Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10001 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
Oggetto:
Tributi – Dazi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 36611/2018 R.G. proposto da
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese da ll’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore (PEC: EMAIL;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2129/07/2018, depositata il 14.05.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE di Fianco Daniele (ora
RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della CTP di Milano che aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dalle predette ricorrenti avverso l’atto di irrogazione di sanzioni, emesso dall’Ufficio doganale di Milano, a seguito del PVC di revisione di una bolletta doganale del 3.05.2012, con il quale erano state accertate le seguenti difformità: singolo n. 1: la merce importata era stata dichiarata con una voce doganale errata; singolo n. 2: il prodotto ‘ Volvo side lamp bulk type emark ‘ era stato erroneamente classificato; singolo n. 3: il nolo dichiarato nel DAU era difforme da quanto fatturato (euro 334 invece di euro 320,78);
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
per alcuni rilievi la parte risultava a credito (singolo n. 1 e n. 2), mentre per un rilievo risultava a debito (singolo n. 3) per euro 1.056,57, con conseguente irrogazione di sanzioni per un totale complessivo di € 5.128,75 ;
il giudice nazionale può disapplicare la sanzione irrogata se risulta sproporzionata rispetto alla gravità della infrazione, come ha affermato in più occasioni la stessa Corte di giustizia della UE, qualora la norma che la prevede sia ritenuta incompatibile con quella unionale, sulla base di quanto previsto dall’art. 5 TUE ;
tali indicazioni sono state recepite dall’art. 16 del d.lgs. n. 158 , che ha modificato l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1992;
-nella specie, dai calcoli dell’Ufficio e dalle circostanze emergenti dalla verifica era evidente che la sanzione applicata era assolutamente sproporzionata rispetto alla violazione commessa;
-poichè l’art. 303 TULD, come modificato dal d.l. n. 16 del 2012, prevede sanzioni incompatibili con i principi previsti dalle norme unionali, lo stesso andava disapplicato nella parte relativa al calcolo di dette sanzioni;
a fronte della mancanza di pericolosità delle violazioni commesse, posto che per alcuni rilievi i ricorrenti erano risultati addirittura in credito per quanto riguardava l’entità dei diritti doganali dovuti, era evidente la sproporzione della sanzione irrogata nella misura di quasi il 500% dei diritti da recuperare;
le sanzioni andavano, pertanto, ridotte nella misura pari alla metà del minimo edittale previsto dall’art. 303 lett. a) del TULD e, segnatamente, pari alla metà di € 103,00 ;
-l’A DM impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo;
le società contribuenti resistevano con controricorso, illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 del TUE e 303 del TULD, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel disapplicare le sanzioni previste dall’art. 303 del TULD, ritenendole in contrasto con i principi eurounitari perché ‘sproporzionate’, senza considerare che il contrasto può essere ravvisato tra la norma nazionale e norme dell’ordinamento europeo direttamente applicabili, mentre non può essere disapplicata una norma nazionale, perché si ritiene che contrasti con i principi generali dell’Unione europea e nemmeno con l’art. 5 del TUE, che regola la delimitazione delle competenze dell’Unione europea ; precisa che l’Ufficio ha applicato l’art. 303 del TULD (in combinato disposto con l’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972) nella versione introdotta dall’art. 11, comma 4, del d.l. n. 16 del 2012, convertito con modificazioni, dalla l. n. 44 del 2012, determinando in complessivi € 128,75 la sanzione, ex art. 303, comma 1, per i singoli n. 1 e n. 2) e in € 5.000,00 la sanzione, ex art. 303, comma 3, lett. c), per il singolo n.
