Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15788 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15788 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 05/06/2024
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11237/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in INDIRIZZO, INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 3282/2019, depositata il 31 luglio 2019, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 3282/2019, depositata il 31 luglio 2019, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto, per quanto ritenuto di ragione, l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure che aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in relazione all’IMU dovuta dalla contribuente per l’anno 2012, e per il possesso di aree edificabili;
1.1 premesso che l’impugnata sentenza andava confermata quanto ai criteri di determinazione della base imponibile del tributo -correlata al valore venale di aree edificabili (d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5), valore accertato sulla base di una consulenza tecnica che, posta a base di una deliberazione adottata dall’Ente impositore ai fini della determinazione, per zone omogenee, del valore di dette aree , risultava legittimamente incentrata sul metodo analiticoricostruttivo del valore di trasformazione – quanto alla sanzione applicata nell’atto impositivo ha rilevato il giudice del gravame che:
la contribuente aveva presentato nel 2007, a fini ICI, una dichiarazione di valore delle aree in questione per importo inferiore a quello rideterminato nella consulenza acquisita dall’Ente impositore;
in detta attività valutativa, peraltro, doveva riconoscersi «un fisiologico margine di tolleranza» che, nella fattispecie, si identificava con una differenza di valori (dichiarati e accertati) «di modesta entità», a fronte del valore dichiarato per € 10.800.000,00 e di quello accertato in € 12.494.973,39;
-quest’ultimo valore, per di più, aveva formato oggetto di una delibera dell’Ente impositore che, ai sensi del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 59, cit., l’aveva adottata nell’anno 2015;
-il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi; RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
-hinc et hinde sono state depositate memorie.
Considerato che:
-il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 cod. proc. civ. e del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, assumendo, in sintesi, che la pronuncia si fonda su di una motivazione apparente che, in punto di sanzioni applicate, non dava alcun conto delle ragioni poste a fondamento della rilevata «modesta entità» dello scarto tra valori (accertati e dichiarati) né delle difese sul punto svolte da esso esponente;
1.2. -il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 5, comma 5, e 14, comma 2, al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 7, al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 13, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, ed al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, artt. 5, comma 3, e 6, comma 4;
-si deduce, in sintesi, che all’infedeltà nella dichiarazione presentata dal contribuente -qui a riguardo dell’annualità ICI 2007 non poteva correlarsi alcuna esimente in ragione della «modesta entità» dello scarto tra valori (accertati e dichiarati), nella fattispecie per di più detto scarto ascendente all’importo di € 1.694.973,39 , le uniche fattispecie di esclusione o di riduzione della sanzione trovando sede nei commi 3 e 4 dell’art. 14, cit.;
1.3 -il terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 14, comma 2, al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 7, al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 13, conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, al d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. g ) , ed all’art. 2697 cod. civ. ;
assume, in sintesi, il ricorrente che il giudice del gravame illegittimamente aveva fatto riferimento -al fine di escludere l’applicazione della sanzione per infedele dichiarazione alla delibera di Giunta Comunale adottata ( ex post ) nel 2015 (n. 79, del 1 luglio 2015) e, quindi, al d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. g) , in quanto quest’ultima disposizione non era più applicabile a fini Imu e, ad ogni modo, con detta delibera – che non operava alcun riferimento all’art. 59, comma 1 , lett. g), cit. – esso esponente aveva inteso determinare il valore venale di aree edificabili non anche autolimitare il proprio potere di accertamento dietro indicazione di valori minimi, così che il potere esercitato corrispondeva all’esercizio di una mera facoltà dell’Ente impositore senz’alcun riflesso sull’obbligo di dichiarazione del contribuente in ordine al «corretto valore attribuibile ai cespiti posseduti»;
-soggiunge il ricorrente che, nella fattispecie, la colpa del contribuente doveva presumersi e, per di più, doveva ritenersi grave per violazione di elementari obblighi tributari , ai sensi dell’art. 5, comma 3, cit., né su detti obblighi ricorrendo una qualche obiettiva incertezza;
-il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento;
2.1 -come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto
2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053);
– si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599);
2.2 -com’è inequivoco alla stregua dei contenuti decisori sopra ripercorsi, nella fattispecie la gravata sentenza senz’altro espone le ragioni che sono state poste a fondamento del decisum , e con specifico
