Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22293 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22293 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3243/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE PORTO DI IMPERIA
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LIGURIA n. 461/2023 depositata il 23/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria ( hinc: RAGIONE_SOCIALE), con la sentenza n. 461/2023, depositata in data 23/06/2023, ha accolto parzialmente gli appelli dell’RAGIONE_SOCIALE contro le sentenze n. 465/2018, 466/2018, 467/2018, 468/2018, 8/2020 e 9/2020 pronunciate dalla CTP di RAGIONE_SOCIALE concernenti diversi avvisi di accertamento emessi dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in relazione ai lavori di costruzione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e, per l’effetto , ha determinato in Euro 42.666.666,00 i costi indeducibili e la relativa IVA indetraibile in base all’aliquota ordinar ia, pari alla differenza tra i costi fatturati e le opere realizzate.
La RAGIONE_SOCIALE, in particolare, ha ritenuto che le sentenze della Corte di Appello di Torino e del GIP di Roma, se pur rilevanti dal punto di vista indiziario, non possano costituire l’unico fondamento motivazionale per mandare ‘assolta’ la società contribuente dal punto di vista tributario. La sentenza emessa dalla Corte di Appello di Torino riguarda l’ipotesi di reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, fattispecie del tutto diversa rispetto a quella per cui sono stati emessi gli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio, mentre quella del GIP di Roma è sicuramente più attinente al caso di specie, ma non può essere vincolante per il giudice tributario, che deve procedere ad un apprezzamento del suo contenuto, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, che possono consistere anche in presunzioni portate dall’ Ufficio, non utili nel processo penale per addivenire ad una sentenza di condanna, ma rilevanti nel processo tributario.
2.1. In merito ai costi dedotti per operazioni inesistenti la RAGIONE_SOCIALE ha rilevato che, se è vero che risulta dagli atti che alcune RAGIONE_SOCIALE opere
fatturate non erano state eseguite, è altrettanto vero che lo stesso perito del GIP ha quantificato i lavori effettuati in euro 82.250.668 a fronte di fatture ricevute da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per euro 145.480.000, salvo poi affermare che la differenza tra l’importo RAGIONE_SOCIALE fatture emesse a titolo di acconto da RAGIONE_SOCIALE e l’importo RAGIONE_SOCIALE opere realizzate non rappresenti un importo indebitamente fatturato per costi fittizi; ciò in quanto, per il predetto perito, solo a lavori conclusi sarebbe stato possibile valutare la differenza tra le fatture definitive per i lavori realizzati e i costi sostenuti dal contraente. Sul punto la RAGIONE_SOCIALE ha, tuttavia, evidenziato che se i lavori si fossero regolarmente conclusi e completati, l’affermazione del perito sarebbe stata plausibile, in quanto a fine lavori viene pagato un saldo con cui gli acconti vengono riassorbiti. Tuttavia, i lavori del RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE non sono mai proseguiti proprio a causa RAGIONE_SOCIALE vicende penali che hanno coinvolto gli amministratori RAGIONE_SOCIALE due società e che, pertanto, detta operazione di saldo non risulta essere mai stata effettuata (o almeno di essa non vi è prova), tanto che la società RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita e non ha mai proseguito i lavori interrotti. Prendendo quindi come valida (in quanto più favorevole alla contribuente) la quantificazione RAGIONE_SOCIALE opere effettuata dal perito del GIP (la Guardia di Finanza e l’ Ufficio li avevano stimati in euro 41.460.000), balza evidente che RAGIONE_SOCIALE ha detratto costi per operazioni inesistenti (opere non realizzate) che possono essere quantificati – detraendo dal fatturato i lavori eseguiti (euro 82.250.668), le spese generali 15% (euro 12.337.600) e l’utile di impresa 10% (euro 8.225.066) -nell’importo totale di euro 42.666.666.
2.2. Con riferimento alla questione relativa ai maggiori ricavi la RAGIONE_SOCIALE ha affermato di concordare con l’ Ufficio appellante sul fatto che i giudici di prime cure avrebbero dovuto spiegare meglio le
motivazioni sottese alla propria decisione. Resta, tuttavia, che l’onere di provare e quantificare i presunti maggiori ricavi ricade in ogni caso sull’ Ufficio, il quale nei propri appelli non ha speso una parola in tal senso.
