Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16449 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16449 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata ex lege dall’Avvocatura generale dello stato ;
-resistente – cui è riunito il ricorso R.G. n. 26489/2020, proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti dell’anzidetto NOME COGNOME;
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna, n. 200 depositata il 20 gennaio 2020.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del due aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso di NOME COGNOME previa riunione col ricorso R.G. n. 26489/20.
Dato atto che l’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, mentre la
SANZIONE FISCALE E INTRANEUS
difesa erariale ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale dalla stessa proposto e il rigetto del ricorso avversario.
RILEVATO CHE
1.A seguito di indagini svolte su società aventi formalmente sede all’estero, in Lussemburgo e nel Liechtenstein, l’Agenzia deduceva che le stesse fossero gestite ed amministrate di fatto da NOME COGNOME. Le società, i cui soci erano il NOME NOME COGNOME e tale NOME COGNOME, svolgevano attività di valorizzazione di immobili siti in Sardegna (Costa Smeralda), di cui erano intestatarie. Una di tali società, RAGIONE_SOCIALE, pur sedente in Liechtenstein, aveva domicilio fiscale in Ferrara, e veniva ritenuta soggiacente alla normativa fiscale italiana ai sensi dell’art. 25 l. n. 218/1995 e 4 modello convenzione OCSE, e dunque assoggettabile a IRES ed IRAP.
Venivano individuate operazioni imponibili non dichiarate derivanti da cessioni di terreni edificabili e non.
Tali illeciti formavano oggetto di atto impositivo (anno imposta 2010), e l’Agenzia irrogava altresì ulteriore avviso di contestazione ai sensi dell’art. 9 d.lgs. n. 472/1997 nei confronti del COGNOME per le sanzioni derivanti da omessa istituzione della contabilità ed omesse dichiarazioni fiscali (IRES, IRAP e IVA). La CTP escludeva che il COGNOME fosse il ‘dominus’ della società in questione.
La CTR, adìta dall’Agenzia in sede di gravame, riconosceva il ruolo di amministratore di fatto in capo al COGNOME sulla base di una serie di indici fattuali. Altrettanto concludeva nel senso dell’esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE, e riteneva che avendo essa centro degli interessi in Italia fosse appunto assoggettata alla potestà fiscale italiana. Il giudice d’appello ha però escluso l’assoggettamento alla sanzione fiscale irrogata alla società del COGNOME, in virtù dell’esclusivo assoggettamento alla stessa della persona giuridica, beneficiaria dell’illecito fiscale, ai sensi dell’art. 7, d.l. n. 269/2003, rilevando
come mai il COGNOME avesse utilizzato la società come mero schermo -per il qual caso tornerebbe la regola generale dettata dall’art. 9 visto che il vantaggio in tali casi è ritratto dalla persona fisica che dello schermo sociale si avvale -poiché invece sarebbe risultato che l’attività era stata svolta a vantaggio della società, e particolarmente dei soci già indicati.
La CTR però accoglieva parzialmente l’appello laddove riteneva che il COGNOME dovesse essere sanzionato personalmente per le omissioni formali, non avendo egli conservato le scritture contabili.
Avverso tale pronuncia propone ricorso il COGNOME affidato a tre motivi, rispetto al quale l’Agenzia è rimasta intimata. Con ricorso depositato nello stesso giorno l’Agenzia ha a sua volta proposto ricorso avverso la medesima sentenza, fondato su due motivi.
CONSIDERATO CHE
I due ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo proposti nei confronti della stessa sentenza. Il ricorso proposto dal COGNOME dev’essere dunque riguardato come principale, mentre quello proposto dall’Agenzia dev’esserlo come incidentale.
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 in relazione all’art. 9, d.lgs. n. 471/1997, sostenendosi che da un lato le sanzioni fiscali debbono gravare esclusivamente sulla persona giuridica, e dall’altro non esser dato distinguere tra le diverse tipologie di condotte che hanno condotto all’irrogazione delle sanzioni medesime.