3 ; aggiunge che l’ordinamento comunitario ha sempre lasciato agli ordinamenti nazionali la disciplina sanzionatoria in materia doganale e che altre disposizioni dell’ordinamento unionale , quale l’art. 325 del TFUE, impongono l’adozione di misure dissuasive, in grado di permettere una protezione efficace contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione ; rileva, infine, che la CTR si è contraddetta, in quanto ha dapprima affermato di disapplicare la disposizione di cui all’art. 303 TULD e poi ha determinato in concreto la sanzione sempre sulla base di detta disposizione, in quanto ha preso come riferimento il minimo edittale in essa previsto, riducendola in modo arbitrario ad euro 51,50, pari a 1/100 di quella originaria;
-preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità, formulata dalla parte controricorrente e riguardante l’asserito difetto del requisito di autosufficienza del motivo di ricorso, atteso che la censura è circostanziata e riporta specificatamente le parti degli atti e dei documenti, rilevanti per la decisione delle questioni prospettate, nell’ambito delle quali va inquadrata la fattispecie;
ciò premesso, il motivo è fondato nei limiti di seguito indicati;
per quanto riguarda il quadro normativo di riferimento in materia di sanzioni amministrative per diritti di confine evasi, l’art. 303, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973, come sostituito dall’art. 11 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, stabilisce che ‘Se i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento, la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata come segue:
per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;
per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;
per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;
per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;
oltre 4.000, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti. ‘;
-l’art. 303, comma 1, del TULD, poi, prevede che se l’inesatta indicazione del valore non abbia comportato la rideterminazione dei diritti di confine, si applica la sanzione amministrativa da euro 103 a euro 516;
ciò premesso, la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ha più volte applicato il principio di proporzionalità in materia di sanzioni, affermando specificamente che esse non debbano eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione (Corte di Giustizia sentenze 8 maggio 2008, Ecotrade, C-95/07 e C-96/07, punti da 65 a 67; 12 luglio 2012, EMS-RAGIONE_SOCIALE, C-284/11, punto 67) e tale principio si applica anche al diritto doganale, in quanto materia armonizzata (cfr. Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013);
più in particolare, i giudici unionali hanno affermato che, «in mancanza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate », ma «sono tuttavia tenuti a esercitare le loro competenze nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021,
RAGIONE_SOCIALE, C-544/19, EU:C:2021:803, punto 84 e giurisprudenza ivi citata) », che impone l’adozione di misure che non eccedano «i limiti di ciò che è appropriato e necessario alla realizzazione degli obiettivi legittimamente perseguiti da tale normativa», sicché «il rigore delle sanzioni deve essere adeguato alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto realmente dissuasivo, fermo restando il rispetto del principio generale di proporzionalità (ordinanza del 12 luglio 2018, COGNOME e COGNOME, C-707/17, non pubblicata, EU:C:2018:574, punto 28 e giurisprudenza ivi citata) » (CGUE, sentenza 24 febbraio 2022, in causa C-452/20, PJ c/ Agenzia delle dogane e dei monopoli, p. 36 e segg.);
-il principio di proporzionalità costituisce, quindi, un principio generale del diritto dell’Unione, che ‘ si impone agli Stati membri nell’attuazione di tale diritto anche in assenza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili ‘ (CGUE sentenza 8 marzo 2022, in causa C-205/20, NE , punto 31);
– occorre considerare, peraltro, che detto principio ‘si impone agli Stati membri non solamente per quanto concerne la determinazione degli elementi costitutivi di un’infrazione e delle norme relative all’importo delle sanzioni pecuniarie, ma anche riguardo alla valutazione degli elementi di cui si può tenere conto per la fissazione dell’importo della sanzione (sentenza del 22 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-497/15 e C-498/15, EU:C:2017:229, punto 43 e giurisprudenza citata) ‘ (CGUE sentenza 23 novembre 2023, in causa C-653/22, J.P. Mali , punto 33);
– al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione
stessa (Corte di Giustizia sentenza 17 luglio 2014 Equoland , C-272/13, par. 35);
– è stato anche statuito come, nella determinazione della misura della sanzione irrogabile, laddove vi sia un’entità percentuale fissata per la maggiorazione e l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata (Corte di Giustizia, sentenza 19 luglio 2012, Rēdlihs , C-263/11, punto 52; sentenza Equoland cit., par. 45);