riferimento tanto ai dati fattuali oggetto di valutazione quanto alla relativa qualificazione;
-anche il secondo, ed il terzo motivo di ricorso, -che vanno congiuntamente esaminati siccome connessi, -sono destituiti di fondamento;
3.1 -occorre premettere, al riguardo, che, come la Corte ha già avuto modo di rilevare, la disposizione di cui al d.lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), e, dunque, il connesso potere dell’Ente locale di «determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, secondo criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza di contenzioso» – trova applicazione (anche) con riferimento all’IMU, « il cui presupposto oggettivo, come per l’ICI, è costituito dal “possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli”, siti nel territorio dello Stato ed a qualsiasi uso destinati» (così Cass., 4 novembre 2022, n. 32532; v. altresì Cass., 1 settembre 2022, n. 25781); e, può soggiungersi, in quanto disposizione mantenuta in vigore dallo stesso d.l. n. 201 del 2011, art. 13, cit., che -nel disciplinare l’imposta di nuova istituzione ha, per l’appunto, previsto l’abrogazione , a decorrere dal 1 gennaio 2012, (solo) delle disposizioni di cui alle «lettere d), e) ed h) del comma 1, dell’articolo 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446»;
3.2 – in disparte, ora, la contraddittorietà delle deduzioni articolate col terzo motivo di ricorso che, da un lato, assumono un contenuto della deliberazione n. 79, del 1 luglio 2015, (in tesi) incompatibile col disposto di cui all’art. 59, comma 1, lett. g), cit. con ciò senza dar conto, in completa anomia di allegazione, del contenuto di detta
delibera i cui effetti non risulterebbero disponibili, ex latere dell’Ente impositore, a fronte della specifica disciplina del potere -e, dall’altro, ne riconducono gli effetti proprio a quella stessa disposizione , secondo l’interpretazione offertane da questa Corte, residua, al fondo delle questioni dedotte, che, nella fattispecie, il giudice del gravame ha escluso la colpevolezza della contribuente sulla base di un accertamento che ha individuato il dato obiettivo della contestata infedeltà dichiarativa nel mero valore venale in comune commercio delle aree dichiarate e non anche in connotazioni tipologiche (dei beni posseduti) o di contesto (anche regolamentare e involgente la loro concreta utilizzabilità edificatoria) che, in quanto evolute, e modificatesi nel tempo, abbiano potuto integrare una infedeltà dichiarativa conseguente all’omessa dichiarazione di variazione cui la contribuente era tenuta ;
né detti presupposti dell’obbligo di presentare una dichiarazione di variazione risultano (diversamente) allegati a fondamento del ricorso le cui censure di violazione di legge -non anche di omesso esame di un fatto decisivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) – si radicano sugli stessi dati posti a fondamento della gravata statuizione, dati in quanto tali ritenuti ex se valorizzati in violazione della disposizione normativa (d.lgs. n. 504 del 1992, art. 14, comma 2, in relazione al d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 9, comma 7);
e, va rimarcato, inammissibili rimangono al riguardo le (ulteriori) deduzioni in fatto articolate con la memoria difensiva che può assolvere alla (sola) funzione di illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte col ricorso, ovvero di confutare le tesi avversarie, ma non può specificare od integrare od ampliare il contenuto delle originarie
argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo e, tanto meno, dedurre nuove eccezioni – implicanti necessariamente accertamenti di fatto – o sollevare nuove questioni di dibattito (v. Cass. Sez. U., 15 maggio 2006, n. 11097 cui adde , ex plurimis , Cass., 6 luglio 2022, n. 21355; Cass., 21 gennaio 2021, n. 1177; Cass., 27 agosto 2020, n. 17893; Cass., 28 novembre 2018, n. 30760; Cass., 23 agosto 2011, n. 17603; Cass., 28 agosto 2007, n. 18195);
3.3 l’infedeltà dichiarativa radicandosi (solo) nell’apprezzamento di valore posto a fondamento della rettifica operata con l’avviso di accertamento in contestazione, va allora rilevato che la Corte ha già avuto modo di condivisibilmente statuire che -fornendo le delibere adottate dall’Ente impositore, ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. g ), cit., «le uniche indicazioni predeterminate per individuare il valore» delle aree edificabili – «in mancanza delle stesse il cittadino opera una mera previsione», così che se la previsione «si riveli errata il contribuente sarà tenuto ad uniformarsi all’accertamento operato dall’ente impostore, ma, mancando – per l’assenza di una chiara e disattesa previsione normativa – qualsiasi volontarietà e colpevolezza (Cass. n. 22890/2006, Rv. 595873) della condotta, la stessa non potrà essere sanzionata» (così Cass., 8 ottobre 2010, n. 20872 cui adde Cass., 30 dicembre 2015, n. 26077);
– come, difatti, rilevato dalla Corte in tema di elemento soggettivo dell’illecito amministrativo tributario, il d.lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta (anche) la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso (Cass., 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., 15
maggio 2019, n. 12901; Cass., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930);
-le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte
-rigetta il ricorso;
-condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in € 7.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;
-ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024.