2.3. Infine, la RAGIONE_SOCIALE ha rilevato che in relazione ai costi recuperati a tassazione e alla relativa IVA indetraibile non debbano essere applicate sanzioni. Ciò in quanto, se è vero che RAGIONE_SOCIALE ha oggettivamente detratto, nei limiti sopra indicati, costi per lavori non realizzati, altrettanto è vero che ciò non è stato causato da comportamenti dolosi o colposi della contribuente, in quanto il d isallineamento tra l’importo RAGIONE_SOCIALE fatture in acconto e l’entità RAGIONE_SOCIALE opere eseguite – nonché la mancata riconciliazione al termine dei lavori – si è verificato a causa RAGIONE_SOCIALE note vicende penali – peraltro concluse con esiti pienamente assolutori – che hanno comportato il sequestro dei cantieri, l’arresto degli amministratori dell’impresa appaltatrice e hanno, di fatto, impedito la regolare conclusione del contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
La parte intimata non si è costituita.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 , comma 2, n. 4, d.lgs. 31.12.1992 n. 546, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (omissione totale di motivazione).
1.1. Con tale motivo viene censurato il vizio di motivazione apparente, evidenziando che:
in merito alla questione relativa ai costi indeducibili la motivazione della RAGIONE_SOCIALE è apparente, in quanto richiama, per relationem, la
perizia svolta nel procedimento davanti al GIP. La ricorrente evidenzia, quindi, che: « Risulta apparente la motivazione ove il giudice parte acriticamente dal presupposto della validità della perizia nell’ambito del procedimento penale senza nulla argomentare sui motivi di tale validità e su quelli per cui sarebbe da preferire ai costi quant ificati dall’ Ufficio , come si è visto trascrivendo l’appello, sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze del verbale di verifica e degli altri elementi emersi nell’ambito RAGIONE_SOCIALE indagin i (peraltro condivise dalla CGT ove dà atto che i lavori non sono stati svolti). »
La RAGIONE_SOCIALE avrebbe, quindi, dovuto esaminare il contenuto della perizia COGNOME ed esplicitare le ragioni per le quali la riteneva più attendibile sulla base del contenuto oggettivo della stessa, attraverso un procedimento logico, senza limitarsi a considerarla per il solo fatto che è più favorevole al contribuente.
Rispetto ai costi documentati sopportati dalle subappaltatrici, che, secondo il perito, assommavano ad euro 82.250.668,00 avrebbe meritato il massimo approfondimento l’importo di costi stimato dall’ Ufficio (euro 41.460.000,00), dal momento che si fondava su un dato oggettivo e incontestato, vale a dire il totale fatturato da quelle imprese. Appare, infatti, inverosimile che imprese subappaltatrici impegnate in un complesso lavoro non fatturino lavori per circa 40 milioni di euro.
1.2. L ‘ Ufficio nell’avviso di accertamento e negli scritti di causa aveva inficiato l’altro fondamento della perizia COGNOME, i.e. quello secondo cui la fatturazione di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per oltre centoquarantacinque milioni di euro sarebbe stata comunque corretta, pur in assenza di costi per subappalti ad essa ragguagliabili, perché le due società si erano accordate per pagamenti in via di meri acconti, svincolati dall’avanzamento dei lavori.
L’ Ufficio aveva, invece, dedotto che il contratto tra le sue società ‘prevedeva dei pagamenti in acconto subordinati alla verifica del rispetto RAGIONE_SOCIALE tempistiche dei lavori previsti’. Di conseguenza, gli acconti non erano svincolati dall’avanzamento dei lavori, del quale, peraltro, si aveva una conoscenza alquanto labile posto che, come accertato in primo grado, neppure venivano redatti stati di avanzamento.
