Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16458 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16458 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
NOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere- Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Oggetto:
Sanzioni
tributarie-
persona
giuridica-
amministratore
di fatto
PU
02/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 26407/2020 e 27255/2020 R.G. proposti da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata dall’ Avvocatura Generale dello Stato.
-ricorrente principale nel ricorso n. 26407/202O R.G. e controricorrente nel ricorso successivo n. 27255/2020 R.G. – contro
COGNOME NOMECOGNOME con l’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti
-co ntroricorrente nel ricorso n. 26407/202O R.G. e ricorrente nel ricorso successivo n. 27255/2020 R.G. –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della EmiliaRomagna n. 194/2020, depositata il 20 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 2 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto che la Corte riunisca le impugnazioni iscritte dall’Agenzia delle entrate e da COGNOME NOME rispettivamente al r.g.n. 26407/2020 e al r.g.n. 27255/2020; dichiari inammissibile e, comunque, rigetti il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
Udito l’avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che si è dichiarato antistatario per entrambi i giudizi riuniti.
Udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti per sintesi la società ), con sede in Vaduz (Lichtenstein), un avviso d’accertamento, relativo all’ Iva, all’ Ires ed all’Irap di cui all’anno d’imposta 2011, sul presupposto che, pur avendo formalmente sede in Liechtenstein, tale compagine fosse esterovestita ed avesse sede effettiva in Italia, ovvero in Ferrara, presso l’avvocato NOME COGNOME (d’ora in avanti per sintesi ARAGIONE_SOCIALE ). Tanto premesso, l’Ufficio ha quindi accertato che la società, nell’anno d’imposta in questione, per effetto della cessione di terreni, aveva realizzato ricavi che non aveva assoggettato né ad Iva, né ad Ires, né ad Irap, non avendo istituito la contabilità obbligatoria; né presentato le dichiarazioni fiscali ai fini Ires, Irap ed Iva; né, infine, versato all’erario italiano i correlati tributi.
L’atto impositivo, relativo alla pretesa erariale nei confronti della predetta società, contemplava lo stesso A.B. nella qualità di ‘rappresentante fiscale per soggetto non residente di RAGIONE_SOCIALE‘ ed a quest’ultimo veniva notificato.
Contestualmente, l’Ufficio ha notificato ad A.B., quale ‘effettivo beneficiario delle violazioni di legge commesse in qualità di amministratore di fatto nonché di autentico dominus dell’ente esterovestito RAGIONE_SOCIALE, l’atto di contestazione n. THDCO1400520/2015, ritenendo lo stesso A.B. responsabile, ex art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, delle sanzioni irrogate
alla società con il predetto avviso di accertamento, non avendo la RAGIONE_SOCIALE adempiuto né all’obbligo di istituire la contabilità prevista dall’art. 22 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 39 del d.P.R. n. 633 del 1972, né all’obbligo di presentare le dichiarazioni fiscali ai fini Ires, Irap e Iva.
A.B. ha presentato le deduzioni difensive previste dall’articolo 6, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997, ma l’Ufficio ha confermato le sanzioni contestate in relazione alle fattispecie di omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali Ires, Iva e Irap, di mancata emissione di fatture relative ad operazioni imponibili e di mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili, emettendo l’atto di irrogazione delle sanzioni n. THDIRI400002/2016.
Il medesimo A.B. ha impugnato tale ultimo atto e l’adita Commissione tributaria provinciale di Ferrara ha accolto il ricorso.
Proposto appello dall’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna, con la sentenza di cui all’epigrafe, lo ha accolto parzialmente.
Ha ritenuto il giudice d’appello che NOMECOGNOME «nella sua qualità di amministratore, non possa essere sanzionato per le evasioni di imposta commesse nell’interesse della società – ostandovi espressamente – il disposto dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (convertito con la I. n. 326 del 2003), rubricato ‘Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”, ai sensi del quale “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica’».