2.1. In maniera estremamente sintetica può dirsi che questa Corte, affrontando l’impatto dell’art. 7, d.l. n. 269/2003 in base al quale ‘ Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa’ o enti con personalita’ giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica’ (disposizione che era stata introdotta con l’espresso intento di conformare il sistema sanzionatorio fiscale ai principi di responsabilità penale degli enti
introdotti dal d.lgs. n. 231/2001, come attestato dalla Relazione Illustrativa) sul sistema sanzionatorio fiscale, abbia senz’altro tenuto fermi questi punti 1) in linea di principio le sanzioni fiscali vanno poste ad esclusivo carico della persona giuridica che abbia tratto vantaggio fiscale dall’illecito; 2) da ciò deriva l’esclusione di ogni responsabilità sanzionatoria in capo al c.d. intraneus , inteso soprattutto come amministratore, sia di fatto che di diritto, escludendo in tal caso qualsiasi residua applicabilità della norma sul concorso dello stesso ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 471/97 (v. Cass. n. 19716/2013, n. 25993/2014, n. 13730/2015, n. 4775/2016, n. 5924/2017, n. 28331 del 2018, nn. 9448, 9449, 9450 e 9451/2020, n. 18116 del 2022); 3) tuttavia, proprio sul presupposto del discrimine costituito dal vantaggio fiscale, allorché la società di capitali si riduce a un mero schermo, un’entità del tutto fittizia costituita solo per consentire ad una persona fisica di trarre essa un vantaggio fiscale, va applicata la regola generale della responsabilità per la relativa sanzione in capo alla persona fisica stessa (anche qui in conformità alle stesse indicazioni contenute nella Relazione Illustrativa, ed ispirate alla giurisprudenza fin lì formatasi) sul punto cfr. Cass n. 5924/17; 28331/18; 12334/2019; 29038/21, 23221/22; 1946/23 4) la disposizione derogatoria contenuta nell’art. 7 cit. si applicherebbe solo, come ivi espressamente previsto, alle persone giuridiche, ed in particolare alle società di capitali, mentre per le società di persone il sistema continua ad essere imperniato sulle regole proprie della responsabilità personale e del contributo causale, di cui all’art. 9, d.lgs. n. 472/1997 (d’altronde qualsiasi diversa impostazione finirebbe in proposito per avere un impatto limitato, come dimostra il nuovo impianto normativo di cui al d.lgs. n. 87/2024, che pur configurando innovativamente la responsabilità in proposito delle
società personali, richiama peraltro, come ovvio, la responsabilità solidale dei soci illimitatamente responsabili).
Aldilà di tale ultimo aspetto, l ‘orientamento giurisprudenziale in questione è stato peraltro significativamente recepito dal legislatore con la novella di cui all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 87 del 14 giugno 2024 che, riformando la materia delle sanzioni, ha così statuito sul punto: « Modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
Al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sono apportate le seguenti modificazioni:
all’articolo 2, dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2 -bis. La sanzione pecuniaria relativa al rapporto tributario proprio di società o enti, con o senza personalità giuridica di cui agli articoli 5 e 73 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è esclusivamente a carico della società o ente. Resta ferma, nella fase di riscossione, la disciplina sulla responsabilità solidale e sussidiaria prevista dal codice civile per i soggetti privi di personalità giuridica. Se è accertato che la persona giuridica, la società o l’ente privo di personalità giuridica di cui al primo periodo sono fittiziamente costituiti o interposti, la sanzione è irrogata nei confronti del soggetto che ha agito per loro conto.».
Si legge, sul punto, nella relativa relazione illustrativa: «Le modifiche apportate recepiscono sia il contenuto dell’art. 7 del decreto -legge n. 269 del 2003, il quale prevede che ‘le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica’, sia principi fissati dalla giurisprudenza in tema di società ed enti costituiti ai fini illeciti (cfr. Cassazione n. 33434/2022).
2.2. Nella specie che ne occupa ricorre l’ipotesi sub 2, cioè quella caratterizzata dal coinvolgimento del soggetto intraneus, nela
specie un amministratore di fatto in riferimento ad una società che, come si vedrà subito, risulta in base ad un accertamento di fatto reso dal giudice de merito, risulta effettiva e non fittizia.
