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Sanzioni dichiarazione infedele: quando non si applicano

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26107/2025, ha annullato le sanzioni per dichiarazione infedele a una società che aveva commesso un errore contabile. L’errore, puramente patrimoniale e neutralizzato da una posta compensativa, non aveva inciso sul reddito imponibile né generato un risparmio d’imposta. La Corte ha stabilito che, in assenza di un’effettiva infedeltà nella determinazione del reddito, le relative sanzioni non possono essere applicate, in ossequio al principio di legalità.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Sanzioni dichiarazione infedele: solo se l’errore incide sul reddito

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 26107 del 25 settembre 2025 offre un chiarimento fondamentale in materia di sanzioni dichiarazione infedele. La Suprema Corte ha stabilito un principio di grande rilevanza pratica: un errore contabile, anche se consapevole, non può essere sanzionato come ‘dichiarazione infedele’ se non produce alcun effetto sul reddito imponibile dichiarato. Questo pronunciamento rafforza il principio di legalità e delinea con precisione i confini applicativi delle sanzioni tributarie.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società per l’anno d’imposta 2011. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’iscrizione in bilancio di un debito di un milione di euro, ritenendolo inesistente. Di conseguenza, l’Amministrazione Finanziaria aveva riqualificato tale importo come sopravvenienza attiva, recuperandolo a tassazione.

La Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, aveva parzialmente accolto le ragioni del contribuente. I giudici di secondo grado avevano accertato che l’errata iscrizione del debito era stata controbilanciata da un’altrettanto incongrua iscrizione nelle rimanenze, per lo stesso importo. Questa ‘duplice contabilizzazione’, pur essendo irregolare, non aveva generato alcun risparmio o evasione d’imposta, né aveva avuto alcun impatto sul conto economico e, di riflesso, sul Modello Unico. Pertanto, la pretesa fiscale era stata annullata. Tuttavia, la stessa Commissione aveva confermato le sanzioni, ravvisando nel comportamento della società un’irregolarità consapevole.

La Decisione della Cassazione sulle Sanzioni dichiarazione infedele

La società ha impugnato la sentenza di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, contestando unicamente la legittimità delle sanzioni irrogate. Il motivo di ricorso si fondava sulla violazione del principio di legalità: se nessun’imposta era dovuta, come poteva configurarsi un’infedeltà dichiarativa?

La Suprema Corte ha accolto pienamente questa tesi. I giudici hanno chiarito che la sanzione per dichiarazione infedele, secondo la normativa applicabile (art. 1, comma 2, d.lgs. 471/1997), scatta solo in presenza di una discrepanza tra il reddito dichiarato e quello accertato che si traduca in una minore imposta dovuta. Nel caso di specie, l’errore era confinato allo stato patrimoniale e non aveva prodotto alcuna alterazione del risultato economico. La dichiarazione dei redditi, quindi, non poteva essere considerata ‘obiettivamente infedele’.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’errore contabile, sebbene esistente, era stato ‘equilibrato’ da una posta compensativa impropria. Questa anomalia non ha avuto incidenza né sul conto economico né sulla dichiarazione dei redditi. Di conseguenza, non si può parlare di infedeltà oggettiva. I giudici hanno specificato che sanzionare un comportamento irregolare che non trova consacrazione in una norma repressiva specifica viola il principio di legalità. Non è sufficiente un comportamento ‘irregolare e consapevole’ per giustificare l’applicazione di sanzioni previste per una fattispecie diversa e più grave, quale è la dichiarazione di un reddito inferiore al reale.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela del contribuente. Essa ribadisce che le sanzioni dichiarazione infedele non possono essere applicate in modo automatico a fronte di qualsiasi irregolarità contabile. È necessario che l’errore abbia un impatto concreto e diretto sulla determinazione del reddito imponibile e, quindi, sul debito d’imposta. Un errore puramente formale o patrimoniale, che non si traduce in un vantaggio fiscale, non può configurare l’illecito di infedele dichiarazione. Questa pronuncia impone all’Amministrazione Finanziaria un’analisi più sostanziale e meno formale prima di irrogare sanzioni, nel pieno rispetto del principio di legalità.

Un errore contabile che non modifica il reddito imponibile può giustificare le sanzioni per dichiarazione infedele?
No. Secondo la Corte di Cassazione, le sanzioni per dichiarazione infedele si applicano solo se l’errore comporta la dichiarazione di un reddito inferiore a quello dovuto. Se l’irregolarità contabile è confinata allo stato patrimoniale e non ha impatti sul conto economico, la sanzione non è legittima.

Perché nel caso specifico le sanzioni sono state annullate?
Le sanzioni sono state annullate perché l’iscrizione di un debito inesistente per un milione di euro era stata neutralizzata da un’altra scrittura contabile errata di pari importo nelle rimanenze. Questa operazione non ha prodotto alcun risparmio d’imposta né alterato il reddito dichiarato, rendendo la dichiarazione non ‘infedele’ ai fini della norma sanzionatoria.

Cosa implica il principio di legalità in materia di sanzioni tributarie secondo questa ordinanza?
Il principio di legalità implica che una sanzione può essere applicata solo se il comportamento del contribuente corrisponde esattamente alla fattispecie illecita descritta dalla norma. Non si può sanzionare un’irregolarità contabile generica con una sanzione prevista specificamente per l’infedeltà nella dichiarazione del reddito, se tale infedeltà non si è concretamente verificata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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