Inoltre, la CTR ha escluso l’applicabilità al caso di specie del principio « secondo cui l’amministratore di fatto di una società costituita al solo scopo fraudolento di evasione delle imposte (con esclusivo e personale vantaggio del medesimo) risponde in proprio delle violazioni commesse come autore ed ideatore, non trovando in tale evenienza applicazione l’art. 7 del d.1. n. 269 del 2003», poiché «le violazioni sono state compiute da COGNOME per conto della persona giuridica e non per un proprio interesse»; né lo stesso RAGIONE_SOCIALE, pur essendo amministratore di fatto della società, poteva ritenersi «socio (neppure occulto) di RAGIONE_SOCIALE».
La CTR ha però ritenuto di non applicare il principio di esclusiva riferibilità della sanzione alla persona giuridica con riguardo alla violazione di cui all’art. 9 d.lgs. n. 471 del 1997, per la mancata o irregolare tenuta e conservazione delle scritture contabili, «trattandosi omissioni formali direttamente riferibili alla persona dell’amministratore, il quale, pur essendovi tenuto, non ha conservato le scritture contabili e non le ha esibite agli accertatori nel corso dell’accesso».
Pertanto, la CTR ha confermato l’atto di irrogazione, limitatamente alla sanzione relativa a tale violazione.
4. Contro tale ultima decisione propone ora ricorso (avente n.r.g. 26407/2020), affidato ad un motivo, l’Agenzia delle entrate.
RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
A sua volta, con successivo ricorso (avente n.r.g. 27255/2020), A.B. impugna la stessa sentenza, affidandosi a tre motivi.
L’Agenzia delle entrate si difende con controricorso.
Il P .M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME con conclusioni scritte in ciascuno dei ricorsi riuniti, ha chiesto che la Corte riunisca le impugnazioni iscritte dall’Agenzia e da ARAGIONE_SOCIALE.; dichiari inammissibile e, comunque, rigetti il ricorso dell’Agenzia delle Entrate; accolga il ricorso (incidentale) di COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso avente n.r.g. 26407/2020 deve considerarsi principale, essendo stato presentato per primo.
1.1. Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia è così formulato: ‘Motivo 1: proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., come «Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.lgs. 472/97 e 7 del D.L. 269/2003, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.».
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ritenuta provata l’esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE e la gestione della società da parte di RAGIONE_SOCIALE ha poi escluso che quest’ultimo, nella sua veste di amministratore di fatto, potesse essere sanzionato per le evasioni di imposta commesse nell’interesse della società, ostandovi l’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003 ed essendo inapplicabile la disposizione dell’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 invocata dall’Amministrazione Finanziaria.
Assume l’Agenzia che tale statuizione sarebbe in contrasto con il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’amministratore di fatto risponde in proprio delle violazioni tributarie commesse dalla società che costituisca una mera fictio artificiosa, finalizzata al raggiungimento di benefici personali anche in capo all’amministratore di fatto della stessa.
1.2. Il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia recita: ‘Motivo 2: proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., come « «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».’.
Si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare ‘numerosi gli elementi di prova forniti dall’ufficio e sopra specificati ‘, che dimostrerebbero il ruolo di RAGIONE_SOCIALE nella società e i benefici direttamente ottenuti, negando inoltre la ricorrente che si verta in una ipotesi di doppia conforme.
I due motivi, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente, pur evidenziando le peculiarità di ciascuno.
Occorre muovere dalla premessa che il ricorso erariale ( passim , in particolare pagg. 3,4, 9), in continuità con le difese della stessa Amministrazione nei giudizi di merito (come illustrate nello stesso ricorso) attribuisce ad RAGIONE_SOCIALE il ruolo sostanziale d’amministratore di fatto della società, la quale ultima è il soggetto passivo dell’imposizione. Nello stesso senso, del resto, si esprimeva l’atto di irrogazione impugnato ( passim , in particolare pagg. 3 e 4).