sempre il giudice unionale avverte, poi, che « al fine di garantire l’effettività dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione, il principio del primato impone, in particolare, ai giudici nazionali di interpretare, per quanto possibile, il loro diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione (sentenza del 24 giugno 2019, COGNOME, C -573/17, EU:C:2019:530, punto 57). L’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale, tuttavia, è soggetto ad alcuni limiti e non può, in particolare, servire da fondamento ad un’interpretazione ‘contra legem’ del diritto nazionale (sentenza del 6 ottobre 2021, Sumal, C-882/19, EU:C:2021:800, punto 72 e giurisprudenza ivi citata). Occorre altresì ricordare che il principio del primato impone al giudice nazionale che è incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto dell’Unione, l’obbligo, ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, di garantire la piena efficacia delle prescrizioni di tale diritto nell’ambito della controversia di cui è investito, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, contraria a una disposizione del diritto dell’Unione che abbia effetto diretto, senza dover chiedere o
attendere la previa rimozione di tale normativa o prassi nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in tal senso, sentenze del 24 giugno 2019, COGNOME, C -573/17, EU:C:2019:530, punti 58 e 61, nonché del 21 dicembre 2021, RAGIONE_SOCIALE e a., C-357/19, C-379/19, C-547/19, C-811/19 e C-840/19, EU:C:2021:1034, punto 252) » (Corte giust. 8 marzo 2022 NE, C -205/20, punti 29, 30, 31);
in applicazione di tali principi, questa Corte ha già fatto ricorso alla disapplicazione del regime sanzionatorio per contrasto con il principio di proporzionalità, affermando, ad esempio, in materia d ‘ IVA, che la sanzione prevista dall’art. 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, applicabile all’importatore che si sia avvalso del sistema di sospensione del versamento dell’imposta all’importazione senza immettere materialmente la merce nel deposito fiscale, deve essere disapplicata per contrarietà al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, ove ecceda, in ragione della percentuale fissata per la maggiorazione e dell’impossibilità di graduarne la misura alle circostanze concrete, il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione ed evitare l’evasione, atteso che, tenuto conto della natura formale della violazione, potrebbero costituire un’adeguata sanzione anche i soli interessi moratori (Cass. 8 settembre 2015, n. 17814);
sempre in tema di IVA, è stato anche statuito che le modalità di determinazione delle sanzioni previste dagli artt. 5, comma 4, e 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, che le ragguagliano ad una forbice dal cento al duecento per cento della differenza rispetto all’imposta dovuta e dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio, eccedono il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione attesa l’entità minima della
percentuale fissata per la maggiorazione e l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni singolo caso, per cui vanno disapplicate in quanto contrarie al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di giustizia (Cass. n. 14767 del 2015);
-con specifico riferimento alla materia doganale, poi, è stato precisato che la sanzione prevista dall’art. 303 del d.P.R. n. 43 del 1973 è eccessiva ed irrispettosa dei principi dell’Unione europea in tema di proporzionalità delle sanzioni e non consente di potere contenere la sanzione adeguandola alla specificità del caso di specie; in particolare, si è dubitato della razionalità dell’art. 303 comma 3 del d.P.R. n. 43 del 1973 con riferimento alla soglia minima sanzionatoria rigidamente prevista per lo scaglione applicabile, così come sostituito dall’art. 11 del d.l. n. 16 del 2012 (Cass., 11 maggio 2022, n. 14908);
più di recente, è stato affermato, sempre in materia di sanzioni doganali, il seguente principio di diritto: « La disposizione dell’art. 303, comma 3, lett. e), del d.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), come sostituito dall’art. 11 del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, nel determinare la sanzione per il diritto di confine non dichiarato in un importo minimo fisso di 30.000 euro senza la possibilità di adeguamento della sanzione stessa alle circostanze specifiche del singolo caso, eccede il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e per evitare l’evasione di un dazio doganale non versato in misura superiore a 4.000 euro, ma inferiore a 5.000 euro, e, pertanto, va disapplicata in quanto contraria al diritto dell’Unione europea, nell’interpretazione data dalla Corte di giustizia » (Cass., 13 luglio 2023, n. 20058);