E’ vero infatti che la CTR ha accertato che il COGNOME agiva come amministratore di fatto, e che lo stesso neppure interloquiva con i formali amministratori, ma allo stesso tempo la sentenza dà atto di come invece egli, ai fini del recupero dell’iva, dell’aggiornamento catastale ecc., interloquisse con i due soci COGNOME e COGNOME, nipote del principe NOME. E soprattutto con essi, sempre in base alla sentenza, egli interloquiva per le operazioni più rilevanti, quali la vendita di un terreno a un determinato prezzo, e a suffragio di ciò viene fatto richiamo alla ‘corposa corrispondenza’ rinvenuta presso l’abitazione del COGNOME stesso, soprattutto intervenuta con l’avv. COGNOME
Tra l’altro, nei vari passaggi societari succedutisi nel tempo, e soprattutto volti al trasferimento dei terreni a società aventi sede nel Liechtenstein, emerge come gli stessi siano sempre rimasti nella titolarità di NOME COGNOME e dell’Aga Khan (e poi del di lui nipote), e ciò fin dal 1962.
In definitiva è stato accertato che la società non era fittizia, ma faceva effettivamente capo ai due soci COGNOME e COGNOME e che COGNOME non era socio, neppure occulto, della società stessa, ma agiva quale amministratore di fatto della stessa, confrontandosi sempre e informando sempre i soci stessi, come dimostra la corrispondenza dettagliatamente riportata nella sentenza impugnata.
Così stando le cose, il motivo merita accoglimento.
Invero volta che la fattispecie sia inquadrata sub 2, e quindi in caso di sanzioni fiscali riconducibili ad illecito fiscale riconducibile al vantaggio della persona giuridica, non è dato distinguere all’interno delle singole violazioni fiscali. Le stesse peraltro risultano tutte riconducibili al rapporto fiscale tra la società di capitali e
l’amministrazione fiscale cui allude espressamente il disposto del più volte richiamato art. 7, d.l. n. 269/2003 (salvo che norme specifiche non individuino la concorrente od esclusiva responsabilità di un altro soggetto, ipotesi pacificamente non ricorrente), norma che ha una portata chiaramente omnicomprensiva.
Nella specie la CTR ha voluto distinguere dalle altre violazioni quelle relative alla tenuta della contabilità, ma è oltremodo evidente come anche la regolare tenuta e la conservazione della contabilità rientrino pienamente tra gli obblighi fiscali strutturali della società (e in generale dell’imprenditore: cfr. artt. 2214 e 2220, cod. civ.; 14, d.p.r. n. 600/1973; 22, d.p.r. n. 633/72), e dunque nel relativo rapporto fiscale con l’amministrazione finanziaria.
Gli ulteriori due motivi del ricorso principale, essendo spiegati in via subordinata rispetto al rigetto del precedente, risultano assorbiti dall’accoglimento dello stesso.
Venendo al ricorso incidentale, con i l primo motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 d.lgs. 472/97 e 7 del D.L. 269/2003, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.». Con esso si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ritenuta provata l’esterovestizione della società RAGIONE_SOCIALE e la gestione della società da parte del COGNOME, ha, poi, escluso che quest’ultimo, nella sua veste di amministratore di fatto, potesse essere sanzionato per le evasioni di imposta commesse nell’interesse della società, ostandovi l’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003 ed essendo inapplicabile la disposizione dell’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 invocata dall’Amministrazione Finanziaria.
Assume l’Agenzia che tale statuizione sarebbe in contrasto con il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’amministratore di fatto risponde in proprio delle violazioni
tributarie commesse dalla società che costituisca una mera fictio artificiosa, finalizzata al raggiungimento di benefici personali anche in capo all’amministratore di fatto della stessa.
5.Il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia recita: ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’.
Si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare ‘numerosi elementi di prova forniti dall’ufficio e sopra specificati ‘, che dimostrerebbero il ruolo di COGNOME nella società e i benefici direttamente ottenuti, negando inoltre la ricorrente che si verta in una ipotesi di doppia conforme.