La sentenza d’appello impugnata, a sua volta, con accertamento fattuale che la ricorrente Amministrazione non censura specificamente, è pervenuta espressamente alla conclusione che RAGIONE_SOCIALE «è l’amministratore di fatto della società».
Tanto premesso in fatto, la CTR ha quindi applicato l’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito senza modifiche dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale statuisce che « Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale
proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica».
Infatti, le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito con modifiche nella legge n. 326 del 2003) sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto ( ex plurimis Cass. n. 5924 dello 08/03/2017, che richiama Cass. n. 19716 del 28/08/2013; Cass. n. 25284 del 25/10/2017; Cass. n. 28331 dello 07/11/2018; Cass. n. 10975 del 18/04/2019; Cass. n. 29038 del 20/10/2021; Cass. n. 1946 del 23/01/2023; Cass. n. 20697 del 25/07/2024). In sintesi, quindi (e con le precisazioni di cui infra si dirà), la qualità di amministratore, sia pur di fatto, di società effettivamente esistente e vitale, va ricondotta nell’alveo della fattispecie regolata dall’art. 7 del d.l. 269 del 2003 (così espressamente Cass. n. 23126 del 26/08/2024).
In punto di diritto, tale condivisibile conclusione della sentenza impugnata non è stata invero neppure puntualmente censurata dal ricorso erariale, che non critica la riconducibilità, in generale, della figura dell’amministratore di fatto all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003.
3. Piuttosto, la ricorrente Amministrazione assume che, nel caso di specie, la società avrebbe avuto ‘natura di mera fictio ‘ costituendo uno schermo societario dal quale avrebbero ritratto vantaggio esclusivamente le persone fisiche dei soci e dell’amministratore di fatto, quindi lo stesso A.B. Tali circostanze, assume la ricorrente, anche secondo l’invocato orientamento di legittimità, escluderebbero l’applicabilità dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003.
Effettivamente, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire, il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv., con modif., in l. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non opera nell’ipotesi di società artificiosamente costituita, poiché in tal caso la persona giuridica è una mera fictio creata nell’interesse della persona fisica, utilizzata
quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la ratio che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito beneficiaria delle violazioni, sicché non vi è alcuna differenza fra trasgressore e contribuente (cfr., ex plurimis Cass. n. 10975 del 18/04/2019; Cass. 08/03/2017, n. 5924,in motivazione; Cass. 28/08/2013, n.19716, in motivazione; Cass. n. 29038 del 20/10/2021, con specifico riferimento alla società “RAGIONE_SOCIALE“).
Si è quindi precisato che in tema di sanzioni amministrative tributarie, perché difetti la ratio dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, che sanziona la sola società dotata di personalità giuridica, e sia ripristinata la regola secondo cui la sanzione pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito, è necessario acquisire riscontri probatori, anche presuntivi, valevoli ad escludere la vitalità della società medesima, quand’anche gestita da un amministratore di fatto (Cass. n. 1946 del 23/01/2023).
Si è peraltro aggiunto che la questione in esame non può essere traguardata esclusivamente attraverso il profilo sanzionatorio in senso stretto, il quale, anzi, costituisce un aspetto ulteriore, un posterius , rispetto alla pretesa sostanziale e al debito tributario (Cass. n. 23231 del 25/07/2022; Cass. n. 33434 dell’11/11/2022). Infatti, anche ove sia ferma l’effettività della società di capitali – al di là del proposito dei soci e ideatori di realizzare con essa un mero schermo rispetto ad eventuali attività illecite – il Fisco può imputare ad un diverso soggetto i redditi maturati dall’ente e le relative imposte, attraverso il meccanismo dell’interposizione, previsto dall’art. 37, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973, che , nel nostro ordinamento, mira a riallineare l’attività svolta da un altro soggetto con l’ effettivo percettore dei redditi. Pertanto, si è concluso che in tema di sanzioni tributarie, nell’interposizione del gestore “uti dominus” alla società di capitali interposta, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest’ultima, ma quello che fa capo
direttamente all’interponente, in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività, incombendo sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente (Cass. n. 23231 del 25/07/2022, cit.; Cass. n. 33434 dell’11/11/2022, cit.), tale, quindi, da dimostrare: a) la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte del reddito del soggetto imprenditoriale interposto; b) che il primo sia l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società (Cass. n. 33457 del 30/11/2023).
