Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1781 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1781 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3799/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale allegata alla memoria di costituzione in giudizio di nuovo difensore (PEC: EMAIL; EMAIL;
EMAIL);
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – e nei confronti di
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE)
– intimati –
Oggetto:
Dazi – Sanzioni
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2416/09/2022, depositata l’8.06.2022 .
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 25.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale, riportandosi alle sue conclusioni scritte, ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio e, in subordine, l’accoglimento del motivo di ricorso riguardante la violazione del principio di proporzionalità;
Sentiti, per la ricorrente , l’avvocato NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Como accoglieva il ricorso proposto dall ‘importatore RAGIONE_SOCIALE e dagli spedizionieri doganali RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) avverso distinti avvisi di rettifica dell’accertamento per maggiori dazi e dei correlati provvedimenti di irrogazione della sanzione, emessi dall’Ufficio doganale di Como , a seguito della revisione dell’accertamento riguardante importazioni effettuate dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte ai licenzianti, titolari dei marchi, riguardante la merce importata.
Con la sentenza n. 5138/07/2017, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia rigettava l’appello proposto dall ‘ADM.
Proposto ricorso per cassazione dall’ADM, questa Corte, con ordinanza n. 34231 del 20.12.2019, lo accoglieva e cassava con rinvio la sentenza impugnata.
A seguito del ricorso in riassunzione, proposto dalla RAGIONE_SOCIALE la CTR della Lombardia, quale giudice di rinvio, con la sentenza
indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva il ricorso introduttivo limitatamente alle sanzioni, confermando, per il resto, la corretta inclusione delle royalties nel valore della merce da dichiarare in dogana.
Dalla sentenza impugnata si evince, per quello che qui ancora interessa, che:
nelle fatture allegate alle dichiarazioni presentata in dogana vi era (nella maggior parte dei casi) la chiara indicazione dei marchi apposti sui prodotti importati, per cui era evidente che la lamentata ignoranza -già di per sé irrilevante in ordine alla debenza del tributo -era certamente inescusabile per quanto riguardava l’ascrivibilità della responsabilità sanzionatoria al rappresentante doganale, con conseguente impossibilità per lo stesso di invocare l’esimente all’art. 10 del d.lgs. n. 472 del 1997 (la figura del c.d. autore mediato);
in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione della responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza di colpa, non es sendo sufficiente uno stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorrendo che l’ignoranza sia incolpevole, ovvero non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza;
-nella specie non ricorreva l’ipotesi di una condotta incolpevole, poiché, nella vigenza del codice doganale dell’unione del 2013, che ha esplicato in modo chiaro come le royalties debbano essere incluse nella base imponibile dei dazi, non era ammissibile una incolpevole ignoranza basata su precedenti comportamenti di fatto non sanzionati o raffronti con interpretazioni di Dogane di altri Stati membri posto che ai sensi dell’art. 42 del CDU ogni Stato membro è lasciato libero di adottare nel concreto le sanzioni amministrative opportune che debbono essere effettive, proporzionate e dissuasive;
gli atti di irrogazione delle sanzioni risultavano invece illegittimi, poiché le sanzioni irrogate riguardavano contestazioni analoghe, inerenti operazioni del medesimo soggetto, avvenute tutte nel periodo 2013-2014, l ‘ufficio doganale avrebbe dovuto applicare il cumulo giuridico delle sanzioni, in luogo del cumulo materiale, considerando anche le sanzioni irrogate per le importazioni relative al primo semestre dell’anno 2012;
-risulta evidente, inoltre, che l’entità della sanzione era eccessiva rispetto al disvalore dell’illecito accertato, con conseguente violazione del principio di proporzionalità;
la sanzione andava, quindi, rideterminata nella misura minima e più favorevole al contribuente, tale da garantire la gradazione in base al principio di proporzionalità, ‘tenuto conto della continuità, e del maggiore diritto di confine accertato ‘.
Contro la suddetta decisione la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
L ‘ADM resisteva con controricorso, mentre le altre parti rimanevano intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 36, d.lgs. 546 del 1992, per difetto di motivazione o motivazione apparente in ordine alla ricorrenza dei presupposti di daziabilità delle royalties , essendosi la CTR limitata ad aderire acriticamente alla tesi dell’Ufficio.
