Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 296 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 296 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20939/2017 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AVVISO DI ACCERTAMENTO
Comune di Ginestra, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso, giusta deliberazione di Giunta Comunale n. 102 del 12/10/2017 e in virtù di procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME–COGNOME;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA BASILICATA n. 76/2/2017, depositata in data 8/2/2017; Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 12 novembre 2024;
Fatti di causa
Nel corso dell’attività di liquidazione della dichiarazione modello 770, prodotta dal Comune di Ginestra (d’ora in avanti, anche ‘il contribuente’ o ‘il Comune’ ) per l’anno d’imposta 2010, l’Agenzia delle Entrate riscontrò l’omesso versamento delle ritenute effettuate e dichiarate, oltre al ritardato versamento dell’imposta autoliquidata.
Con cartella di pagamento, preceduta da comunicazione di irregolarità, l’amministrazione finanziaria intimava il versamento dell’imposta evasa, oltre che delle sanzioni e degli interessi come per legge.
Il Comune propose ricorso, opponendo un errore scusabile nella compilazione delle deleghe di pagamento.
Essendo stata pagata contestualmente alla presentazione del ricorso la sorte capitale dell’imposta, l’amministrazione insisteva per il pagamento delle sanzioni e degli interessi.
La C.T.P. dichiarò cessata la materia del contendere con riferimento all’imposta, annullando anche le sanzioni.
Su appello dell’Agenzia delle Entrate, la C.T.R. confermò la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Comune contribuente si è difeso con controricorso.
Ragioni della decisione
In primo luogo, occorre rigettare l ‘ eccezione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione proposta dal Comune controricorrente, che, essendosi regolarmente costituito e avendo svolto compiute difese su tutti e tre i motivi di ricorso, ne avrebbe determinato comunque la sanatoria.
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’articolo 3 e 5 del d.lgs. n. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistente la causa di non punibilità di cui al comma 5bis dell’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 senza una previa domanda del contribuente.
Deduce l’Agenzia che l’assunto è in diretto contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte che, in merito all’interpretazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 , ha affermato che è onere della parte invocare la disapplicazione delle sanzioni per l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma tributaria, non essendo consentito al giudice tributario procedere d’ufficio in tal senso.
L’Agenzia sostiene che il principio della necessaria domanda di parte vale con riferimento ad ogni ipotesi normativa di non applicabilità delle sanzioni in ambito tributario.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Nella parte del ricorso dedicata allo svolgimento del processo, l’Agenzia delle Entrate afferma che il Comune contribuente, con la proposizione del ricorso di primo grado, aveva opposto un errore scusabile compiuto nella compilazione delle deleghe di pagamento, mentre l’Ufficio, costituendosi in giudizio, deduceva che l’errore commesso dal Comune non poteva ritenersi scusabile, non essendo ascrivibile a causa di forza maggiore, né ad evento imprevedibile e inevitabile.
Sempre dall’esposizione contenuta in ricorso, risulta che la C.T.P. di Potenza abbia ritenuto non dovute le sanzioni in quanto relative ad una violazione solo formale, che non avrebbe prodotto alcun danno con riferimento all’imposta da assolvere, alla stregua dell’art. 10 dello Statuto del contribuente.
Orbene, su appello dell’Ufficio, la C.T.R. della Basilicata , oltre ad escludere l’applicazione delle sanzioni sulla base dell’art. 10 dello Statuto del contribuente e ad affermare che nessuna richiesta di parte doveva essere formulata ai fini della non applicazione delle sanzioni, ha anche affermato, in sentenza, che ‘…a tanto si aggiunge che il comportamento omissivo non venne causato da dolo o colpa grave dell’agente con la conseguenza che, per quanto sopra detto in tema di irrogazione delle sanzioni, le stesse devono essere, come fatto dal primo giudice, annullate’ (ultima pagina della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata, dunque, accanto alla ratio decidendi fondata sulla natura solo formale della violazione commessa dal contribuente, contiene anche un’ulteriore ratio decidendi , fondata sull’assenza dell’elemento soggettivo in capo al contribuente nella commissione della violazione.
Orbene, l’esclusione dell’elemento soggettivo trova il suo pendant nella richiesta in tal senso contenuta nel ricorso di primo grado del contribuente, sicché non può dirsi che, in relazione al capo di sentenza
fondato sulla esclusione dell’elemento soggettivo, non vi fosse stata una corrispondente domanda del Comune contribuente.