1.3. Era stata, poi, evidenziata, quale ulteriore anomalia, quella relativa all’ assenza di qualsiasi movimento finanziario tra le due società, posto che gli ‘acconti’ venivano regolati in compensazione con i ratei della futura concessione di sfruttamento del porto, il che confermava che gli acconti non si correlavano a lavori attualmente eseguiti, ma alla futuribile vicenda dello sfruttamento del porto. Di conseguenza, il divario tra le fatturazioni ‘a valle’ RAGIONE_SOCIALE subappaltatrici, che non superavano i quarantuno milioni, e le fatturazioni ‘a monte’ di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per oltre centoquarantacinque milioni, appariva ictu oculi inspiegabile, se non con la fatturazione tra queste ultime di operazioni (fosse pure in acconto) inesistenti.
1.4. Anche con riferimento all’ammontare dei ricavi la RAGIONE_SOCIALE aderisce, senza fornire alcuna motivazione logica, alla perizia di parte inerente al valore RAGIONE_SOCIALE opere finite, non motivando le ragioni per cui il contenuto di tale perizia sarebbe da preferire ai contenuti della perizia allegata dall’ Ufficio agli avvisi di accertamento per farne parte integrante e costituire i motivi del recupero.
1.5. Il motivo di ricorso è infondato, in quanto la sentenza impugnata enuclea chiaramente il proprio percorso motivazionale, partendo dalla sentenza penale di assoluzione del GIP che, diversamente da quella della Corte d’appello (riguardante fatti non afferenti ai contenuti degli avvisi impugnati), è stata ritenuta
rilevante, seppure non sufficiente a fondare la decisione. A tal fine è bene precisare come -considerato che l’unica sentenza assolutoria valutata come rilevante è quella del GIP -non venga in rilievo, nel caso di specie, l’art. 21 bis d.l.gs n. 74 del 2 000, inserito dal d.lgs. n. 87 del 2024. Questa Corte ha, infatti, precisato recentemente che l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, non trova applicazione, per precisa scelta del legislatore e per il diverso contenuto probatorio posto alla base della decisione, nel caso in cui sia stata pronunciata dal giudice per le indagini preliminari sentenza divenuta definitiva, ancorché recante la formula “perché il fatto non sussiste” (Cass., 16/01/2025, n. 1144).
Ciò premesso il giudice di seconde cure ha pienamente dato conto RAGIONE_SOCIALE ragioni poste a fondamento della decisione, sia nella valutazione della rilevanza attribuita alle risultanze della relazione del perito del GIP, che in relazione ai presunti ricavi non dichiarati. Se sotto il profilo dei costi relativi alle operazioni inesistenti la sentenza impugnata presenta una motivazione non apparente, ma più semplicemente non condivisa dalla parte ricorrente, in relazione alla ricostruzione dei ricavi ha evidenziato altresì lacune probatorie da parte dell’amministrazione finanziaria in ordine alla prova del relativo ammontare. Deve essere, quindi, data continuità all’orientamento secondo il quale il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., 03/03/2022, n. 7090).
Con il secondo motivo -indicato con il n. 3 a pag. 32 del ricorso -è stata denunciata la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c od. proc. civ.
2.1. La parte ricorrente -richiamato l’orientamento espresso da Cass., n. 22329 del 2018 -ha rilevato che le sanzioni sono da ritenere una diretta conseguenza del comportamento della società che ha volontariamente omesso di indicare ricavi e ha invece indicato costi per opere che, come dice il giudice stesso, pacificamente non erano mai state realizzate.
2.2. Il motivo è fondato: questa Corte ha, infatti, precisato che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass., 30/01/2020, n. 2139).
Nel caso di specie è evidente come la RAGIONE_SOCIALE, nel dare rilievo agli esiti assolutori nell’ambito del processo penale, ha proceduto a un’impropria sovrapposizione del contenuto dell’art. 5 d.lgs. n. 472
del 1997, con le esimenti di cui all’art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997. Tanto più che nel caso di specie -come già rilevato -non viene in rilievo l’art. 21 bis d.lgs. n. 74 del 2000 : da un lato, infatti, è stata ritenuta l’estraneità dei fatti accertati con la sentenza della Corte d’appello di Torino alle contestazioni degli avvisi di accertamento oggetto del presente giudizio ; dall’altro lato, la pronuncia assolutoria del GIP non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 21 bis cit., che richiama unicamente il proscioglimento in sede dibattimentale.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato deve essere rigettato il primo motivo, mentre deve essere accolto il secondo motivo di ricorso.
3.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.