Con il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o errata applicazione degli artt. 29 e 31, reg. CEE n. 2913/1992 e degli artt. 143, 157, 159, 160 e 162, Reg CEE n. 2454/1993 , per avere la CTR errato nell’includere
nel valore doganale delle merci i diritti di licenza, senza effettuare una puntuale verifica delle clausole contrattuali.
Con il terzo motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1362 -comune intenzioni delle parti -1363 -interpretazione complessiva delle clausole -1371 -criterio della minor gravosità -1372 cod. civ. -per avere la CTR fornito un’erronea interpretazione del legame che dovrebbe collegare le posizioni dei soggetti coinvolti ed in particolare porre in relazione i vincoli imposti ai produttori non comunitari affinché si perfezioni la vendita d a quest’ultimi alla società e, infine, con il pagamento dei diritti di licenza.
Con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per l’o messo esame di fatti decisivi per la risoluzione della controversia, avendo la CTR svolto una errata lettura delle prove dedotte in atti, prescindendo dal testo negoziale.
Con il quinto motivo, denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, per avere la CTR errato nel ritenere lo spedizioniere responsabile per le sanzioni, non applicandogli l’esimente dell’autore mediato, essendo stato indotto in errore da altri, e non considerando che spettava all’ADM provare la violazione da parte del predetto del dovere di diligenza; in via subordinata, sempre con il quinto motivo, deduce la violazione del principio di proporzionalità e dell’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997 , in quanto la CTR, pur riconoscendo la violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni (avendo l’Ufficio applicato sanzioni pari a circa il 100% dei maggiori diritti accertati), non ha rideterminato la sanzione irrogata nei confronti della ricorrente, anche in considerazione
dell’elemento soggettivo del soggetto agente , e non ha applicato la continuazione.
Con il sesto motivo (indicato nel ricorso come settimo motivo), deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese di lite, nonostante il parziale accoglimento del ricorso in riassunzione e la sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che, nella specie, vanno ravvisate nella buona fede della ricorrente.
Preliminarmente occorre dare atto che il deposito del ricorso per cassazione risulta tempestivo.
7.1 La ricorrente ha depositato istanza del 16.02.2023, con la quale ha chiesto di essere rimessa in termini in relazione al mancato tempestivo deposito del ricorso per cassazione, conseguente ad un asserito problema al sistema telematico della Corte di Cassazione, che avrebbe impedito il perfezionamento della procedura.
7.2 A tal fine segnala di avere notificato il ricorso per cassazione in data 5 gennaio 2023 e di averlo tempestivamente depositato, in via telematica, in data 25 gennaio 2023; dopo aver ricevuto 6 PEC di accettazione e consegna (che risultano allegate al presente ricorso), comprovanti l’effettivo invio del deposito, ha ricevuto una segnalazione di ‘errore’, nella quale si dava atto di ‘errore imprevisto nel deposito, sono necessarie verifiche da parte dell’ufficio ricevente ‘;
7.3 Orbene, il ricorso per cassazione risulta depositato sul PCT in data 25.01.2023 e accertato in data 21.02.2023.
7.4 Questa Corte ha più volte condivisibilmente affermato che ‘il deposito telematico degli atti processuali si perfeziona quando viene emessa la seconda PEC, ovvero la ricevuta di avvenuta consegna, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia’ (Cass. n. 17328 del 27/06/2019; n. 11726 del 03/05/2019;
1366 del 19/01/2018), sicchè deve ritenersi che il ricorso per cassazione sia stato tempestivamente depositato, atteso che la ricevuta di consegna risulta emessa l’ultimo giorno utile, anche se non sia stato comunicato poi l’esito positivo del controllo automatico.
7.5 La “Ricevuta di consegna”, infatti, attesta che l’invio è intervenuto con consegna nella casella di posta dell’ufficio destinatario e rileva ai fini della tempestività del deposito che si considera perfezionato in tale momento, il tutto con effetto anticipato e provvisorio rispetto all’ultima PEC, cioè subordinatamente al buon fine dell’intero procedimento di deposito, che è quindi fattispecie a formazione progressiva, per cui la funzione della terza e della quarta ricevuta trasmesse via PEC – riguardanti, rispettivamente, l’esito dei controlli automatici e di quelli manuali effettuati dalla cancelleria dell’ufficio giudiziario – è eterogenea rispetto alla funzione delle prime due, poiché da tali controlli non dipende la perfezione dell’effetto giuridico di deposito dell’atto, ma solo il caricamento di esso nel fascicolo telematico e la sua visibilità in favore delle altre parti del processo. Ne deriva che l’eventuale esito negativo dei successivi controlli telematici e manuali non fa venir meno tale effetto, ma determina, al più, la necessità di rinnovare la trasmissione delle buste telematiche contenenti l’atto stesso o i suoi allegati (Cass. n. 19796 del 12/07/2021).
