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Sanzioni fiscali separate: legittima la notifica

Una società cooperativa ha impugnato degli atti di irrogazione di sanzioni per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Le sanzioni erano state notificate con un atto separato, ma contestuale, all’avviso di accertamento. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto il ricorso, stabilendo che la notifica di sanzioni fiscali separate è legittima, a condizione che avvenga contestualmente all’accertamento. La contestualità temporale è infatti sufficiente a rispettare il principio di accertamento unificato, rendendo irrilevante la mera separazione formale dei due atti.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sanzioni fiscali separate: quando la notifica è legittima?

L’amministrazione finanziaria può notificare le sanzioni con un atto distinto dall’avviso di accertamento? La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito i confini del principio di accertamento unificato, affermando la legittimità delle sanzioni fiscali separate a condizione che la notifica sia contestuale a quella dell’atto impositivo. Questa ordinanza offre importanti spunti sulla validità formale e sostanziale degli atti emessi dal Fisco.

I fatti del caso: avvisi di accertamento e atti sanzionatori distinti

Una società cooperativa si vedeva notificare due atti di irrogazione di sanzioni per gli anni d’imposta 2010 e 2011. Tali sanzioni derivavano da avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato il reddito d’impresa e liquidato maggiori imposte (IVA, IRES, IRAP) a seguito della contestazione di costi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti.

La società contribuente ha impugnato gli atti sanzionatori, sostenendo che avrebbero dovuto essere irrogati contestualmente all’avviso di accertamento, come previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 472/1997, e non tramite atti autonomi e separati. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano i ricorsi della società, la quale decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione.

Il primo motivo di ricorso e le sanzioni fiscali separate

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato l’illegittimità del modus operandi dell’amministrazione finanziaria. A suo dire, la notifica di sanzioni fiscali separate rispetto all’avviso di accertamento violava il principio dell’accertamento unificato. Sebbene le sanzioni fossero collegate all’imposta accertata, l’Agenzia aveva scelto di emettere atti distinti, contravvenendo alla normativa.

Il secondo motivo: la carenza di prova sui ricavi fittizi

Nel secondo motivo, la società lamentava che la sentenza d’appello non si fosse pronunciata sulla censura relativa alla carenza di prova. In particolare, l’amministrazione finanziaria, oltre a contestare i costi fittizi, aveva tassato anche i presunti ricavi “afferenti” a tali costi. Secondo la ricorrente, l’Agenzia non aveva fornito alcuna prova della fondatezza della quantificazione di tali ricavi, sui quali erano state poi calcolate le sanzioni.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo.

Sul primo punto, i giudici hanno chiarito che il principio dell’accertamento unificato non è violato dalla mera separazione formale degli atti. Ciò che conta è la contestualità temporale della notifica. Le sanzioni amministrative collegate al tributo possono essere irrogate unitamente all’avviso di accertamento (ex art. 16 D.Lgs. 472/1997) o con un distinto atto autonomo (ex art. 17), purché quest’ultimo sia emesso e notificato contestualmente al primo. La contestualità è sufficiente a garantire il collegamento tra imposta e sanzione e a tutelare il diritto di difesa del contribuente, rendendo irrilevante che si tratti di uno o due documenti distinti.

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha ricordato che, in tema di imposte sui redditi e operazioni inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà non solo dei costi, ma anche dei componenti positivi (ricavi) che l’amministrazione finanziaria presume siano stati conseguiti. Se il contribuente deduce costi per operazioni inesistenti, spetta a lui dimostrare che anche i ricavi direttamente afferenti a tali operazioni non sono stati effettivamente conseguiti e non devono quindi concorrere alla formazione del reddito.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un principio di pragmatismo procedurale. La validità degli atti impositivi e sanzionatori dipende dalla loro connessione sostanziale e temporale, non da una rigida unicità formale. Per i contribuenti, ciò significa che l’impugnazione di sanzioni fiscali separate basata solo sulla loro distinta notifica ha scarse probabilità di successo se l’atto sanzionatorio è stato ricevuto insieme all’avviso di accertamento. Inoltre, la sentenza ribadisce il rigoroso onere probatorio a carico del contribuente in caso di contestazioni per operazioni inesistenti: non basta contestare la pretesa del Fisco, ma occorre fornire prova contraria circa la non debenza delle imposte su ricavi che l’Agenzia considera connessi ai costi fittizi.

È possibile notificare le sanzioni fiscali con un atto separato dall’avviso di accertamento?
Sì, è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che le sanzioni possono essere irrogate con un atto distinto e autonomo, purché tale atto sia emesso e notificato contestualmente all’avviso di accertamento. La mera separazione formale non invalida l’atto sanzionatorio.

Cosa si intende per “contestualità temporale” nella notifica degli atti fiscali?
Significa che l’atto di irrogazione delle sanzioni e l’avviso di accertamento, pur essendo documenti separati, devono essere notificati al contribuente nello stesso momento. Questa simultaneità è sufficiente a soddisfare il principio dell’accertamento unificato.

In caso di costi per operazioni inesistenti, su chi grava l’onere di provare la fittizietà dei ricavi correlati?
Secondo la Corte, l’onere della prova grava sul contribuente. Se l’amministrazione finanziaria disconosce i costi e presume l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati, spetta al contribuente dimostrare che tali ricavi sono anch’essi fittizi e non hanno concorso a formare il reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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