stato oggetto di motivo di tutti i ricorsi iniziali, per come trascritti dalla parte nei ricorsi per cassazione, nonché di doglianze principali o incidentali condizionate in sede di appello, posto che le diverse sentenze della CTR impugnate con i ricorsi ora riuniti hanno escluso esplicitamente o implicitamente il cumulo’ (p. 21), e che ‘l’annullamento con rinvio delle sentenze nella parte in cui è stata esclusa l’applicabilità dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con mod., nella l. n. 44 del 2012 (avente portata retroattiva, in quanto più favorevole del previgente art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993) con conseguente incarico al giudice del rinvio di verificare la sussistenza in concreto dei presupposti per la applicazione o meno dello ius
superveniens, comporta ora l’annullamento delle stesse sentenze anche con riguardo al trattamento sanzionatorio consequenziale’ (p. 21), che ‘il giudice del rinvio, qualora dovesse ritenere applicabile la disposizione sopravvenuta, dovrà procedere alla applicazione della novellata disposizione sanzionatoria in base alle specifiche regole che la disciplinano anche con riferimento all’istituto della continuazione, che sono diverse da quelle ordinarie. Solo qualora dovesse ritenere inapplicabile l’art. 8 più volte citato dovrà invece esaminare la questione della continuazione ”.
Riassunti dalla contribuente i giudizi, alla luce del dispositivo della sentenza impugnata, la CTG II della Lombardia, pronunciando in sede di rinvio, così decideva:
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione.
Per l’effetto riforma in parte la sentenza impugnata.
Annulla gli avvisi.
Manda all’Ufficio per la rideterminazione dell’imponibile, tenuto conto dei costi e ricavi da scomputare.
Annulla le sanzioni, rideterminandole nella misura del 25% della base imponibile accertata come al punto precedente.
Compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.
3.1. In motivazione, la CGT – ritenuta l’applicabilità retroattiva dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 de 2012 e ritenuto che ‘la base imponibile della Società essere rideterminata escludendo dalla stessa l’ammontare di ricavi pari a quello dei costi ripresi a tassazione e questo con conseguente riduzione degli importi accertati da tutti gli avvisi impugnati, che devono ritenersi illegittimi ‘in parte qua” – osservava, relativamente al ‘thema’ delle sanzioni, che viene residualmente in rilievo nel presente grado di giudizio, quanto segue:
Come rilevato, nel giudizio a quo la Corte di Cassazione ha concluso nel senso che, ‘fermo l’onere a carico del contribuente di provare che i componenti positivi, in quanto correlati a componenti negativi ritenuti
fittizia, siano anch’essi fittizi, detti componenti positivi vanno esclusi dalla base imponibile, fatta salva l’applicazione di una sanzione amministrativa’.
L’art. 8, comma 2 del d.l. 16/2012, dopo avere previsto, al primo periodo, che ‘Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi’, dispone, al secondo e al terzo periodo, rispettivamente, che ‘In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi’, e che ‘ In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’ articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472′.
Preliminarmente, questo Collegio ritiene che la questione di costituzionalità appaia infondata, benché rilevante.
Come insegna la giurisprudenza costituzionale, invero, al giudice comune si impone – prima di sollevare questione al giudice delle leggi – di dare alla norma un’interpretazione costituzionalmente conforme.
Si tratta peraltro di norma sanzionatoria con chiara funzione deterrente, sicché il solo limite in cui incorre il legislatore è quello della assoluta sproporzione (v. art. 3 Cost.), di cui la norma non appare affetta .
In sintesi, la misura della sanzione – non essendo manifestamente eccessiva o sproporzionata – e la sua determinazione in astratto rientra nella discrezionalità del legislatore.
Il fatto che la sanzione prenda come base il tutto (cioè anche le operazioni inesistenti) ha proprio lo scopo di fissare una base sanzionabile fissa, predeterminabile e in astratto rilevabile, in ossequio al principio di legalità.
Inoltre, stabilire quale base ‘sanzionabile’ la minor somma risultante dalla differenza costi -ricavi finirebbe per premiare il contribuente il quale,
se ha realizzato condotte fraudolente, potrebbe opporre l’inesistenza dei ricavi e andare esente da sanzione.
