Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18416 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 18416 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
Oggetto: reverse charge -sanzioni -ne bis in idem -identità di condotta e fatto -principio di diritto
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17038/2018 R.G. proposto da NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (Pec: EMAIL), con domicilio eletto in INDIRIZZO INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n.294/6/2018 depositata l’8 gennaio 2018, e non notificata. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 marzo 2024 dal
consigliere NOME COGNOME.
Udito per il ricorrente l’AVV_NOTAIO.
Udito per l’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’AVV_NOTAIO.
Udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Ministero in persona del AVV_NOTAIO, nel senso del rigetto del ricorso principale e dell’acco glimento del ricorso incidentale.
Fatti di causa
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, veniva parzialmente accolto l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta n. 6350/10/16, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo proposto da COGNOME NOME, titolare della ditta edile RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO con il quale veniva richiesto il pagamento per l’anno di imposta 2010 maggiore IVA per euro 138.591,95 oltre sanzioni ed interessi.
L’Amministrazione finanziaria riconduceva il rapporto economico tra la ditta del contribuente e la società RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito del contratto di global service, all’appalto di servizi e non di lavori e, per l’effetto , contestava al contribuente il ricorso al regime IVA del reverse charge in assenza dei presupposti richiesti dall’art. 17, comma
6, lett. a), del d.P.R. n. 633 del 1972, concludendo che le operazioni di cui alle fatture contestate erano soggette al regime ordinario dell’IVA. 3. Con riferimento alle sanzioni irrogate, veniva contestata la infedele fatturazione IVA ai sensi dell’art. 6, commi 1,4 e 5, del d.lgs. n. 471 del 1997 e l ‘ infedele dichiarazione di cui all’art. 5, comma 4, del citato decreto e venivano inizialmente liquidate, in applicazione del cumulo giuridico, sanzioni amministrative pari ad euro 173.240,00. In un secondo momento, su richiesta del contribuente, l’RAGIONE_SOCIALE rideterminava le sanzioni in applicazione RAGIONE_SOCIALE più favorevoli formulazioni dell’art. 5, comma 4, e dell’art. 6, comma 9-bis.1, del d.lgs. n. 471 del 1997, introdotte dal d.lgs. n. 158 del 2015. Venivano così riliquidate nel 90% della maggiore imposta dovuta in luogo della previgente misura del 100%. Inoltre, la sanzione per l’indebita applicazione del regime dell’inversione contabile, precedentemente fissata nel 100% dell’imposta non versata, veniva ridotta alla misura fissa prevista dalla novella, applicata nel massimo edittale di euro 10.000,00.
Il giudice di prime cure accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando la sanzione nella misura minima di euro 250,00, ex art. 6, comma 9-bis.2, d.lgs. n. 471 del 1997.
Il giudice d’appello dichiarava dovuta l’IVA , in assenza dei presupposti per l’applicazione del sistema di inversione contabile e non risultando provato il pagamento dell’imposta da parte della società committente i lavori.
Con riferimento alla sanzione per indebita applicazione del reverse charge , il giudice riteneva applicabile la sanzione nella misura minima di euro 250,00, come già ritenuto dal giudice di primo grado, precisando che la nuova previsione introdotta dal legislatore nel 2015 escludeva anche l’ applicazione della sanzione di cui all’art. 5 d.lgs 471/97 in quanto speciale per il caso di applicazione dell’inversione contabile in assenza dei presupposti.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, per due motivi, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso principale, in relazione all’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per evidente contraddittorietà della motivazione per aver ritenuto applicabile la sola sanzione minima di euro 250 prevista dal d.lgs. 158/2015 mediante inserimento del comma 9 bis.2, nell’art. 6 del d.lgs. 471/1997, ma, al contempo, dovuta l’IVA non assolta per l’errata applicazione del regime del reverse charge .