6.I due motivi, per la loro connessione, vanno trattati congiuntamente, pur evidenziando le peculiarità di ciascuno.
Occorre muovere dalla premessa che il ricorso erariale attribuisce al COGNOME il ruolo sostanziale d’amministratore di fatto della società, la quale ultima è il soggetto passivo dell’imposizione. Nello stesso senso, del resto, si esprimeva l’atto di irrogazione impugnato.
La sentenza d’appello impugnata, a sua volta, con accertamento di fatto che la ricorrente Amministrazione non censura specificamente, è pervenuta espressamente alla conclusione che il COGNOME «è l’amministratore di fatto della società», come già chiarito a proposito del ricorso principale.
Su tale premessa la CTR, come già detto, ha applicato l’art. 7 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, con conseguente esclusiva responsabilità in capo alla società.
In punto di diritto, tale condivisibile conclusione della sentenza impugnata non è stata invero neppure puntualmente censurata dal ricorso erariale, che non critica la riconducibilità, in generale, della figura dell’amministratore di fatto all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003.
6.1. Piuttosto, la ricorrente Amministrazione assume che, nel caso di specie, la società avrebbe avuto ‘natura di mera fictio ‘
costituendo un mero schermo societario dal quale avrebbero ritratto vantaggio esclusivamente le persone fisiche dei soci e dell’amministratore di fatto. Tali circostanze, assume la ricorrente, anche secondo l’invocato orientamento di legittimità, escluderebbero l’applicabilità dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003.
Effettivamente si è già detto a proposito del ricorso principale , come questa Corte abbia già chiarito che le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, ma che tale principio non opera nell’ipotesi di società artificiosamente costituita.
Al proposito, affinché sia ripristinata la regola secondo cui la sanzione pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito, è necessario acquisire riscontri probatori, anche presuntivi, valevoli ad escludere la vitalità della società medesima, quand’anche gestita da un amministratore di fatto (Cass. n. 1946/2023, cit.).
Al fine che qui rileva, ovvero della riconducibilità al COGNOME, quand’anche amministratore di fatto, del sostanziale possesso di un reddito formalmente imputabile ad una società di capitali che fosse fittizia o interposta, deve rilevarsi la sussistenza di un accertamento di fatto circa l’insussistenza del relativo beneficio economico, da rilevarsi laddove la CTR osserva che ‘le violazioni sono state compiute da COGNOME dell’interesse della persona giuridica e non di se stesso’.
Inoltre, sussiste altresì un chiaro accertamento in ordine alla natura non fittizia, ma vitale ed effettiva, della società, come già detto a proposito del ricorso principale.
Ulteriore ragione di inammissibilità del secondo motivo deriva poi dalla sua assoluta genericità, con violazione anche dell’art. 366, primo comma, n.1, c.p.c., nel lamentare che la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare i numerosi gli elementi di prova
forniti dall’ufficio e sopra specificati in relazione alla posizione del soggetto ed ai benefici ottenuti. Formula aspecifica al fine dell’individuazione univoca, fosse pure per relationem , non solo di singoli, distinti e specifici fatti, intesi in senso storico -naturalistico, oggetto del contraddittorio nel merito, ma anche dell’indicazione relativa all’introduzione (con riferimento al grado ed all’atto relativi) di ciascuno di essi nel merito, nonché dell’illustrazione della loro natura decisiva.
Infine, il mezzo è ulteriormente inammissibile in quanto, a prescindere dalla sua rubrica, il corpo dello stesso evidenzia comunque la sostanziale finalità di attingere il merito per censurare un accertamento fattuale operato dalla sentenza d’appello (oltre che da quella di primo grado).
6.3.Ferme le rilevate ragioni di inammissibilità delle censure erariali, ciascuna sufficiente alla relativa declaratoria, deve poi rilevarsi che, nel caso di specie, non solo è stato accertato che ARAGIONE_SOCIALE non era l’effettivo possessore dei redditi formalmente intestati alla società; ma neppure è stato allegato, in maniera convincente, da parte dell’Amministrazione ricorrente e nel contesto del primo motivo di ricorso per cassazione, che di tale eventuale disallineamento soggettivo sussistessero i presupposti, ovvero che la società fosse fittizia o interposta.
