Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3697 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3697 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/02/2025
OGGETTO: Vizio di legittimazione del firmatario dell’appello – Fatture per operazioni inesistenti, 2007 Spa con ristretta base partecipativa -Ritenute non effettuate e non versate – Ius superveniens per le sanzioni.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME del Foro di Venezia e NOME COGNOME che hanno indicato recapito PEC, avendo la società dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del secondo difensore, alla INDIRIZZO in Roma ;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
la sentenza n. 1874, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto il 26.10.2015, e pubblicata il 14.12.2015; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME raccolte le conclusioni del P.M., s.Procuratore Generale NOME COGNOME che ha confermato la propria richiesta di accogliere il nono motivo del ricorso, rigettando l’impugnazione nel resto;
ascoltate le conclusioni rassegnate, per la ricorrente, dall’Avv.to NOME COGNOME per delega, che ha domandato l’accoglimento del ricorso e, per la controricorrente, dall’Avv. dello Stato NOME COGNOME il quale ha domandato il rigetto dell’impugnativa;
la Corte osserva:
Fatti di causa
Nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che produceva minuterie in metallo ed altri materiali per l’industria, poi incorporata da RAGIONE_SOCIALE, era eseguita una verifica fiscale relativa all’anno 2007, terminata con la redazione di Processo Verbale di Costatazione da parte della Guardia di Finanza, cui la società prestava adesione.
L’Agenzia delle Entrate notificava quindi alla contribuente l’avviso di accertamento n. T6X07TE03058/2012, e l’atto di contestazione n. T6XCOTE01097/2012, sempre con riferimento all’anno 2007, atti fondati sulle risultanze del PVC, contestando l’omessa effettuazione e versamento delle ritenute di legge circa gli utili percepiti dalla socia COGNOME NOME, irrogandosi sanzioni, per un valore dichiarato di Euro 14.128,50. L’Amministrazione finanziaria notificava inoltre ai soci l’avviso di accertamento in relazione al reddito di partecipazione ritenuto conseguito.
La contribuente impugnava gli atti impositivi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, censurando nel merito le pretese riportate. La CTP riuniva i ricorsi e, ritenute fondate le difese proposte, annullava avviso di accertamento ed atto di contestazione.
Avverso la decisione sfavorevole conseguita nel primo grado del giudizio spiegava appello l’Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto. La CTR accoglieva il gravame, riformando la decisione adottata dalla CTP e riaffermando la piena validità ed efficacia degli atti impositivi.
La contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia sfavorevole conseguita dalla CTR, affidandosi a dieci strumenti d’impugnazione. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate. La società ha pure depositato memoria.
La causa era fissata per l’udienza camerale del 20.6.2024, quando il Collegio riteneva opportuno disporne la trattazione in pubblica udienza, in considerazione della mancanza di precedenti specifici in ordine alle contestazioni sollevate dalla ricorrente in materia di sanzioni. Il giudizio è stato quindi nuovamente fissato per la trattazione, questa volta in pubblica udienza.
5.1. Occorre ancora dare atto, preliminarmente, che la ricorrente ha segnalato la pendenza di due giudizi collegati, i quali risultano però definiti, con sentenza Cass. sez. V, 7 luglio 2022, n. 21487, in relazione al reddito di partecipazione conseguito dal socio COGNOME Dino nell’anno 2007 (ricorso del contribuente respinto), e con decreto presidenziale 7.3.2022, n. 7294, in relazione al reddito di partecipazione conseguito dai soci nell’anno 2006 (estinzione del processo per adesione a normativa condonistica).
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la società contesta la nullità della decisione della CTR, in conseguenza della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non avendo il giudice dell’appello pronunciato sulla specifica contestazione di tardività nel deposito del documento da cui dipenderebbe il potere di firma del funzionario sottoscrittore dell’atto di appello dell’Amministrazione finanziaria.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 10, 11, 18 e 53, primo comma, del D.Lgs. n. 546 del 1992, perché il giudice del gravame non ha rilevato che il documento prodotto dall’Amministrazione finanziaria non costituisce valida delega ai fini della sottoscrizione dell’atto di appello.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente critica la violazione degli artt. 2697, primo comma, e 2909 cod. civ., dell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 218 del 1997, e degli artt. 24 e 53 della Costituzione, perché l’adesione al PVC da parte della società non comporta la prova del conseguimento di maggiori utili che si afferma sarebbero stati poi distribuiti ai soci.