Con il secondo motivo, in rapporto all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., viene dedotta anche la violazione degli artt. 17, commi quinto e sesto, del d.P.R. 633/1972 e 6, comma 9 bis.2 del d.lgs. 471/97, per aver errato il giudice a ritenere dovuta l’IVA in relazione alle prestazioni effettuate dal ricorrente in regime di subappalto con la RAGIONE_SOCIALE, per effetto della ritenuta non corretta applicazione del regime del reverse charge . Secondo il contribuente non sarebbe mai stato posto in dubbio che l’IVA, sia pure irregolarmente, sarebbe stata assolta per il periodo d’imposta .
Il primo motivo non è inammissibile per difetto di autosufficienza come eccepito in controricorso, perché è incentrato su di un vizio motivazionale emergente dalla sentenza impugnata prodotta agli atti in copia autentica, ed è fondato.
9.1. In tema di sanzioni per le violazioni degli obblighi relativi all’IVA, questa Corte ha condivisibilmente chiarito (cfr. Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 1690 del 20/01/2022) che le fattispecie contemplate nei commi 9-bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3 dell’art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997, rispondendo a criteri di progressività, in relazione all’effettivo
pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta per l’esercizio di un’efficace azione di controllo, disciplinano, in primo luogo, al comma 9-bis, l’inosservanza degli adempimenti dell’inversione contabile (o reverse charge ) da parte del cessionario o committente che agisca nell’esercizio di imprese, arti o professioni. La suddetta previsione distingue, a sua volta, al primo periodo sanzioni in misura fissa, riguardanti i casi di irregolare adempimento RAGIONE_SOCIALE operazioni di reverse charge ); al secondo periodo, sanzioni in misura proporzionale, per l’omessa annotazione nei registri contabili ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi; al terzo periodo, sanzioni, anch’esse proporzionali, derivanti dall’indebita detrazione e dichiarazione infedele, per i casi in cui l’IVA non risulti detraibile, scaturenti dall’applicazione dell’art. 5, comma 4, e del comma 6, con riferimento all’imposta che non poteva detrarsi dal cessionario o committente, sanzioni tutte da applicarsi anche in caso di omessa autofatturazione e omessa regolarizzazione della fattura ricevuta dal cedente.
In secondo luogo, i commi 9-bis.1 e 9-bis.2, regolano le due speculari ipotesi di “concorde errore”, dovuto alla difficoltà di qualificare l’operazione ai fini della corretta scelta del regime applicabile, quali, rispettivamente, il caso in cui l’IVA sia assolta dal cedente, benché l’operazione fosse sottoposta al regime del reverse charge e, viceversa, il caso in cui l’IVA sia assolta dal cessionario mediante inversione contabile, sebbene l’operazione fosse sottoposta al regime ordinario, entrambi casi in cui l’acquirente/committente, godendo del diritto di detrazione, è sanzionato in misura fissa.
In terzo luogo, il comma 9-bis.3, disciplina l’esclusione della sanzionabilità in caso di applicazione dell’inversione contabile a operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, per la mancanza, in sé, di danno per l’erario, disponendo l’espunzione sia del debito computato nella liquidazione dell’imposta, sia della corrispondente
detrazione, laddove l’insidiosità insita nelle operazioni inesistenti comporta una sanzione irrogata nella misura compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di euro 1000,00.
9.2. Da quanto precede consegue che il comma 9-bis.2 cit., per essere applicato, presuppone che l’IVA sia assolta dal cessionario – e non rileva il fatto che non sia stata data la prova del pagamento da parte del cedente come si afferma in controricorso – mediante inversione contabile, sebbene l’operazione fosse sottoposta al regime ordinario. Al contrario, a differenza di quanto ritiene il ricorrente contrapponendovi in modo inammissibile la propria prospettazione già disattesa dal giudice, a pag.1 della parte motiva la sentenza ha accertato che: «coglie nel segno la censura appellante di assenza di prova della effettiva applicazione, sia pure in assenza dei presupposti, del reverse charge da parte del committente RAGIONE_SOCIALE». Il giudice ha così stabilito che per il periodo di imposta 2010 non è stata data la prova che il cessionario ha versato l’imposta. Sussiste dunque la denunciata incomprensibile contraddittorietà nella motivazione della CTR censurata con il motivo, e d ev’ essere rimeditata dal giudice del rinvio l’applicazione del regime sanzionatorio.
10. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto, come eccepito dall’RAGIONE_SOCIALE, dietro lo schermo della violazione di legge, diretto ad ottenere un’indebita rivalutazione del materiale probatorio circa il mancato pagamento dell’imposta , sia pure irregolarmente, già oggetto di apprezzamento e accertamento di merito da parte del giudice d’appello. Non può il ricorrente semplicemente contrapporre a tale accertamento la riproposizione della propria prospettazione fattuale già disattesa dal giudice. È inoltre inconducente la parte della censura che ragiona sulla rilevanza dell’art.6 comma 9 bis del d.lgs. n.471/1997 circa la debenza dell’imposta e sulla sua natura retroattiva o meno a tal fine, dal momento che la previsione («9-bis. E’ punito con
la sanzione amministrativa compresa (…) ») disciplina la sola sanzione e non incide sul tributo.
11. Il ricorso incidentale è infondato nel suo primo e secondo motivo. La prima censura prospetta, in relazione all’art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ., la violazione dei principi in materia di giudicato interno e la violazione o falsa applicazione degli artt 324 cod. proc. civ. e dell’art 2909 cod. civ.. Orbene, non sussiste il preteso giudicato interno, dal momento che la stessa RAGIONE_SOCIALE ha impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alla sanzione per infedele fatturazione IVA e, nel rispondere a tale domanda, il giudice d’appello ha interpretato l’art.6 comma 9 bis del d.lgs. n.471/1997 ritenendola norma speciale per il reverse charge idonea a disciplinare la fattispecie in modo da escludere ogni altra sanzione generale. A pag.2 della parte motiva della sentenza si legge infatti: «risulta illegittima, per sopravvenienza di disposizione favorevole al sanzionato, la sanzione applicata in accertamento corrisponde alla fattispecie di cui al comma 1, che invece la nuova disposizione ‘deroga’ per il caso».
Il giudice specifica poco dopo che la nuova sanzione prevista dal comma 9-bis.2 dell’art. 6 d.lgs. n. 471 del 1997 «esclude anche la applicazione della sanzione di cui all’art. 5 d.lgs. 471/97, applicata altresì con l’atto impugnato, atteso che si pone come speciale per il caso di applicazione dell’inversione contabile in assenza dei presupposti».
Tale motivazione esprime inoltre una chiara e in sé coerente ratio decidendi e, per tale ragione, non è utilmente colpita neppure dalla seconda censura incidentale in cui si prospetta ex art.360 primo comma n.4 cod. proc. civ. un ‘ inesistente apparenza della motivazione che, al contrario, rispetta il minimo costituzionale (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014).
Con il terzo motivo del ricorso incidentale l’RAGIONE_SOCIALE prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 5, comma 4 e 6 comma 9-bis 2 e 7 del d.lgs. n. 471 del 1997, in relazione all’art 360 primo comma
n 3 cod. proc. civ., da parte del giudice della CTR nel capo della decisione in cui ritiene che in relazione alla fattispecie sia applicabile la sola sanzione per omessa fatturazione ex art 6 comma 9 bis n.2 cit., in misura fissa e nel minimo edittale, per specialità e non possa trovare applicazione anche la sanzione di cui all’art 5 comma 4 d.lgs. n. 471/97 per omessa dichiarazione.
Il motivo è fondato.
13.1. Per governare la fattispecie è necessaria una breve disamina ricostruttiva del quadro normativo e dei criteri ermeneutici applicabili.
