Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8684 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3075 -20 22 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso , dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineavvocatitorinoEMAILit), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME ;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -società di fatto -atto impositivo e cartella di pagamento -notifica -sanzioni – intrasmissibilità
e contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 969/03/2021 della Commissione tributaria regionale del PIEMONTE, depositata in data 16/11/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30 gennaio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa, risulta che l ‘Agenzia delle entrate, sulla scorta di un p.v.c. della G.d.F. di Cuneo, accertata l’esistenza fra NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME di una società di fatto per la gestione di una sala bingo, attribuiva alla stessa una partita IVA e procedeva all’emissione di due avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2001 e 2002 per riprese a tassazione ai fini IVA ed IRAP, che notificava ai predetti soci.
1.1. Con riferimento alla posizione del socio COGNOME, che qui viene in rilievo, una prima notifica, effettuata in data 25/10/2005, non andò a buon fine ed il plico venne restituito al mittente con annotazione dell’intervenuto decesso del destinatario in data 26/11/2004. Successivamente, in data 10/11/2005 la notifica venne indirizzata nei confronti di NOME COGNOME, erede del COGNOME, ma ritirata da tale NOME COGNOME indicata nell’avviso di ricevimento quale ‘familiare convivente’.
1.2. Con riferimento alla cartella, la stessa risultava notificata alla vedova erede del sig. COGNOME per la prima volta in data 1/6/2007 sempre all’indirizzo di INDIRIZZO mediante deposito nella Casa comunale e, a detta della contribuente, senza raccomandata
informativa. Detta cartella veniva poi notificata una seconda volta in data 20/6/2009.
1.3. Successivamente in data 11/7/2014 veniva notificata l’intimazione di pagamento sempre alla vedova del COGNOME ma all’indirizzo di Milano ove si era trasferita.
A seguito di impugnazione sia degli avvisi di accertamento, sai della cartella di pagamento che dell’intimazione di pagamento da parte della coniuge erede del Caldera, la CTP respinse il ricorso e la CTR con sentenza 89/7/2018, respinse l’appello che riteneva inammissibile in quanto in tale sede non era stata chiamata in causa l’Agenzia delle entrate – Riscossioni. Con ordinanza n. 5705 del 2020, la Corte di cassazione accolse il ricorso della Lapshina e cassò la suddetta sentenza con rinvio.
Riassunto il giudizio dinanzi alla CTR del Piemonte, questa pronunciava la sentenza impugnata con cui respingeva l’appello della ricorrente.
3.1. Sostenevano i giudici di appello che «l’ufficio ha correttamente ritenuto di notificare ai singoli soci in via principale, tutti in rappresentanza della società di fatto, gli avvisi di accertamento relativi ai debiti della società. Per quanto riguarda le notifiche dell’avviso di accertamento. La prima inviata a Torino in data 25/10/2005 è tornata al mittente per decesso del destinatario, la seconda inviata sempre a Torino in data 10/11/2005 è stata ritirata dalla sig. COGNOME che, a detta della contribuente, non ha mai consegnato la raccomandata alla vedova ricorrente. Tale circostanza non è mai stata oggetto di querela di falso ed inoltre la sig.ra COGNOME viveva veramente allo stesso indirizzo della contribuente. Le dinamiche tra la contribuente e la signora COGNOME non ci riguardano questa sede, ma potrebbero essere acclarate in altra sede diversa dalla Commissione tributaria. Tale avviso di accertamento non
è stato impugnato nei termini previsto dalla legge. La prima notifica della cartella del 1/6/2007 è stata seguita dalla raccomandata informativa, prevista dalla sentenza della corte di Cassazione n. 258/2012, in data 31/5/2007 n. 13369182008 perfezionatasi per compiuta giacenza e pertanto essa risulta regolare. La seconda notifica della cartella in data 20/6/2009 non è stata consegnata perché la contribuente risultava assente, e comunque non avrebbe spostato i termini per l’impugnazione della cartella avvenuta con la prima notifica. La regolare notifica dell’avviso di intimazione avvenuto in data 11/7/2014 non consente quindi di impugnare anche gli atti presupposti dal momento che essi sono stati regolarmente notificati e non impugnati».
Avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La ricorrente chiede, altresì, la condanna dell’intimata per responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ.
Replica la sola Agenzia delle entrate restando intimato l’agente della riscossione.
La ricorrente deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973, così come richiamato dall’art. 56 comma 1 del DPR 633/1972, per non avere la Commissione Tributaria per il Piemonte rilevato l’inesistenza della notifica degli avvisi di accertamento» intestati a persona deceduta.
1.1. Sostiene, al riguardo, che «L’avviso di accertamento intestato a contribuente deceduto, che sia stato notificato nell’ultimo domicilio dello stesso, nonché la relativa notificazione, sono affetti da nullità assoluta ed insanabile, in quanto, a norma dell’art. 65 DPR
600/73 l’atto impositivo intestato al dante causa può essere notificato nell’ultimo domicilio di quest’ultimo solamente indirizzando la notifica agli eredi collettivamente ed impersonalmente, purché questi non abbiano effettuato, almeno trenta giorni prima , all’ufficio imposte del domicilio fiscale del de cuius le proprie generalità e proprio domicilio fiscale (dato questo che non esiste nel procedimento)»; che nel caso di specie «è dato pacifico che gli avvisi di accertamento de qua agitur , per debiti tributari anteriore al decesso, furono inviati ed intestati, meramente, al COGNOME quale socio della società di fatto irregolare una prima volta nell’ultimo domicilio fiscale della persona defunta sin dalla data del 26.11.2004 in Torino INDIRIZZO e restituiti all’Ufficio con annotazione dell’avvenuto decesso. Una seconda volta, sempre intestati solamente al defunto, non al suo ultimo domicilio fiscale ma a quello della consorte, in Torino INDIRIZZO, luogo di presunta residenza della su a consorte. E’ quindi pacifico che, essendo l’Ufficio venuto a conoscenza del decesso del socio COGNOME e non avendo gli eredi provveduto alla relativa comunicazione né alla indicazione del loro domicilio, la successiva comunicazione doveva rispettare le prescritte formalità di legge e gli atti relativi al dante causa dovevano essere notificati nell’ultimo domicilio dello stesso, intestati collettivamente ed impersonalmente agli eredi, pena, come già rilevato, la nullità assoluta ed insanabile della notific a e dell’avviso di accertamento».
Il motivo, prima ancora che inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, per novità della questione dedotta «non essendo stato trattato dalla sentenza d’appello» (controricorso, pag. 7) e per difetto di specificità, non avendo la ricorrente riprodotto il contenuto degli atti di merito in cui aveva posto la questione, che soltanto con la memoria ha localizzato (v. pag. 3 della memoria di parte ricorrente), è sicuramente infondato alla stregua del principio
giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui, «In ipotesi di decesso del contribuente, ove gli eredi non abbiano assolto all’onere di comunicazione del proprio domicilio, ai sensi dell’art. 65 del d.P.R. n. 600 del 1973, la circostanza che la notifica dell’atto impositivo non sia stata fatta impersonalmente e collettivamente agli eredi, ma risulti notificata a mani proprie di uno di essi presso il domicilio del defunto, non costituisce elemento idoneo a inficiare la validità del procedimento notificatorio, atteso che la predetta norma pone un’agevolazione in favore dell’ente impositore come conseguenza dell’omessa comunicazione del domicilio fiscale di ciascuno degli eredi» (Cass. n. 15544 del 01/06/2023, Rv. 668359 -01).
2.1. In motivazione si afferma, in maniera più corretta rispetto alla massima sopra trascritta, che «pur in assenza di questa comunicazione», ovvero di quella ex art. 65, comma 4, citato, «la notifica possa essere effettuata personalmente al singolo erede coobbligato presso il suo domicilio, ove l’ufficio ne conosca il domicilio».