Con il quarto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate lamenta la nullità della decisione della CTR, in conseguenza della violazione o falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., e degli artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 Disp att. cod. proc. civ., per avere il giudice del gravame pronunciato con motivazione contraddittoria, avendo prima riconosciuto che la presunzione di distribuzione di utili ai soci ammette prova contraria, ed avendo poi omesso l’esame della prova contraria offerta.
Mediante il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la violazione dell’art. 45 del Dpr n. 917 del 1992 (Tuir), e dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ. in cui è incorso il giudice del gravame perché, anche ove potesse effettivamente ritenersi operante la presunzione di distribuzione di un maggior reddito ai soci, questo non potrebbe che essere imputato all’anno in cui la
distribuzione è avvenuta, e non ad anno precedente, anche se contabilizzato in quest’ultimo.
Con il sesto mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in cui è incorso il giudice del gravame per non aver chiarito perché l’archiviazione del procedimento penale per il reato di appropriazione indebita del legale rappresentante della società NOME COGNOME non sia idonea a costituire un elemento di ‘prova contraria alla presunzione di distribuzione’ (ric., p. 30).
Mediante il settimo motivo di ricorso, indicato come proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente critica la nullità della sentenza impugnata, in conseguenza della violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per essere la decisione della CTR priva di una motivazione propria, risultando assente un’autonoma valutazione critica dei fatti di causa, ed operando un rinvio per relationem a decisione non definitiva.
Con l’ottavo mezzo d’impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la società lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la CTR tenuto conto dell’evidenziato errore nella quantificazione della partecipazione di NOME COGNOME in RAGIONE_SOCIALE, pari al 4,1%, e non al 12,5%, con la conseguenza che pure l’ammontare delle ritenute che avrebbero dovuto essere operate e versate, come quantificato dall’Ente impositore, risulta comunque errato.
Mediante il nono motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la contribuente contesta la nullità della sentenza della CTR, perché emessa in violazione ‘del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., omessa pronuncia sulla doglianza in punto di
quantificazione delle sanzioni’ (ric., p. 37), e comunque per non avere il giudice del gravame chiarito perché abbia ritenuto corretta la contestata quantificazione delle sanzioni, che in ogni caso devono essere annullate parzialmente perché la previsione della sanzione in conseguenza dell’omesso versamento delle ritenute è stata abrogata, e quella per la dichiarazione infedele è stata ridotta.
Con il decimo mezzo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la società censura la nullità della decisione pronunciata dal giudice del gravame per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., per non essersi la CTR espressa sulla doglianza relativa alla illegittimità della redazione di un atto separato per l’irrogazione di sanzione relativa all’omesso versamento delle ritenute, mentre le sanzioni, se del caso, avrebbero dovuto essere irrogate nello stesso avviso di accertamento.
Con il primo motivo di ricorso la società contesta la nullità della decisione della CTR, non avendo il giudice dell’appello pronunciato sulla specifica contestazione di tardività nel deposito del documento da cui dipenderebbe il potere di firma del funzionario sottoscrittore dell’atto di appello dell’Amministrazione finanziaria. Mediante il secondo strumento di impugnazione la ricorrente censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame per non aver rilevato che il documento prodotto dall’Amministrazione finanziaria non costituisce valida delega ai fini della sottoscrizione dell’atto di appello. Entrambe le critiche attengono alla delega per la sottoscrizione dell’atto di impugnazione in sede di appello e possono essere trattate congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
11.1. Occorre preliminarmente ricordare che questa Corte regolatrice ha recentemente avuto occasione di ribadire che ‘nel
giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’, Cass. sez. III, 16.6.2023, n. 17416.
Con il primo motivo è proposta una questione di mero diritto, relativa al termine entro cui un la delega può essere prodotta dall’Amministrazione finanziaria nel giudizio tributario, su cui la CTR non ha pronunciato. La censura risulta mal introdotta. Occorre rilevare, innanzitutto, che la produzione della delega di firma in grado di appello non risulta invalida se il documento è già stato prodotto, anche tardivamente, nel giudizio di primo grado (cfr. Cass. sez. V, 25.6.2018, n. 16652), e la contribuente non chiarisce se la produzione è intervenuta per la prima volta nel corso del secondo grado del giudizio. Inoltre, ‘è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza’ Cass. sez. V, 21.3.2014, n. 6691, e la ricorrente non indica quale qualifica avesse il sottoscrittore dell’atto in contestazione, tanto meno ne contesta l’usurpazione del potere di sottoscrizione.