L’orientamento giurisprudenziale in questione è stato peraltro significativamente recepito dal legislatore con la novella operata dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 87 del 14 giugno 2024 che, riformando la materia delle sanzioni, ha così statuito sul punto: « Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni:
all’articolo 2, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. La sanzione pecuniaria relativa al rapporto tributario proprio di società o enti, con o senza personalità giuridica di cui agli articoli 5 e 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è esclusivamente a carico della società o ente. Resta ferma, nella fase di riscossione, la disciplina sulla responsabilità solidale e sussidiaria prevista dal codice civile per i soggetti privi di personalità giuridica. Se è accertato che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica di cui al primo periodo sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto.».
Si legge, sul punto, nella relativa relazione illustrativa: «Le modifiche apportate recepiscono sia il contenuto dell’art. 7 del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale prevede che ‘le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della
persona giuridica’, sia principi fissati dalla giurisprudenza in tema di società ed enti costituiti ai fini illeciti (cfr . Cassazione n. 33434/2022).
Con l’introduzione dell’art. 7 del decreto-legge n. 296 del 2003, era venuto meno il principio per cui il responsabile della violazione dovesse identificarsi esclusivamente nella persona fisica che, agendo per conto dell’ente, avesse materialmente consumato la condotta illecita, ritenendosi responsabile esclusivamente la persona giuridica. Si era, dunque, venuto a creare un sistema di dubbia razionalità, in cui, da un lato, erano punibili le persone giuridiche e, dall’altro, le persone fisiche che agivano in proprio (contribuenti individuali) o per conto di enti collettivi diversi dalle persone giuridiche (società di persone, enti privi di personalità giuridica ecc.).
Con l’intervento normativo in esame si intende, pertanto, da un lato eliminare l’irrazionalità del sistema, adeguando il sistema sanzionatorio amministrativo tributario alla nuova logica ordinamentale espressa dal decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti collettivi, e dall’altro correlare l’applicazione della sanzione ai principi di effettività e proporzionalità.
In particolare, l’introduzione del comma 2-bis ha a oggetto l’imputazione delle sanzioni amministrative agli enti collettivi. In conformità a quanto già previsto per le persone fisiche, per le quali la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione, si prevede che la sanzione relativa al rapporto tributario proprio di società o enti, con o senza personalità giuridica, sia esclusivamente a carico della società o ente, salva, nella fase di riscossione, la disciplina sulla responsabilità solidale e sussidiaria prevista dal codice civile per i soggetti privi di personalità giuridica.
Nel caso in cui si dimostri che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto.».
A prescindere da ogni considerazione sulla disciplina intertemporale della novella- e in disparte l’estensione ai soggetti privi di personalità giuridica-, ciò che qui più rileva è che l’irrogazione della sanzione nei confronti del soggetto che abbia agito per conto della società o dell’ente presuppone la prova che questi
ultimi siano fittiziamente costituiti o interposti, fattispecie concrete sostanzialmente sovrapponibili a quelle individuate dall’orientamento giurisprudenziale appena illustrato ed espressamente richiamato dal legislatore nei lavori preparatori della riforma.
4. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado ha ritenuto « infondata la tesi dell’esterovestizione della società in questione siccome collegata al COGNOME in veste di amministratore di fatto, di dominus con poteri illimitati, di vero ideatore e beneficiario economico delle operazioni effettuate, con la conseguenza che nessuna dichiarazione reddituale doveva essere presentata in Italia.».