– anche la Corte Costituzionale (sentenza del 17 marzo 2023, n. 46) ha recentemente affermato (dopo avere dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, primo
periodo e dell’art. 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471/1997, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione) che l’ Amministrazione fiscale e/o il giudice sono tenuti a riportare le sanzioni tributarie al principio di ragionevolezza e proporzionalità. Il vulnus a tali principi, infatti, può essere evitato, senza necessità di incidere sulla dosimetria in astratto definita dal legislatore nella norma censurata, considerando, nella determinazione delle sanzioni, le potenzialità offerte dal citato art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 che, interpretato in correlazione con l’art. 3 Cost., può riportare la norma censurata in termini conformi al volto costituzionale del sistema sanzionatorio, consentendo al giudice a quo di ridurla a una misura proporzionata e ragionevole. Occorre quindi che, come del resto da tempo auspicato dalla dottrina, il comma 4 non venga letto atomisticamente, ma in rapporto con il comma 1 del medesimo art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997: in questi termini, infatti, il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le «circostanze» -non più necessariamente ‘eccezionali’ che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione, quanto indicato nel comma 1 di tale articolo, e in particolare la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze ;
-valorizzato in questi termini, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, che fornisce maggiore chiarezza ai criteri di determinazione delle sanzioni in esso stabiliti, l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 si pone come una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire eccessive quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non
rivelano. Si tratta di una riduzione che può essere effettuata già da ll’ Agenzia delle entrate, poiché questa spesso dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili al riguardo. In ogni caso ad essa potrà ricorrere il giudice nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo;
nella giurisprudenza della Corte costituzionale, del resto, è stato più volte precisato, da un lato, che « il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito » è « applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative » ( ex plurimis , sentenza n. 112 del 2019) e, dall’altro, che anche per le sanzioni amministrative si prospetta « l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato », in particolare dando rilievo « al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma » (sentenza n. 185 del 2021). Ciò in quanto « il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito » (sentenza n.161 del 2018);
-orbene, le sanzioni previste dall’art. 303 del TULD, come modificato dall’art. 11, comma 4, del d.l. n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 44 del 2012, sono determinate in misura fissa con previsione di un minimo e di un massimo edittali, parametrati, nei casi previsti d al comma 3, all’entità dei diritti di confine dovuti;
se, in linea di principio, la previsione di minimi edittali per le sanzioni amministrative riflette un giudizio di intrinseca gravità della condotta, effettuato a monte dal legislatore e non è, di per sé, in contrasto con il
principio comunitario di proporzionalità, che può essere rispettato mediante la personalizzazione del trattamento sanzionatorio entro la forbice prevista dalla norma (Cass. n. 16276 del 2022), la disposizione di cui all’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997 (applicabile, quindi, anche in relazione alle sanzioni previste in misura fissa) contribuisce a realizzare una ulteriore personalizzazione della sanzione, nei casi in cui si rende necessaria, in relazione alla condotta in concreto accertata, al fine di adeguare il trattamento sanzionatorio al criterio di proporzionalità;
nel caso in esame è stata ravvisata una violazione del principio di proporzionalità, che deve essere rilevata, tuttavia, non tanto in relazione all’art. 5 TUE, quanto sulla base dei principi consolidati della giurisprudenza unionale, posto che il dictum della Corte di Giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio, con la conseguenza che la sentenza della Corte di Giustizia è fonte di diritto oggettivo (Cass. n. 6687 del 2023; n. 9217 del 2012; n. 4466 del 2005);
nondimeno, la CTR non ha applicato correttamente i richiamati principi, non avendo spiegato, in concreto, sulla base di quali circostanze specifiche abbia ritenuto proporzionata, in relazione a tutte e tre le violazioni accertate, un’unica sanzione determinata nel la metà del minimo edittale previsto dall’art. 303, comma 1, del TULD;
in conclusione, in accoglimento del ricorso, nei termini sopra indicati, la sentenza va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024