Se infatti si giustifica lo scomputo dei ricavi oggettivamente inesistenti sul piano del reddito accertabile (in quanto il reddito è dato dalla differenza fra ricavi e costi effettivi), diversa è la base da considerare per l’applicazione in astratto della sanzione. Nel primo caso, infatti, l’accertamento riguarda il reddito e quindi la reale capacità contributiva del soggetto (ed è qui che viene in rilievo l’art. 53 Cost.); nel secondo, si tratta di prendere un comportamento astrattamente considerato (una fattispecie o ‘fatto tipico’) antigiuridico e colpevole e ricollegarvi una sanzione al fine di scoraggiarlo.
La disposizione non appare censurabile, dunque, né sotto il profilo della sproporzione né sotto l’aspetto della capacità contributiva.
Ciò premesso, con la norma in questione ‘il legislatore… è intervenuto, in relazione all’antigiuridicità della fattispecie in esame, sotto il profilo sanzionatorio, sia introducendo una sanzione dal 25 al 50 per cento dei componenti illecitamente dedotti a carico dell’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti, commisurata, quindi, all’importo dei costi esposti sui documenti contabili falsi, sia escludendo, in relazione alla sanzione prevista, l’applicabilità degli istituti del concorso e della continuazione’ (Cass., sez. V, 18 -7 -2014, n. 16456).
Si rileva anzitutto come la sanzione in concreto applicabile debba in ogni caso essere determinata nella misura del minimo edittale, pari al 25 per cento dei componenti negativi illecitamente dedotti.
Lo stesso Ufficio, peraltro, in sede di emissione degli avvisi di accertamento, ha escluso una valutazione di gravità della violazione commessa, allorché infliggeva la sanzione per infedele dichiarazione.
Deve pertanto nel caso di specie rideterminarsi la sanzione e applicarsi la sanzione nella misura del 25% sulla base ‘sanzionabile’ rideterminata come sopra indicato ai sensi dall’art. 8 d.l. citato e cioè scomputando ricavi e costi fittizi.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con un motivo. Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale con due motivi. A sua volta, la contribuente resiste con controricorso all’incidentale ed altresì
deposita memoria telematica addì 23 ottobre 2024, insistendo nelle proprie conclusioni e difese.
Considerato che:
1. Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia: ‘Violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Giudice del rinvio omesso di pronunciarsi in ordine alla questione addotta dalla Società nel giudizio di rinvio, riguardante la rideterminazione della sanzione iva e il ricalcolo della sanzione unica da cumulo giuridico di cui all’art. 12, c. 5, del d.lgs. 472/1997, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.’. ‘Nel ricorso in riassunzione (all. 7 al presente ricorso), la Società ha chiesto in primo luogo l’applicazione dell’art. 8, c. 2, del d.l. 16/2012, stante la diretta correlazione tra i componenti negativi contabilizzati e dedotti in relazione agli acquisti di beni oggetto di contestazione e i componenti positivi contabilizzati e tassati in relazione alla rivendita dei medesimi beni, e, per l’effetto, l’annullamento della rettifica ires operata con gli avvisi in controversia (paragrafo 1, pp. 8 -44). Ha poi chiesto la rideterminazione delle sanzioni. In particolare, per quanto qui di rilievo, l’applicazione della speciale sanzione di cui all’art. 8, c. 2, del d.l. 16/2012, nella misura minima del 25 per cento dei costi giudicati inesistenti, nonché il ricalcolo della sanzione unica su più annualità ai sensi dell’art. 12, c. 5, del d.lgs. 472/1997 con riferimento alle uniche sanzioni cumulabili residue, quelle iva (paragrafo 2.4, pp. 62 -68)’. Il Giudice di rinvio, ‘sotto il profilo sanzionatorio, in relazione alle doglianze esposte dalla Società al paragrafo 2.4. del ricorso in riassunzione (pp. 62 -68, all. 7 al presente ricorso), ha dunque esaminato ed accolto la richiesta di determinare la speciale sanzione di cui all’art. 8, c. 2, del d.l. 16/2012 nella misura minima come segue: ‘. ‘Non ha invece esaminato la successiva richiesta di ricalcolare la sanzione residua, quella iva, facendo applicazione del cumulo giuridico su più annualità ai sensi dell’art. 12, c. 5, del d.lgs. 472/1997’. ‘La
trattazione della questione relativa al ricalcolo della sanzione addotta nel ricorso in riassunzione (al paragrafo 2.4, pp. 62 -68, all. 7 al presente ricorso), e riproposta dalla Società tanto nella prima (al paragrafo 3.3, pp. 12 -15, all. 8 al presente ricorso) quanto nella seconda memoria (al paragrafo 2.2, pp. 5 -7, all. 9 al presente ricorso), è stata chiaramente omessa dai Giudici. Risulta evidente, pertanto, la violazione dell’art. 112 del c.p.c., ai sensi del quale ‘Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda’.
Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia: ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 del D. Lgs. n. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Motivazione apparente’. Alla luce della prima parte della motivazione della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio, ‘pare che il Collegio abbia ben chiaro che, in sede di determinazione della base imponibile, debba procedersi allo scomputo dei ricavi afferenti a costi inesistenti, mentre in sede di trattamento sanzionatorio debba esser preso in considerazione come base sanzionabile solo l’ammontare dei detti costi inesistenti. Viene quindi svolta una corretta e coerente analisi della norma: . Risulta quindi del tutto incomprensibile il motivo per cui, nella parte finale della motivazione, e nel dispositivo, il Collegio affermi quanto segue: ‘Deve pertanto nel caso di specie rideterminarsi la sanzione e applicarsi la sanzione nella misura del 25% sulla base «sanzionabile» rideterminata come sopra indicato ai sensi dall’art. 8 d.l. citato e cioè scomputando ricavi e costi fittizi’. ‘P.Q.M. Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione ”.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia: ‘Violazione dell’art. 112, c.p.c. Nullità della sentenza per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.’. ‘La sentenza in epigrafe stabilisce che: -la sanzione debba essere determinata nella misura minima pari al 25%, mentre l’ufficio l’ha
irrogata in un quantum corrispondente al 33%, quindi nel range previsto dalla norma introdotta nel 2012; -non si pronuncia sul cumulo giuridico deciso dalla sentenza CTR n. 3240/2017 ‘. ‘Si ritiene che la scelta di applicare il minimo pari al 25% sia incoerente con quanto affermato in precedenza dal Collegio, seppure in riferimento alla legittimità costituzionale delle scelte operate dal legislatore ‘. ‘La Corte di Giustizia Tributaria ha omesso di prendere posizione sul giudicato esterno rilevato dall’Ufficio sia in sede di controdeduzioni che di memorie, la sentenza n. 3240/2017 emessa dalla CTR Lombardia all’esito del giudizio di riassunzione attivato sempre dall’odierna contribuente per l’anno d’imposta 2006 ‘. Tale sentenza è parzialmente riprodotta. Indi il motivo così riprende: ‘L’ufficio aveva sottolineato che detta sentenza era ormai coperta dalla intangibilità del giudicato . Concludeva quindi l’Ufficio per il rigetto della richiesta della parte di ridurre al 25% la sanzione comminata con l’avviso n. R1P088B00159, che risultava essere pari al 33% dei costi indebitamente dedotti (€.6.250.135/100×33=€.2.062.545,00), quindi, pienamente nei limiti individuati dalla norma (range del 25% -50%) . La mancata pronuncia sul giudicato esterno formatosi in relazione all’anno d’imposta 2006 interessa non solo la determinazione del quantum minimo della sanzione, ma anche il profilo relativo al ricalcolo della sola sanzione iva, facendo applicazione del cumulo giuridico su più annualità ai sensi dell’art. 12, c. 5, del d.lgs. 472/1997 ‘.
Il primo motivo del ricorso incidentale assume priorità logico -giuridica, atteso che, denunciando di nullità la sentenza impugnata per motivazione sostanzialmente omessa, è potenzialmente idoneo a caducarla: ragion per cui deve essere esaminato per primo.
Esso è fondato.
Deve premettersi che, sebbene in rubrica evochi la mera apparenza della motivazione, questa, alla luce del pedissequo sviluppo argomentativo, è da rapportarsi al paradigma della motivazione insanabilmente contraddittoria.
