Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24957 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24957 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6228/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME ASA (CODICE_FISCALE
(EMAIL)
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE RAGIONE_SOCIALE II MILANO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 4867/2018 depositata il 13/11/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Lombardia ( hinc: CTR), con la sentenza n. 4867/2018 depositata in data 13/11/2018, ha respinto gli appelli proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE ( hinc: RAGIONE_SOCIALE o la società contribuente o la contribuente) contro le sentenze n. 5538/2016 (avente per oggetto l’atto di irrogazione delle sanzioni per l’anno d’imposta 2011) e n. 5537/2016 ( avente per oggetto l’atto di irrogazione delle sanzioni per l’anno d’imposta 2010), con le quali la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva respinto i ricorsi proposti dalla contribuente.
1.1. Gli atti di irrogazione delle sanzioni sono stati notificati alla società contribuente, contestualmente agli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate eccependo la violazione dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012 -aveva rettificato il reddito d’impresa, il valore della produzione netta, nonché il valore d’affari dichiarato dalla società, liquidando maggiori imposte a titolo di IVA, IRES ed IRAP.
La CTR -rilevato che la sanzioni traevano origine degli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2010 e 2011 ha ritenuto non corretta la tesi dell’appellante, secondo cui le sanzioni de quibus
avrebbero dovuto essere irrogate contestualmente all’avviso notificato ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 18/12/1997, n. 472 . Difatti, la sanzione veniva rapportata al tributo IRES, ma non collegata ad esso, poiché non incidente sulla determinazione o sul pagamento tributo. Di conseguenza, andava richiesta indipendentemente dall’accertamento della maggior imposta. L’amministraz ione finanziaria, nel recuperare i costi relativi a operazioni inesistenti, era tenuta, comunque, a irrogare la sanzione di cui all’art. 8 , comma 2, d.l. n. 16 del 2012. Tale norma introduce una sanzione dal 25 al 50 per cento dei componenti negativi illecitamente dedotti a carico dell’utilizzatore di fatture oggettivamente inesistenti , commisurata, quindi, all’importo dei costi esposti sui documenti contabili falsi, disponendo che tale sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 e, quindi, è irrogata a mezzo di apposito atto di contestazione adeguatamente motivato in relazione alla fattispecie contestata e alla quantificazione delle sanzioni dovute. Di conseguenza, la normativa da applicare nel caso di specie è l’art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997 che, nel descrivere il procedimento di irrogazione delle sanzioni, prevede l’autonoma notifica di un atto di contestazione e di un successivo avviso di irrogazione delle sanzioni.
Contro la sentenza della CTR la società contribuente ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997 -violazione del principio di accertamento unificato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva l’illegittimità del modus operandi dell’amministrazione finanziaria , che ha proceduto a notificare autonomi atti di irrogazione delle sanzioni, sebbene la loro determinazione fosse collegata all’accertamento di maggiori imposte recuperate a tassazione in avvisi di accertamento separati, in palese violazione dell’art. 17, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997, da leggere in combinato disposto con l’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012.
Secondo l’attività istruttoria svolta dall’amministrazione finanziaria, la società contribuente avrebbe contabilizzato costi documentati da fatture per operazioni oggettivamente inesistenti indeducibili ai sensi dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986, con il consegu ente recupero a tassazione dell’imposta , avvenuto in appositi avvisi di accertamento e l’irrogazione della sanzione connessa mediante distinti atti sanzionatori, impugnati nel presente giudizio. Si tratta, tuttavia, di sanzioni collegate al tributo ai sen si e per gli effetti dell’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997, in quanto direttamente connesse all’imposta ipoteticamente dovuta dalla società. L’illegittima contabilizzazione di costi afferenti a fatture oggettivamente inesistenti avrebbe, infatti, portato a un illegittimo abbattimento del reddito d’impresa imponibile, sulla cui base si è proceduto al calcolo delle maggiori imposte accertate.