La medesima decisione ha peraltro accertato che «Del tutto mancante, infine, è la prova che il contribuente fosse il beneficiario economico, se non esclusivo almeno principale, dell’interposizione a lui attribuita. In conclusione, pure l’Ufficio ammette che il ricorrente faceva casomai parte di un disegno ben più ampio rispetto al proprio vantaggio personale, anzi i vantaggi economici sostanziali erano di altri (pag. 13 PVC)».
Al fine che qui rileva, ovvero della riconducibilità ad RAGIONE_SOCIALE, quand’anche amministratore di fatto, del sostanziale possesso di un reddito formalmente imputabile ad una società di capitali che fosse fittizia o interposta, deve rilevarsi che l’accertamento fattuale dell’ insussistenza del relativo beneficio economico non è stato censurato specificamente dall’appello erariale, che anzi, come eccepito dal controricorrente, assumeva l’irrilevanza di tale circostanza, così argomentando: « Veniva poi osservato come l’eccezione avente ad oggetto la mancata dimostrazione del vantaggio economico che il COGNOME avrebbe conseguito da tutta l’operazione non potesse essere accolta. La norma infatti che impone all’Ufficio di motivare l’atto di contestazione in tal senso è proprio quell’art. 7, che come detto, non rileva nel caso di specie.».
La mancata impugnazione specifica, con l’appello erariale, di tale accertamento in fatto e, comunque, l’esplicita esclusione, nella stessa impugnazione, della riproposizione e della rilevanza della questione, sulla quale pure si innestava la ratio decidendi della decisione della CTP, esclude pertanto l’attuale ammissibilità
del ricorso dell’Amministrazione, in particolare per quanto riguarda il secondo motivo.
Il quale, comunque, è altresì inammissibile perché, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, vi è, in ordine al dato fattuale della non riconducibilità ad ARAGIONE_SOCIALE del sostanziale possesso di un reddito formalmente imputabile ad una società di capitali che fosse fittizia o interposta, un doppio accertamento conforme nel merito, in primo grado per come già rilevato, ed in appello per come argomentato nella motivazione (a pag. 10) della sentenza qui impugnata, ove si dice che « non trova in tale evenienza applicazione l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (cfr. Cass. civ. n. 19716/2013; n. 11649/2012 e n. 33385/2012). Infatti, le violazioni sono state compiute da COGNOME nell’interesse della persona giuridica e non di sé stesso.». Pertanto, la censura di cui al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. non è ammissibile nelle fattispecie, quale quella sub iudice , nelle quali sia vigente ratione temporis il limite della c.d. ‘doppia conforme’ di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., posto dall’articolo 54, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ai giudizi d’appello introdotti dall’11 settembre 2012, trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della predetta legge di conversione e, a norma dell’art. 54, comma 2, dello stesso decreto, dies a quo per l’applicazione intertemporale del limite all’impugnabilità.
Ulteriore ragione di inammissibilità del secondo motivo deriva poi dalla sua assoluta genericità, con violazione anche dell’art. 366, primo comma, n.1, c.p.c., nel lamentare che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare ‘numerosi gli elementi di prova forniti dall’ufficio e sopra specificati in relazione alla posizione del soggetto ed ai benefici ottenuti.’. Formula aspecifica nell’individuazione, fosse pure per relationem , non solo di singoli, distinti e specifici fatti, intesi in senso storico-naturalistico, oggetto del contraddittorio nel merito; ma anche dell’indicazione relativa alla introduzione (con riferimento al grado ed all’atto relativi) di ciascuno di essi nel merito; nonché dell’illustrazione della loro natura decisiva.
Infine, il mezzo è ulteriormente inammissibile in quanto, a prescindere dalla sua rubrica, il corpo dello stesso evidenzia comunque la sostanziale finalità di attingere il merito per censurare un accertamento fattuale operato dalla sentenza d’appello (oltre che da quella di primo grado).