11.2. Con il secondo motivo di ricorso la contribuente contesta alla CTR di aver preso in considerazione, ai fini della validità della delega, ‘unicamente il provvedimento datato 02/05/2015’ (ric., p. 14), mentre in realtà gli atti prodotti sono quattro, incompleti e tra loro contraddittori.
Anche in questo caso la critica risulta mal proposta. La CTR opera in realtà riferimento al conferimento della delega al capo team NOME COGNOME rilasciata il 2.1.2015 dal Direttore Provinciale NOME COGNOME entro i limiti dell’atto dispositivo n. 3/Rdo del 2.1.2015. Questa essendo la ragione della decisione, indipendentemente dalla produzione in giudizio anche di atti ulteriori, la contribuente avrebbe dovuto contestarla specificamente.
Il primo ed il secondo strumento di impugnazione, nella parte in cui possono ritenersi ammissibili, sono comunque infondati, e devono perciò essere respinti.
12. Mediante il terzo strumento di impugnazione la ricorrente lamenta la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR perché l’adesione al PVC da parte della società non comporta la prova del conseguimento di maggiori utili che si afferma sarebbero stati poi distribuiti ai soci. Con il quarto mezzo d’impugnazione poi, la contribuente censura la nullità della decisione impugnata, per avere il giudice del gravame pronunciato con motivazione contraddittoria, avendo riconosciuto che la presunzione di distribuzione di utili ai soci ammette prova contraria, ma ha poi omesso l’esame della prova contraria offerta. I motivi di ricorso presentano elementi di connessione, e possono essere trattati congiuntamente per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
12.1. Occorre ribadire, in proposito, che il presente giudizio di cassazione è stato introdotto dalla società, il cui maggior reddito risulta definitivamente accertato, in relazione all’anno 2007, per effetto dell’adesione al PVC, e non è più contestabile. Questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di chiarire, in proposito, che ‘in materia tributaria, la definizione dell’accertamento con adesione su istanza del contribuente ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997 determina la intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, sicché risulta normativamente
esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato’, Cass. sez. VI -V, 31.7.2019, n. 20577 (conf. Cass. sez. V, 30.4.2009, n. 10086). Non vi è pertanto contraddizione nell’affermare che, come è ovvio, in generale è possibile la contestazione dell’accertamento tributario e negare che sia possibile procedervi nel caso di specie essendo divenuto definitivo l’atto impositivo.
Inoltre non essendo i soci parte di questo giudizio, le questioni relative al conseguimento da parte loro di un reddito di partecipazione imponibile rimangono estranee alla materia del contendere.
Il terzo ed il quarto mezzo d’impugnazione risultano pertanto inammissibili.
Mediante il quinto motivo di ricorso la ricorrente contesta la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice del gravame, perché anche ove potesse effettivamente ritenersi operante la presunzione di distribuzione di un maggior reddito ai soci, questo non potrebbe che essere imputato all’anno in cui la distribuzione è avvenuta, e non in anno precedente, anche se contabilizzato in quest’ultimo.
13.1. Al proposito risulta sufficiente ribadire che il presente giudizio ha ad oggetto le ritenute non operate e non versate dalla società, mentre il maggior reddito conseguito dalla società risulta ormai intangibile nel suo ammontare in conseguenza dell’adesione prestata dalla stessa al PVC. Come proposta, la contestazione sembra debba ritenersi riferita al reddito di partecipazione distribuito ai soci, che però non sono parte di questo giudizio.
Il quinto motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile.
Con il sesto mezzo d’impugnazione la contribuente censura il vizio di motivazione in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello, in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in cui è incorso il giudice del gravame non avendo chiarito perché l’archiviazione del procedimento penale per il reato di appropriazione indebita del legale rappresentante della società NOME COGNOME non sia idonea a costituire un elemento di ‘prova contraria alla presunzione di distribuzione’ (ric., p. 30).
14.1. Ricordato ancora che il presente giudizio riguarda l’accertamento del maggior reddito societario, non più contestabile, e la conseguente irrogazione di sanzioni per l’omesso versamento di ritenute da parte della società, il sesto motivo di ricorso appare inammissibile, avendo anch’esso ad oggetto il reddito di partecipazione conseguito dai soci, che non sono parte di questo processo. Peraltro, il diverso giudizio avente ad oggetto il reddito di partecipazione conseguito dal Socio NOME COGNOME è stato concluso con sentenza Cass. sez. V, 7.7.2022, n. 21487, che ha respinto il ricorso del contribuente, per l’effetto il conseguimento del reddito di partecipazione da parte sua è rimasto definitivamente accertato.