2.2. Ed è proprio quello che è accaduto nel caso di specie per come accertato dalla CTR. L a notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti del Caldera, deceduto, è stata effettuata all’erede odierna ricorrente, presso il suo domicilio, la quale, peraltro, non ha mai contestato detta qualità , sicché la notifica dell’avviso di accertamento deve ritenersi regolare.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione del principio della unitarietà dell’accertamento fiscale di cui all’art. 14 d. lgs. 546/1992 e nullità o inesistenza degli avvisi di accertamento per mancata notifica a tutti i soci della società di fatto».
3.1. Occorre premettere, preliminarmente, che la contribuente non ha mai prospettato in giudizio questioni attinenti alle ragioni creditorie dell’amministrazione finanziaria , né alla qualità di socio del de cuius , essendosi limitata a contestare esclusivamente la regolarità delle notifiche degli atti impositivi (avvisi di accertamento, cartella di pagamento e intimazione di pagamento) effettuate nei suoi confronti quale erede del socio deceduto.
3.2. Ciò precisato, va preliminarmente rilevato il difetto di interesse della ricorrente a contestare l’omessa notifica degli atti impositivi anche agli altri soci della società di fatto, con conseguente difetto di legittimazione sul punto.
3.3. È infondata, invece, la censura proposta con riferimento alla violazione del litisconsorzio.
3.4. Al riguardo questa Corte, a Sezioni unite (Cass., Sez. U, n. 1052 del 2007), ha affermato che «la disposizione di cui al D.Lgs. 546 del 1992, art. 14, comma 1 si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l’applicazione della norma in questione».
3.5. E quella dei soci di una società irregolare o ‘di fatto’ è indubbiamente obbligazione solidale ex art. 2297 cod. civ., disposizione applicabile anche ai rapporti tributari, in assenza di espressa deroga, di natura paritetica (arg. da Cass., Sez. U, n. 7620 del 2019).
3.6. Pertanto, i soci di una società di fatto rispondono solidalmente ed illimitatamente delle obbligazioni tributarie con la conseguenza che l’amministrazione finanziaria può procedere in v ia esecutiva con la notifica dell’intimazione di pagamento direttamente e per l’intero credito erariale indifferentemente nei confronti di uno o dell’altro socio.
3.7. Nel caso in esame, in cui non può farsi più questione in ordine alla sussistenza del credito erariale risultante da atti impositivi (avvisi di accertamento e cartella di pagamento) divenuti definitivi per mancanza di tempestiva impugnazione, né viene fatta questione in ordine alla natura irregolare o ‘di fatto’ della società cui il de cuius partecipava, legittimamente l’amministrazione finanziaria si è rivolto ad uno solo dei condebitori solidali per la soddisfazione del proprio credito, notificando l’intimazione di pagamento all’erede di uno dei soci e pretendendo da questi il pagamento dell’intero debito erariale.
Con il terzo motivo di ricorso, dedotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 140 cod. proc. civ. con riferimento alla notifica della cartella di pagamento che, pertanto, sarebbe nulla.
4.1. Il motivo è inammissibile.
4.2. I giudici di appello hanno accertato ed affermato che «la prima notifica della cartella del 1/6/2007 è stata seguita dalla raccomandata informativa, prevista dalla sentenza della corte di Cassazione n. 258/2012, in data 31/5/2007 n. NUMERO_DOCUMENTO perfezionatasi per compiuta giacenza e pertanto essa risulta regolare. La seconda notifica della cartella in data 20/6/2009 non è stata consegnata perché la contribuente risultava assente, e comunque non avrebbe spostato i termini per l’impugnazione della cartella avvenuta con la prima notifica».
4.3. Orbene, quella della ritualità della notifica della cartella di pagamento costituisce oggetto di un accertamento di fatto compiuto dai giudici di appello censurabile in sede di legittimità non come ha fatto la ricorrente, ovvero deducendo un error in iudicando , ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma soltanto negli stretti limiti del vizio motivazionale di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.
proc. civ., nel cui ambito, però, non si colloca la statuizione in esame che è sorretta da motivazione congrua, coerente e completa.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sens i dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il vizio di «omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero la intrasmissibilità di sanzioni e interessi all’erede – violazione dell’art. 8 d. lgs. 472/1997».