Sempre in via preliminare va rilevato che con la memoria di costituzione in giudizio di nuovo difensore del 27.09.2023, la ricorrente ha rinunciato alla domanda nella parte riguardante i tributi, gli interessi e gli accessori, riservandosi di presentare, entro il termine previsto, l’istanza di definizione agevolata con riferimento all’atto di irrogazione delle sanzioni collegate ai tributi, ai sensi dell’art. 191, secondo periodo, della l. n. 197 del 2022, poi non prodotta in giudizio.
8.1 Poiché la domanda di definizione agevolata, con riferimento alle sanzioni, non è stata più depositata in giudizio, occorre procedere all’esame dei motivi di ricorso non oggetto di rinuncia.
I primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili per sopravvenuto difetto di interesse, avendovi la ricorrente rinunciato.
9.1 Il quinto e il sesto motivo (indicato nel ricorso come settimo motivo) vanno invece esaminati.
Il quinto motivo è infondato nella parte in cui censura la violazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, atteso che, per quanto riguarda l’asserita buona fede della contribuente, occorre rammentare che, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 ritiene sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza ( ex multis , Cass. n. 2139 del 30/01/2020).
10.1 La CTR ha correttamente applicato la predetta disposizione, affermando che non era sufficiente, al fine di escludere l’elemento soggettivo dell’illecito, il richiamo a ‘precedenti comportamenti di fatto non sanzionati o raffronti con interpretazioni di Dogane di altri Stati membri posto che, a mente dell’art. 42 del CDU, ribadita l’applicazione di sanzioni in caso di violazione della normativa doganale, ogni Stato membro è lasciato libero di adottare nel concreto le sanzioni amministrative opportune che debbono essere effettive, proporzionate e dissuasive ‘.
10.2 Il quinto motivo è infondato anche laddove invoca l’applicazione della continuazione, posto che, in materia di sanzioni doganali, è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997 (Cass. 21.09.2020, n. 19633).
Per il resto, il motivo è fondato.
La CTR, infatti, dopo avere statuito che le sanzioni applicate erano sproporzionate rispetto all’illecito accertato e che si sarebbe dovuto applicare il cumulo giuridico, non ha poi rideterminato in concreto le sanzioni irrogate.
12.1 Occorre rammentare, invero, che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato ma alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria; ne consegue che il giudice, ove ricorrono i necessari presupposti processuali della sua rituale investitura, ha il potere-dovere di esaminare anche tutti i possibili aspetti del potere sanzionatorio esercitato dall’ente impositore, nonché il potere di determinare (nell’ambito delle richieste delle parti) l’entità delle sanzioni effettivamente dovute. Quando il giudice è investito della valutazione di un atto impositivo che non ha correttamente determinato la sanzione, non deve limitarsi a dichiarare la nullità dell’atto medesimo, ma deve provvedere a rideterminare l’entità delle sanzioni effettivamente dovute nell’ambito delle richieste delle parti (Cass. 17/10/2008, n. 25376).
Il sesto motivo di ricorso (indicato nel ricorso come settimo motivo) rimane assorbito a seguito del parziale accoglimento del quinto motivo.
In conclusione, vanno dichiarati inammissibili i primi quattro motivi di ricorso, va accolto parzialmente il quinto motivo di ricorso, nei termini di
cui in motivazione, e rigettato per il resto; va, inoltre, dichiarato assorbito il sesto motivo (indicato nel ricorso come settimo motivo); la sentenza va cassata in relazione alla parte del motivo accolto. con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il parzialmente quinto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, rigettandolo per il resto e dichiarando assorbito il sesto motivo di ricorso (indicato nel ricorso come settimo motivo); cassa la sentenza impugnata, in relazione alla parte del motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 settembre 2024