14.1.1. Merita ancora di essere evidenziato che neppure a seguito delle recenti innovazioni legislative (D.Lgs. n. 87/2024) una pronuncia del giudice penale di archiviazione, che non è evidentemente una sentenza definitiva emessa a seguito di un dibattimento penale, vincola il giudice tributario.
Il sesto strumento di impugnazione risulta pertanto anch’esso inammissibile.
Mediante il settimo motivo di ricorso la contribuente critica la ‘nullità’ della sentenza impugnata per essere la decisione della CTR priva di una motivazione propria, risultando assente un’autonoma valutazione critica dei fatti di causa, ed operando il giudice di secondo grado un rinvio per relationem a decisione non definitiva.
15.1. In realtà la ricorrente, mediante lo strumento di impugnazione, non intende proporre una critica rivolta all’intera pronuncia del giudice dell’appello, del resto ampia e completa. La società lamenta piuttosto che in relazione all’omesso versamento delle ritenute che essa avrebbe dovuto operare sul maggior reddito conseguito da socio detentore di partecipazione non qualificata, la CTR avrebbe operato un mero richiamo ad altra decisione che aveva accertato il maggior reddito di partecipazione accertato nei confronti di altro socio, NOME COGNOME che però non era passata in giudicato. In materia può ricordarsi che è consentita la motivazione per relationem della decisione, e non è inibito al giudice tributario invocare l’autorità di altra decisione non in contrasto, anche se non passata in giudicato.
Nel caso di specie, però, il maggior reddito societario e l’omesso versamento delle ritenute da parte della società, sono elementi che risultano definitivamente accertati in conseguenza dell’adesione della contribuente al PVC, come chiarito anche dal giudice del gravame. Ne discende che ulteriori argomenti proposti dalla CTR, come suol dirsi, ad abundantiam , non inficiano la correttezza della valutazione espressa con chiarezza dal giudice dell’appello.
Il settimo motivo di impugnazione risulta pertanto infondato e deve essere perciò rigettato.
16. Con l’ottavo mezzo d’impugnazione la società lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per non avere la CTR tenuto conto dell’evidenziato errore nella quantificazione della partecipazione di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, pari al 4,1%, e non al 12,5%, con la conseguenza che pure l’ammontare delle ritenute che avrebbero dovuto essere operate e versate, come indicato dall’Ente impositore, risulterebbe comunque errato.
16.1. Invero la contribuente sostiene che la quota di partecipazione della socia dovrebbe essere calcolata sul fondamento dell’ammontare del suo possesso nel corso dell’anno. Diversamente l’Amministrazione finanziaria, come riportato dalla stessa contribuente (ric., p. 36), ha sostenuto che il calcolo effettuato dalla società è il ‘frutto di un’inammissibile parcellizzazione delle quote societarie a seconda dei giorni di possesso’, mentre, ‘in ipotesi di ristretta base azionaria, ai fini della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, rileva la compagine sociale esistente al 31/12 del periodo d’imposta accertato’.
La questione proposta dalla ricorrente è di diritto e questa Corte di legittimità è tenuta a pronunziarsi.
16.1.1. Invero questa problematica è già stata affrontata da questa Corte regolatrice nel giudizio relativo al reddito di partecipazione conseguito dal socio NOME COGNOME, definito con pronuncia 21487/22, e si è condivisibilmente rilevato che ‘Applicando alle società di capitali, per omologia di situazioni, princìpi affermati da questa Corte con riferimento a società di persone (Cass. 31/10/2018, n. 27830; Cass. 30/07/2018, n. 20126), deve ritenersi che dirimente, ai fini in questione, sia la considerazione della compagine sociale (con le quote di partecipazione dei singoli consociati) al 31 dicembre del periodo d’imposta, perché è in quel momento (mancando una delibera di distribuzione degli utili, in quanto non transitati in bilancio) che il risultato economico viene conosciuto dai soci ed è possibile quantificare l’entità degli utili.
Non è per contro praticabile, per l’eventualità di mutamenti della composizione societaria con subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro oppure di ampliamento o di riduzione della partecipazione detenuta dai singoli soci, una ripartizione in funzione della rispettiva durata del periodo di partecipazione alla
società nel corso dell’esercizio: questa semplicistica scomposizione che considera il periodo di partecipazione (o di differente misura di partecipazione, in caso di variazione della sola misura della quota) non corrisponde necessariamente alla produzione del reddito da parte della società nei vari intervalli temporali (produzione non continua né uniforme nel tempo, e quindi insuscettibile di essere in tale misura frazionata), elemento oltremodo non ricostruibile per gli utili non contabilizzati’, Cass. sez. V, 7.7.2022, n. 21487.