Ai sensi dell’art. 9 della legge n. 689/81: «quando uno stesso fatto è punito (…) da una pluralit à di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale». Il principio di specialit à dev ‘ essere considerato principio di carattere generale estendibile alle violazioni finanziarie (Cass. civ. 18 febbraio 1994, n. 9588, con riferimento alla applicabilit à dei principi contenuti nel Capo I della legge n. 689 del 1981 alle violazioni valutarie; Cass. pen. 17 febbraio 1987; Cass. pen. 20 ottobre 1987 e Cass. pen. 14 dicembre 1987, n. 4859). In particolare, l’art. 12 della legge n. 689/81 prevede l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme del capo I a tutte le sanzioni amministrative pecuniarie «in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito».
Ad esempio, l ‘art. 19 del d.lgs. n. 74/2000 prevede il principio di specialità tra le norme incriminatrici del decreto legislativo che applicano una sanzione amministrativa in base alla quale, laddove uno stesso fatto sia punito ad un tempo sia dalla norma incriminatrice sia da una disposizione che prevede sanzioni amministrative, è applicabile la sola disposizione speciale.
La fattispecie va distinta da quella nella quale le condotte sanzionate sono diverse, perché in tal caso nessuna specialità opera tra le due previsioni sanzionatorie.
13.2. Per valutare se è rispettato il principio del ne bis in idem ai fini dell’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni tributarie, la giurisprudenza della Corte
EDU (caso Grande Stevens c. Italia, No. 18640/10, sentenza 4 marzo 2014) richiede all’interprete, in primo luogo, la riconduzione dell’illecito amministrativo alla materia penale, secondo un approccio sostanziale nella qualificazione della sanzione. Nel caso in cui sia necessario raffrontare la sanzione penale ad una di natura tributariaamministrativa, dev’essere operata l’ assimilazione dei due procedimenti, con conseguente applicazione RAGIONE_SOCIALE garanzie penali consacrate dalla Convenzione EDU. In secondo luogo, ai fini della valutazione dell’identità del fatto, è richiesta l’ adozione della prospettiva dell’ idem factum (Corte EDU casi A e B. c. Norvegia , Nos. 24130/11 e 29758/11, sentenza di grande camera 15 novembre 2016; caso COGNOME e a. c. Islanda , No. 22007/11, sentenza del 18 maggio 2017) che guarda all’accadimento naturalisticamente inteso, e non già l’ idem legale , ossia la definizione legale usata dalla norma incriminatrice.
13.3. I criteri ermeneutici utilizzati per l’applicazione del principio del ne bis in idem in caso di duplice sanzione penale e amministrativa sono utili a orientare l’interprete sull’applicazione del principio di specialità in materia sanzionatoria anche nel caso in cui non vi sono due distinti procedimenti, uno penale e uno amministrativo-tributario, bensì sono applicate due sanzioni nell’ambito del medesimo procedimento amministrativo, che ha originato il processo tributario.
Il Collegio, alla luce della ricostruzione che precede, ritiene che il rapporto tra la sanzione diretta a coprire l’omessa dichiarazione, ai sensi dell’ art 5 comma 4 d.lgs. n. 471/97 e la sanzione che incrimina l’omessa fatturazione di cui all’ art 6 comma 9 bis n.2 d.lgs. n. 471/97, non sia regolato dal principio di specialità, perché le condotte sanzionate dalle due suddette previsioni normative sono diverse, dal momento che non vi è l’ idem factum .
14.1. Infatti, sotto un primo, decisivo, profilo, l’omessa fatturazione non necessariamente conduce all’omessa dichiarazione IVA.
14.2. Sotto un secondo profilo, elementi convergenti si traggono dalla disciplina nazionale in materia di ravvedimento operoso. Ai fini del porre rimedio alle omissioni, l’istituto di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevede che la dichiarazione presentata oltre novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione è da considerarsi, comunque, omessa con la conseguenza che le sanzioni non possono essere spontaneamente regolarizzate mediante l’istituto del ravvedimento operoso.