5. Ferme le rilevate ragioni di inammissibilità delle censure erariali, ciascuna sufficiente alla relativa declaratoria, deve poi rilevarsi che, nel caso di specie, non solo è stato accertato, in fatto, in entrambi i gradi di giudizio, che RAGIONE_SOCIALE non era l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società; ma neppure è stato allegato, in maniera convincente, da parte dell’Amministrazione ricorrente e nel contesto del primo motivo di ricorso per cassazione, che di tale eventuale disallineamento soggettivo sussistessero i presupposti, ovvero che la società fosse fittizia o interposta.
Invero, come ha rilevato il P.G., la ricorrente neppure chiarisce se e come abbia fatto valere tali circostanze nella precorsa fase di merito.
In ogni caso, una immediata e significativa negazione di tali presupposti deriva dalla stessa Amministrazione che, per i medesimi fatti relativi al medesimo periodo d’imposta, ha emesso avviso d’accertamento, relativo alle imposte evase, nei confronti della società e non di RAGIONE_SOCIALE in proprio, individuando quest’ultimo quale rappresentante fiscale della prima e, come tale, destinatario della notifica dell’atto impositivo (come emerge dallo stesso attuale ricorso erariale, oltre che dagli atti del giudizio n.r.g. 24409/2020, tra le stesse parti, oggi trattato e deciso da questo Collegio).
La pretesa impositiva già avanzata esclusivamente nei confronti della società, e non della persona fisica che ora si assume interponente o comunque celata dietro lo schermo societario, appare invero in contrasto logico con la natura interposta dello stesso ente.
Inoltre, le argomentazioni critiche erariali relative alla pretesa natura fittizia dell’ente appaiono confuse, laddove, sovrapponendo piani logicamente e giuridicamente distinti, la identificano nella esterovestizione della società, definendola ‘società fittiziamente esterovestita’.
Ebbene, questa Corte ha già rilevato che, in materia di imposte sui redditi delle società, l’art.73, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 individua i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia e l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall’accertamento di un’eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe» (Cass. 25/07/2022, n. 23150; Cass. 11/04/2022, n. 11709 e n. 11710). Pertanto, l’accertamento della residenza fiscale effettiva di una società nel territorio nazionale non comporta necessariamente anche quello della natura fittizia delle articolazioni che la stessa abbia in un diverso Stato. Ma, in ogni caso, anche l’accertamento della natura fittizia della sede di una società all’estero si traduce nell’accertamento della residenza dello stesso ente in Italia e nel suo assoggettamento all’imposizione nazionale, non anche necessariamente nella qualificazione della medesima società, nel suo complesso, come mero schermo giuridico. La fictio iuris della sede estera della società non equivale, in sintesi, alla fictio relativa all’esistenza stessa della società, quale autonomo soggetto, centro d’interessi, possessore del proprio reddito e, come tale, soggetto passivo dell’imposizione nazionale ( proprio come accaduto nel caso di specie con riferimento all’accertamento societario).
L’insistenza della ricorrente Agenzia in ordine alla ‘fittizia esterovestizione’ appare quindi fuori fuoco rispetto alla pretesa natura fittizia dello stesso ente collettivo in quanto tale, quale assunto presupposto della riconducibilità della sanzione ad A.B. a titolo personale.
6. Concludendo, il ricorso principale erariale va respinto e le spese, come liquidate nel dispositivo complessivamente con riferimento ad entrambi i giudizi riuniti, vanno poste a carico della ricorrente Agenzia.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
7. Venendo ora al ricorso del contribuente, avente n.r.g. 27255/2020 e da considerarsi incidentale, con il primo motivo A.B. deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.,.p.c., la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 in relazione all’art. 9 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471», assumendo che la sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui la Commissione Tributaria Regionale ha affermato la legittimità della sanzione irrogatagli ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n.471 del 1997, « trattandosi di omissioni formali direttamente riferibili alla persona dell’amministratore, il quale non ha conservato le scritture contabili e non le ha esibite agli accertatori nel corso dell’accesso».
Il motivo è fondato. Infatti, va qui richiamato tutto quanto già rilevato trattando il ricorso principale, in particolare a proposito dell’attribuzione ad RAGIONE_SOCIALE (da parte sia della stessa Amministrazione, anche nell’atto di irrogazione impugnato; sia della sentenza d’appello, con accertamento fattuale che la ricorrente principale non censura specificamente) della funzione concreta di amministratore di fatto della società.