5.1. In tal guisa, non colgono nel segno i rilievi formulati dalla contribuente nel controricorso, volti a rilevare come nella specie la sentenza impugnata esibisca una motivazione effettiva. Infatti, l’effettività grafica e finanche espositivo -argomentativa della motivazione non esclude che questa in realtà manchi comunque al dovere di render conto di un percorso giustificativo intelligibile e logico allorquando, cadendo in irriducibile contrasto interno, si riveli radicalmente inidonea a sorreggere la decisione. Tale, del resto, è l’insegnamento ricevuto nella giurisprudenza di legittimità, a termini del quale, notoriamente, ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
5.2. Fermo quanto innanzi, come già precisato, il motivo è fondato.
Nel dettaglio, la CGT, pur inquadrata la disciplina applicabile ai fini della determinazione della sanzione in forza dell’art. 8 d.l. n. 16 del 2012 (ritenuto applicabile retroattivamente), tracciandone la differenza rispetto a quella applicabile ai fini della determinazione del reddito imponibile, ed altresì pervenendo alla conclusione della manifesta infondatezza dell’eccezione di illegittimità costituzionale proposta dalla contribuente per il metodo di calcolo delle sanzioni nella parte in cui non prevede la sanzionabilità della ‘minor somma risultante dalla differenza costi -ricavi’ , tuttavia, nella parte conclusiva della motivazione, con un’insanabile contraddizione logica (prima ancora, ed oltreché, giuridica), la CGT assume la necessità di applicare il 25% alla ‘base ‘sanzionabile’ rideterminata come sopra indicato ai sensi dall’art. 8 d.l. citato e cioè scomputando ricavi e costi fittizi’: ciò nonostante che – correttamente, alla luce dell’inequivoco tenore letterale dell’art. 8, comma 3, cit. – essa medesima avesse in precedenza escluso lo scomputo.
Né siffatta insanabile contraddizione logica – che realizza un ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ di cui opinano le Sezioni unite – si scioglie alla luce del dispositivo, il quale anzi ne è a sua volta irrimediabilmente affetto.
Invero, la CGT, demandato all’Ufficio il compito, in punto di rideterminazione del reddito imponibile, di scomputare i costi dai
ricavi (‘Manda all’Ufficio per la rideterminazione dell’imponibile, tenuto conto dei costi e ricavi da scomputare’), subito in appresso, sul ben diverso piano, tuttavia, del trattamento sanzionatorio, di per se stesso governato (come esplicitato nella prima parte della motivazione, ingiustificatamente sconfessata) dall’art. 8, comma 3, cit., ‘annulla le sanzioni, rideterminandole nella misura del 25% della base imponibile accertata come al punto precedente’: punto precedente che, però, riguardando il reddito imponibile, si basa sullo scomputo, del tutto inconferente invece in riferimento alle sanzioni.
Ora, la rilevata contraddizione è sì grave, mischiando la disciplina relativa alle sanzioni a quella relativa al reddito imponibile, da inficiare, in un inestricabile e totalizzante errore concettuale, l’intero trattamento sanzionatorio esposto nella sentenza impugnata: in definitiva, la CGT non ha fatto applicazione, in sé e per sé, dell’art. 8, (segnatamente) comma 3, d.l. n. 16 del 2012, pur individuato come normativa sanzionatoria di riferimento, in svolgimento della pronuncia di rinvio.
Risultando pertanto travolto, per effetto dell’accoglimento del motivo in disamina, l’intero trattamento sanzionatorio, restano assorbiti sia l’unico motivo del ricorso principale che il secondo dell’incidentale, i quali, sia pure da prospettive diverse, afferiscono al ‘thema’, necessariamente gradato, della quantificazione, in concreto, della sanzione.
Conclusivamente, in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere correlativamente cassata con rinvio, per nuovo complessivo esame in punto di trattamento sanzionatorio ed altresì, all’esito, per la definitiva regolazione tra le parti delle spese di lite, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti l’unico motivo del ricorso principale ed il secondo dell’incidentale medesimo; per l’effetto, in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 7 novembre 2024.