L’ottavo strumento di impugnazione risulta pertanto infondato e deve perciò essere rigettato.
17. Mediante il nono motivo di ricorso la contribuente contesta la nullità della sentenza della CTR, perché emessa in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendo incorsa nell’omessa pronuncia sulla doglianza in punto di quantificazione delle sanzioni, e comunque per non avere il giudice del gravame chiarito perché abbia ritenuto corretta la contestata quantificazione delle sanzioni, anche, ma non solo, perché la ricorrente afferma che le sanzioni avrebbero dovuto essere irrogate con unico atto, applicandosi in conseguenza l’istituto dell’assorbimento. Le sanzioni, nella prospettazione della società, devono comunque essere parzialmente annullate ai sensi del D.Lgs. n. 158 del 2015 in conseguenza dell’abolizione della sanzione per l’omesso versamento delle ritenute quando non operate, ed inoltre, anche a diversamente interpretare, le sanzioni devono essere ridotte in conseguenza dello ius superveniens .
Occorre allora evidenziare che, nella presente fattispecie, risulta pacifico che l’Amministrazione finanziaria ha applicato le sanzioni in conseguenza dell’infedele dichiarazione, ed inoltre, sia per non aver operato la ritenuta di quanto dovuto, sia per non aver versato quanto avrebbe dovuto trattenere.
17.1. In effetti, in materia di sanzioni la CTR non si pronuncia. Il motivo di ricorso risulta pertanto fondato e deve essere perciò accolto.
Appare peraltro opportuno segnalare che la revisione del sistema sanzionatorio invocata dalla società, di cui al D.lgs. n. 158 del 2015, non ha in realtà previsto una generalizzata riduzione delle sanzioni tributarie, ma ha dettato una diversa disciplina che risulta in larga parte favorevole per il contribuente.
Lo ius superveniens risulta peraltro vigente in relazione a tutti i giudizi ancora in corso (cfr. Cass. sez. V, 30.3.2021, n. 8716), ed è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole.
Inoltre, verificato quale sia la corretta sanzione applicabile, in considerazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, occorrerà anche valutare se abbiano incidenza nella fattispecie le previsioni di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024.
17.2. Merita ancora di essere segnalato come, pure a seguito della riforma, l’art 14 del D.Lgs. n. 471 del 1997 preveda che ‘ 1. Chi non esegue, in tutto o in parte, le ritenute alla fonte è soggetto alla sanzione amministrativa pari al venti per cento dell’ammontare non trattenuto ‘, mentre l’art. 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997 dispone che ‘ 1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti … è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato ‘.
Il nono strumento di impugnazione, nei termini esposti, risulta quindi fondato e deve essere pertanto accolto.
18. Con il decimo mezzo di impugnazione la società censura ancora la nullità della decisione adottata dal giudice dell’appello, in conseguenza della violazione del principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, perché la CTR non si è espressa sulla contestazione che la sanzione per l’omesso
versamento dei tributi avrebbe dovuto essere irrogata nello stesso atto impositivo, e non mediante separato atto di contestazione.
18.1. In effetti nella decisione della CTR non si rinviene pronuncia sul punto, e la ricorrente ha avuto cura di specificare, anche in questo caso, come abbia proposto la sua censura nei gradi di merito del giudizio. Il motivo di impugnazione risulta pertanto fondato.
Appare peraltro opportuno segnalare, secondo quanto evidenziato anche dal P.M. nelle sue conclusioni scritte, come questa Corte regolatrice abbia chiarito che sono ‘sanzioni collegate al tributo … quelle irrogate per violazioni sostanziali che incidono sulla determinazione ovvero sul pagamento del tributo, per il cui recupero viene emesso contestualmente un avviso di accertamento o di rettifica, e tra le quali rientra la sanzione per omesso pagamento delle ritenute alla fonte ex art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997’, Cass. sez. V, 26.11.2021, n. 36886.
Anche il decimo motivo di ricorso, nei limiti esposti, risulta pertanto fondato e deve perciò essere accolto.
In definitiva l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE deve essere accolta con riferimento al nono ed al decimo motivo di ricorso, e rigettata nel resto, cassandosi con rinvio la decisione impugnata con riferimento ai motivi accolti.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il nono ed il decimo motivo di ricorso proposti dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , quale incorporante di RAGIONE_SOCIALE respinti gli ulteriori, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto perché, in diversa composizione e nel rispetto dei
principi esposti, proceda a nuovo giudizio, e provveda anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23.1.2025.