1.2. Il motivo è infondato. Nel caso di specie è pacifico che l’atto di irrogazione delle sanzioni sia stato emesso e notificato contestualmente all’avviso di accertamento. Per quanto il recupero dei costi indebitamente dedotti in relazione a fatture per operazioni oggettivamente inesistenti si riverberi, inevitabilmente, sulla rettifica dell’imposta dovuta e la relativa sanzione sia, quindi, collegata, all’ammontare di costi che hanno determinato un’impropria riduzione dei redditi, è da rilevare come seco ndo questa
Corte le sanzioni amministrative collegate al tributo e quelle accessorie possono essere irrogate unitamente all’avviso di accertamento ex art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997 o con distinto ed autonomo atto ai sensi del successivo art. 17 d.lgs. citato, purché tale atto sia emesso contestualmente al menzionato avviso (Cass., 27/10/2021, n. 30398). La parte ricorrente fa, quindi, valere un aspetto meramente formale ricondotto alla distinzione degli atti impositivi ( i.e. quello accertativo e quello sanzionatorio), senza tenere, tuttavia, conto del fatto che non è la separatezza o meno di tali atti a determinarne la conformità all’art. 17 d.lgs. n. 472 del 1997, quanto la contestualità temporale della rettificazione dei redditi -e del conseguente ammontare delle imposte -rispetto alla irrogazione della sanzione collegata al maggior ammontare dell’imposta dovuta (anche in conseguenza del disconoscimento, da parte dell’amministrazione finanziaria, dei costi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti che si ripe rcuota sull’ammontare dei redditi dichiarati dal contribuente). Tale contestualità temporale è infatti sufficiente a dare attuazione al principio dell’accertamento unificato, senza che la formale separatezza degli atti possa compromettere l’invalidità dell’atto irrogativo delle sanzioni.
Con il secondo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (cd. principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione alla carenza di prova, nonché infondatezza della sanzione irrogata ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
2.1. Con tale motivo di ricorso la società contribuente rileva che la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla censura relativa alla carenza di prova, nonché all’infondatezza delle sanzioni irrogate
ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012. In particolare, negli avvisi di accertamento sottesi alla pretesa sanzionatoria l’amministrazione finanziaria ha contestato l’uso di fatture false (per un ammontare di Euro pari a 4.970.628 per il 2010 e a Euro 6.431.506 per il 2011), recuperando a tassazione il maggior imponibile di Euro 1.242.77,68 per l’anno 2010 e di Euro 1.358.856 per l’anno 2011, derivante dalla differenza tra i costi contestati come fittizi e i ricavi considerati afferenti (Euro 3.727.850,60 per il 2010 ed Euro 5.072.650,22 per il 2011), ai sensi dell’art. 8, comma 2, d.l. n. 16 del 2012. Proprio in relazione a tali ricavi afferenti ai costi fittizi sono state irrogate le sanzioni con gli atti impugnati nel presente giudizio. La ricorrente afferma, quindi, che: « Pertanto, laddove si contesti ad un soggetto l’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti e, quindi, attestanti costi fittizi, alla indeducibilità di detti costi non potrà accompagnarsi la tassazione, ai fini I.R.E.S. ed I.R.A.P., dei ricavi dichiarati connessi alla vendita fittizia, ovvero simulata per avere corrispondenza con l’acquisto fittizio … Ciò premesso, si ritiene che l’Amministrazione finanziaria non abbia provato in alcun modo la fondatezza della quantificazione di tali ricavi ‘fittizi’ id est, considerati ‘afferenti’ ai costi derivanti da operazioni inesistenti effettuata nei sopra citati limiti ed in relazione ai quali sono state irrogate le sanzioni de quibus.»
2.2. In via preliminare, occorre dare atto che dalla lettura di quanto riportato a pag. 4 del ricorso in cassazione risulta che la società ricorrente abbia svolto tale censura davanti alla CTR.
2.3. Sempre in via preliminare occorre evidenziare che, secondo questa Corte, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi,
una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., 28/06/2017, n. 16171).
2.4. Ciò premesso il motivo di ricorso è infondato, dal momento che la sua stessa illustrazione evidenzia come l’amministrazione finanziaria abbia proceduto alla quantificazione sia degli importi riconducibili ai costi relativi all’uso di operazioni inesistenti, sia alla quantificazione dei maggiori ricavi non dichiarati dalla società contribuente. Sarebbe, quindi, spettato alla contribuente dare la prova contraria in ordine al conseguimento dei minori redditi rispetto a quelli rideterminati dall’amministra zione finanziaria in conseguenza del disconoscimento dei costi relativi alle operazioni inesistenti. Secondo questa Corte, infatti, in tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi dell’art. 8, secondo comma, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ove direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 20/11/2013, n. 25967).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27/06/2025.