5.1. Sostiene che nella sentenza impugnata «non vi è traccia di specifica motivazione sul punto» (ricorso, pag. 19).
5.2. Il motivo, con cui la ricorrente sostanzialmente deduce il vizio di omessa pronuncia su specifica questione dedotta in giudizio, e che va in tale senso riqualificato in ragione del contenuto delle argomentazioni in esso svolte, benché fondato non può essere accolto alla stregua del principio in base al quale nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti, come nel caso in esame, di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (in termini, Cass. n. 17416 del 2023; Cass. n. 16171 del 2017; Cass. n. 21968 del 2015).
5.3. Ciò precisato, la questione su cui la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare attiene alla trasmissibilità agli eredi degli interessi e delle sanzioni tributarie.
5.4. Al riguardo, deve preliminarmente ricordarsi che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, la mancanza nella società di fatto di una personalità distinta da quella dei pretesi soci impone di ritenere comunque riferito, già nella contestazione dell’Ufficio, individualmente ad ogni ipotizzato socio l’avvenuto
svolgimento di quell’attività economica produttiva di reddito imponibile, con la conseguenza dell’assunzione “ex lege”, da parte del medesimo, della qualità di soggetto passivo di entrambe le imposte» (Cass. n. 17228/2013; Cass. n. 27641 del 2021).
5.5. Si è quindi affermato il condivisibile principio in base al quale, in tema di violazioni tributarie imputabili a società privi di personalità giuridica, «regola generale è quella secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito» (Cass. n. 20697 del 2024 che richiama Cass. n. 12334 del 2019 in cui si precisa che «Conferma tale conclusione l’art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale prevede la responsabilità solidale delle società senza personalità giuridica per le sanzioni amministrative irrogate a carico della persona fisica autrice della violazione, qualora la violazione sia stata commessa “nell’interesse” della società rappresentata o amministrata»; e tanto ciò è vero che «a contrariis, che qualora la persona fisica autrice della violazione non abbia agito nell’interesse della società, ma abbia perseguito un interesse proprio o comunque diverso da quello sociale, non sussiste la responsabilità solidale per le sanzioni amministrative della società priva di personalità giuridica, ed allo stesso modo non sussiste la responsabilità esclusiva della società dotata di personalità giuridica ex art. 7 d.l. n. 269 del 2003, ma trova applicazione la regola generale sulla responsabilità personale dell’autore della violazione commessa nell’interesse esclusivamente proprio»).
5.6. Ma la responsabilità del socio di società di fatto per le sanzioni collegate ai tributi dovuti non si trasmette al suo erede ostandovi il disposto de ll’art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997 (rubricato «Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi»), secondo cui «L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi». Questa Corte ha chiarito, con riferimento al diverso regime
successorio delle sanzioni civili rispetto a quelle amministrative, che, mentre le sanzioni civili sono sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative (di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689) e quelle tributarie (di cui alla legge n. 472 del 1997) hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale, sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro. A tale scelta si ricollega il regime applicabile, anche con riferimento alla trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità (Cass. n. 15067 del 2008; Cass. n. 25315 del 2022).
5.7. Orbene, applicati detti principi al caso di specie, discende che alla ricorrente, chiamata rispondere del debito tributario del socio defunto della società di fatto, in qualità di erede del predetto socio, non sono trasmissibili le sanzioni. Sono invece trasmissibili gli interessi maturati sui tributi dovuti, quali accessori di questi ultimi, con conseguente rigetto della relativa domanda.
Conclusivamente, quindi, va accolto il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui si è detto, mentre vanno rigettati tutti gli altri. La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto e, non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, la causa va decisa nel merito, con parziale accoglimento dell’originario ricorso della ricorrente, limitatamente alle sanzioni.
L’esito del giudizio, oltre a rendere palesemente infondata la richiesta avanzata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., comporta l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della ricorrente limitatamente alle sanzioni.
Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma in data 30 gennaio 2025 e, in