Piuttosto, l’Agenzia qui ricorrente avrebbe potuto dedurre, sempre in relazione al capo di sentenza che ha fondato l’esclusione delle sanzioni sull’assenza dell’elemento soggettivo in capo al Comune, che in assenza della riproposizione da parte del contribuente, in appello, della questione dell’assenza dell’elemento soggettivo nella commissione della violazione tributaria, il corrispondente motivo di primo grado si sarebbe dovuto ritenere rinunciato ai sensi dell’art. 346 c.p.c. , avendo la sentenza di primo grado escluso le sanzioni esclusivamente (ed in maniera assorbente) in base alla natura solo formale della violazione.
Tale eventuale error in procedendo , tuttavia, non è stato fatto valere contro la sentenza impugnata.
Ne deriva, conclusivamente, che non avendo l’Agenzia delle Entrate impugnato il capo di sentenza relativo all’esclusione del le sanzioni sulla base dell’assenza dell’elemento soggettivo in capo al contribuente, il motivo scrutinato è inammissibile (Cass., Sez. 1-, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 -01).
2.Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 e 6 del d.lgs. n. 472/1997, nonché 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver affermato che sarebbe stato onere dell’amministrazione fornire la prova in giudizio della sussistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al contribuente nella commissione della violazione. Deduce l’amministrazione che, invece, sarebbe stato onere del contribuente provare di avere agito senza dolo o colpa.
2.1. Il motivo è infondato.
In realtà, dalla lettura della sentenza di appello, emerge che l’esclusione dell’elemento soggettivo ( sub specie di dolo o colpa grave)
in capo al Comune contribuente nella commissione della violazione non sia stata fondata dalla C.T.R. sull’inadempimento dell’onere della prova da parte dell’Agenzia delle Entrate, quanto piuttosto sul giudizio che, dai fatti materiali svoltisi e rappresentati al giudice, non fosse ravvisabile il dolo o la colpa grave in capo al Comune nella commissione della violazione.
E’ vero che nello sviluppo motivazionale la sentenza impugnata afferma che nel campo delle sanzioni tributarie non è assolutamente ammissibile l’inversione dell’onere della prova per quanto riguarda la responsabilità dell’illecito tributario , non esistendo per nessun tipo di illecito la presunzione di colpevolezza, ma è anche vero che, nella parte finale della sentenza, non consequenziale rispetto al riportato sviluppo motivazionale, la C.T.R. ha affermato che ‘il comportamento omissivo non venne causato da dolo o colpa grave dell’agente’ .
La parte della motivazione relativa alla inesistenza di una presunzione di colpevolezza in capo all’agente, allora, assume, nel caso di specie e nel contesto complessivo della motivazione tesa a ricostruire le caratteristiche delle sanzioni in ambito tributario, una chiara natura di obiter dictum , in quanto nella sentenza impugnata si afferma nettamente che l’omissione del contribuente non fu connotata soggettivamente da dolo o colpa grave in capo al Comune contribuente: la C.T.R., dunque, ha ritenuto positivamente provata l’assenza dell’elemento soggettivo rilevante in capo al Comune.
3.Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione sotto altro profilo degli artt. 3, 5 e 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che, nel caso di specie, fosse stata commessa da parte del Comune contribuente una violazione solo formale.
Deduce l’Agenzia che il Comune ha assolto ai suoi obblighi fiscali in ritardo rispetto ai termini previsti dalla legge, producendo in tal modo un danno all’erario, con la conseguenza che non poteva operare l’esimente del comma 3 dell’art. 10 dello Statuto del contribuente.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Quand’anche si debba concordare con la ricorrente sul fatto che il ritardato versamento delle imposte non implichi una violazione solo formale, bensì costituisca una sostanziale violazione delle norme fiscali poste a presidio della tempestività dell’adempimento delle obbligazioni tributarie, tuttavia deve ribadirsi quanto si è già affermato nell’esame del primo motivo, cioè che la sentenza impugnata si regge anche su un’ulteriore ratio decidendi , ossia sull’assenza in capo al Comune contribuente del dolo o della colpa grave quali elementi soggettivi rilevanti ai fini d ella integrazione dell’illecito tributario .
L’esistenza e la mancata impugnazione di tale autonoma ratio decidendi contenuta nella motivazione della sentenza della C.T.R. fanno venir meno in capo all’Agenzia delle Entrate l’interesse alla proposizione del motivo in esame, in quanto quest’ultimo, anche se fosse fondato in diritto, non potrebbe portare alla cassazione della sentenza impugnata.
4. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del Comune di Ginestra, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro cinquemilaseicento per compensi, oltre al rimborso delle spese generali, iva e c.p.a. come per legge, ed oltre ad euro duecento per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 novembre