Va poi ribadito che, in conformità alla giurisprudenza di legittimità già citata trattando il ricorso principale, le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (convertito con modifiche nella legge n. 326 del 2003) sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto. In sintesi, quindi, la qualità di amministratore, sia pur di fatto, di società effettivamente esistente e vitale, va ricondotta nell’alveo della fattispecie regolata dall’art. 7 del d.l. 269 del 2003.
Infine, va ricordato come, decidendo sul ricorso principale, siano state evidenziate una congerie di ragioni per le quali deve escludersi che, nella fattispecie sub iudice , possa ritenersi attribuibile ad RAGIONE_SOCIALE il sostanziale possesso di un reddito formalmente imputabile alla società sul presupposto ipotetico che quest’ultima fosse fittizia o interposta.
Si tratta, come si è rilevato decidendo sul ricorso principale, di conclusioni alle quali è pervenuta in fatto la stessa sentenza qui impugnata.
Tanto premesso, le medesime conclusioni devono condurre (anche) all’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale.
Invero, come ha argomentato il P.G. nelle sue conclusioni scritte, i l legislatore con l’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 ha inteso riferire le sanzioni tributarie esclusivamente alla persona giuridica contribuente, sollevando dalla sanzione la persona fisica che in virtù del rapporto organico ha impegnato l’ente.
Considerato, pertanto, che la disposizione dell’art. 7 si estende a tutte «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica », e non a specifici illeciti tributari, ed atteso che l’illecito di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 471 del 1997 rientra tra le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle persone giuridiche contribuenti, vista la sua collocazione nell’ambito della ‘Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662’, la sentenza impugnata non è condivisibile nella parte in cui ha ritenuto legittima l’irrogazione della sanzione di cui all’art. 9 citato alla persona fisica dell’amministratore di fatto della società, piuttosto che a quest’ultima in via esclusiva.
Pertanto, una volta che la fattispecie sia inquadrata sub art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, non è dato distinguere all’interno delle singole violazioni fiscali. Le stesse peraltro risultano tutte riconducibili al rapporto fiscale tra la società di capitali e l’amministrazione fiscale, cui allude espressamente il disposto del più volte richiamato art. 7 (salvo che norme specifiche non individuino la concorrente od esclusiva responsabilità di un altro soggetto, ipotesi pacificamente non ricorrente), norma che ha una portata chiaramente omnicomprensiva.
Nella specie la CTR ha voluto distinguere dalle altre violazioni quelle relative alla tenuta della contabilità, ma è oltremodo evidente come anche la regolare tenuta e la conservazione della contabilità rientrino pienamente tra gli obblighi fiscali strutturali della società (e in generale dell’imprenditore: cfr. artt. 2214 e 2220, cod. civ.; 14, d.p.r. n. 600 del 1973; 22, d.p.r. n. 633 del 1972), e dunque nel relativo rapporto fiscale con l’amministrazione finanziaria.
8. Gli ulteriori due motivi del ricorso incidentale, essendo spiegati in via subordinata rispetto al rigetto del precedente, risultano assorbiti dall’accoglimento dello stesso.
Al postutto il primo motivo del ricorso incidentale dev’essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, anche il ricorso introduttivo dev’essere accolto.
Le spese di merito si compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, complessivamente per i due giudizi riuniti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale dell’Agenzia delle entrate ed accoglie il primo motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo sul merito, accoglie il ricorso introduttivo di NOME COGNOME; compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’Agenzia delle entrate a pagare ad NOME COGNOME le spese dei giudizi di legittimità riuniti, che liquida in complessive euro 4.000,00 per spese, oltre alle spese generali nella misura del 15%, agli esborsi per euro 200,00 ed agli oneri accessori, con distrazione a favore del procuratore dello stesso NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.