14.3 Un terzo profilo fa emergere elementi di conferma dalla stessa giurisprudenza della Corte del Lussemburgo. La Corte di Giustizia UE (sentenza 1° luglio 2021 nella causa C521/19) ha interpretato gli artt.73 e 78 della direttiva 2006/112, letti alla luce del principio di neutralit à dell’IVA, nel caso in cui un soggetto passivo dell’IVA, commettendo un’evasione, non abbia n é indicato l’esistenza dell’operazione all’amministrazione tributaria, n é emesso fattura, n é fatto figurare in una dichiarazione a titolo RAGIONE_SOCIALE imposte dirette i redditi ottenuti in occasione di tale operazione. Orbene, la ricostruzione, nell’ambito dell’ispezione di una simile dichiarazione, degli importi versati e percepiti durante l’operazione in questione da parte dell’amministrazione tributaria interessata, dev ‘ essere intesa come un prezzo gi à comprensivo dell’IVA, a meno che, secondo il diritto nazionale, i soggetti passivi abbiano la possibilit à di ripercuotere e detrarre successivamente l’IVA in questione, nonostante l’evasione.
In altri termini, il contribuente che intenda porre rimedio all’omesso versamento dell’IVA , deve, tra l’altro, emettere la fattura trascurata, comunicare i dati RAGIONE_SOCIALE liquidazioni periodiche cui non ha provveduto, salvo la regolarizzazione intervenga direttamente con la dichiarazione annuale IVA ovvero successivamente alla sua presentazione , e altresì presentare la relativa dichiarazione IVA, da considerarsi comunque formalmente omessa, laddove successiva al novantesimo giorno dalla
scadenza del termine di presentazione, e versare l’imposta eventualmente dovuta oltre interessi.
15. Il compendio di elementi sopra riassunto porta a ritenere conclusivamente che non von vi è idem factum alla base RAGIONE_SOCIALE sanzioni dell’omessa fatturazione e dell’omessa dichiarazione e, pertanto, non opera il principio di specialità tra le norme che le disciplinano.
Dev’essere così affermato il seguente principio di diritto:
« In materia di regime dell’inversione contabile IVA ( reverse charge ) e di sanzioni per le violazioni degli obblighi relativi, l’introduzione della fattispecie sanzionatoria prevista dal comma 9-bis.2 dell’art. 6 d.lgs. n. 471 del 1997 per l’omessa fatturazione non fa venir meno per specialità la sanzione di cui all’art 5 comma 4 d.lgs. n. 471/97 per omessa dichiarazione, in ragione della diversità tra le due condotte colpite e dell’assenza dell’ idem factum , disposizioni interpretate conformemente alla giurisprudenza della Corte EDU (casi A e B c. Norvegia, Nos. 24130/11 29758/11, sentenza 15 novembre 2016) e della Corte di Giustizia UE (causa C-521-19, sentenza 1° luglio 2021)».
In applicazione del principio, ha errato il giudice d’appello a ritenere che in relazione alla fattispecie sia di per sé applicabile la sola sanzione per omessa fatturazione ex art 6 comma 9 bis n.2, in misura fissa e nel minimo edittale per specialità, e che non possa trovare applicazione anche la sanzione di cui all’art 5 comma 4 d.lgs. n. 471/97, la quale colpisce l’ omessa dichiarazione.
16. Il quarto motivo del ricorso incidentale, che denuncia la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la CTR, da un lato, afferma che l’imposta non è stata assolta e che “dovuto il pagamento dell’imposta IVA”, mentre, dall’altro, ritiene applicabile la sanzione fissa di euro 250,00, prevista dall’ art. 6, comma 9-bis.2, del d.lgs. n. 471 del 1997, è assorbito
dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale in quanto sostanzialmente ad esso sovrapponibile.
17. In conclusione, accolto il primo motivo del ricorso principale, inammissibile il secondo, e il terzo motivo del ricorso incidentale, infondati i primi due e assorbito il quarto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame in relazione ai profili evidenziati, e provveda sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale, inammissibile il secondo motivo del ricorso principale e rigettati i primi due motivi del ricorso incidentale, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per i suddetti profili e per provvedere sulle spese di lite.
Così deciso in Roma in data 13 marzo 2024