Anzitutto la ricorrente neppure chiarisce se e come abbia fatto valere tali circostanze nella precorsa fase di merito.
In ogni caso, una immediata e significativa negazione di tali presupposti deriva dalla stessa Amministrazione che, per i medesimi fatti relativi al medesimo periodo d’imposta, ha emesso avviso d’accertamento, relativo alle imposte evase, nei confronti della società (e non di RAGIONE_SOCIALE in proprio, cfr. all. 1 al ricorso), individuando quest’ultimo quale rappresentante fiscale di quest’ultima e come tale destinatario della notifica dell’atto impositivo.
La pretesa impositiva già avanzata esclusivamente nei confronti della società, e non della persona fisica che ora si assume interponente o comunque celata dietro lo schermo societario, appare dunque in contrasto logico con la natura interposta dello stesso ente.
Inoltre, le argomentazioni critiche erariali relative alla pretesa natura fittizia dell’ente appaiono confuse, laddove, sovrapponendo piani logicamente e giuridicamente distinti, la identificano nella esterovestizione della società, definendola ‘società fittiziamente esterovestita’.
Ebbene, questa Corte ha già rilevato che, in materia di imposte sui redditi delle società, l’art.73, comma 3, d.P.R. n. 917 del 1986 individua i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, delle società e degli enti con il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia e l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano, a prescindere dall’accertamento di un’eventuale finalità elusiva della contribuente, che sia volta a perseguire uno specifico vantaggio fiscale che altrimenti non le spetterebbe» (Cass. 25/07/2022, n. 23150; Cass. 11/04/2022, n. 11709 e n. 11710). Pertanto, l’accertamento della residenza fiscale effettiva di una società nel territorio nazionale non comporta necessariamente anche quello della natura fittizia delle articolazioni che la stessa abbia in un diverso Stato. Ma in ogni caso, anche l’accertamento della natura fittizia della sede di una società all’estero si traduce nell’accertamento della residenza dello stesso ente in Italia e nel suo assoggettamento all’imposizione nazionale, non anche necessariamente nella qualificazione della medesima società, nel suo complesso, come mero schermo giuridico. La fictio iuris della sede estera della società non equivale, in sintesi, alla fictio relativa all’esistenza stessa della società, quale autonomo soggetto, centro d’interessi, possessore del proprio reddito e, come tale, soggetto
passivo dell’imposizione nazionale (proprio come accaduto nel caso di specie con riferimento all’accertamento societario).
L’insistenza della ricorrente Agenzia in ordine alla ‘fittizia esterovestizione’ appare quindi fuori fuoco rispetto alla pretesa natura fittizia dello stesso ente collettivo in quanto tale, quale assunto presupposto della riconducibilità della sanzione ad A.B. a titolo personale.
Infine, in ordine all’accertamento dell’effettività della società, valgano le considerazioni già riportate a proposito del ricorso principale , da cui risulta come la CTR abbia accertato la vitalità della società e la sua riconducibilità ai soci COGNOME e COGNOME.
7.Al postutto il ricorso principale dev’essere accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito il ricorso introduttivo dev’essere accolto. il ricorso incidentale erariale va invece respinto.
L e spese, come liquidate nel dispositivo con riferimento ad entrambi i giudizi riuniti, vanno poste a carico della ricorrente Agenzia.
Spese delle fasi di merito inerenti all’accoglimento compensate.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 -quater , d.P .R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e, respinto quello incidentale, cassa la sentenza impugnata, e decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dal contribuente nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l’intimata a pagare in favore dell’avv. NOME COGNOME che se ne dichiara antistatario le spese di lite, che liquida in € 10.000,
oltre 15 % dell’onorario per spese generali, i.v.a. e c.p.a. ed oltre ad esborsi per € 200,00.
Spese delle fasi di merito per quanto in motivazione, compensate.
Così deciso in Roma, il 2 aprile 2025