Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15407 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15407 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9036/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in INDIRIZZO Roma
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE VENEZIA, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO VENETO n. 1014/2023 depositata il 27/10/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia di secondo grado del Veneto ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 1014/2023 depositata in data 27/10/2023, ha rigettato l’appello proposto d a NOME COGNOME contro la sentenza n. 427/2021 con la quale la Commissione Provinciale di Venezia, in data 19/05/2021, aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME in proprio contro l’avviso di accertamento che gli era stato notificato, in qualità di legale rappresentante della società estinta RAGIONE_SOCIALE semplificata.
La CGT2 ha ritenuto, in sintesi, che dagli atti di causa risultava, incontestabilmente, che l’avviso di accertamento fosse stato notificato a NOME COGNOME « RAGIONE_SOCIALE nella qualità di rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE, società cancellata dal registro delle imprese. Risultava, poi, che nel ricorso COGNOME avesse preliminarmente chiarito di impugnare l’avviso di accertamento in proprio e non quale ex rappresentante legale della società, deducendo l’inesistenza dell’avviso di accertamento a carico di quest’ultima, in quanto estinta e cancellata dal registro delle imprese dal 27/11/2015 e, comunque, che dal bilancio di liquidazione non risultasse distribuito alcunché al socio COGNOME
Contro la sentenza della CGT2 NOME COGNOME ha proposto ricorso in cassazione in proprio quale ex rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE semplificata, con due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., dell’art. 24, secondo comma, Cos t. e dell’art. 33 d.l.gs. 31/12/1992, n. 546, nonché dell’art. 135 d.l. n. 34 del 2020.
1.1. Il ricorrente, richiamato il contenuto dell’art. 33 d.lgs. n. 546 del 1992, ha evidenziato che la discussione in pubblica udienza è ben diversa dal rito camerale, per il diverso esercizio e modalità di espressione del diritto di difesa.
1.2. Con riferimento allo svolgimento della pubblica udienza, l’art. 135 d.l. n. 34 del 2020 (vigente all’epoca dei fatti), sostituiva il comma 4 dell’art. 16 d.l. n. 119 del 2018, disponendo che: « La partecipazione alle udienze di cui agli artt. 33 e 34 D.Lgs. 546/92, può avvenire a distanza mediante collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e il luogo del collegamento da remoto del contribuente, del difensore, dell’ufficio impositore e dei soggetti della riscossione, nonché dei giudici tributari e del personale amministrativo delle Commissioni tributarie, tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e di udire quanto viene detto .»
Nel caso di specie è stata chiesta la pubblica udienza dall’appellante ed è stato disposto il collegamento audiovisivo da remoto.
Dalla lettura del verbale di udienza del 18/04/2023 si rileva che: « il difensore dell’imputato manifesta problemi di audio ».
Ciò nonostante il giudice ha ritenuto doversi proseguire nella discussione senza rinviare la trattazione e a nulla è valsa la
successiva istanza del 26/04/2023, formulata dall’appellante per una nuova fissazione di udienza. In tal modo la CGT2 non ha consentito all’appellante di esporre , in contraddittorio con l’Ufficio i punti critici della questione, trasformando, di fatto, per il solo appellante il procedimento chiesto in pubblica udienza in procedimento camerale. Quel che è peggio è che, invece, è stato contemporaneamente consentito all’Ufficio di interloquire col giudice in modo unilaterale, con gravissima violazione del principio della parità processuale tra le parti in causa. E le conseguenze sono evidenti: il giudice non ha ben colto le critiche dell’appellante (sostanzialmente omettendone la corretta valutazione) e lo ha condannato alle spese per una cifra ingente.
Secondo il ricorrente, una volta riscontrato il malfunzionamento del collegamento audio, alla luce della previsione secondo cui il collegamento audiovisivo deve essere tale « da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e di udire quanto viene detto» , la CGT2, dichiarando chiusa la discussione e ritirandosi in camera di consiglio senza riscontrare la richiesta di parte di una nuova fissazione di pubblica udienza, ha violato le norme oggetto del motivo di ricorso. 3. Il motivo è, in parte, inammissibile per difetto di specificità, in quanto la parte ricorrente si limita a fare riferimento niente più che a problemi di audio e a indicare, in modo altrettanto generico, di aver presentato un’istanza di fissazione di nuova udienza (senza precisare se la stessa contenesse un’istanza di rimessione in termini) e, in parte, infondato.
3.1. Nel caso in esame, trattandosi di procedimento di secondo grado instaurato anteriormente al 05/01/2024, trova applicazione, ratione temporis, l’art. 16, comma 4, d.l. 23/10/2018, n. 119, il quale stabilisce che: « La partecipazione alle udienze di cui agli articoli 33
e 34 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, da parte dei contribuenti e dei loro difensori, degli enti impositori e dei soggetti della riscossione, dei giudici e del personale amministrativo delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, può avvenire mediante collegamento audiovisivo tale da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti nei diversi luoghi e di udire quanto viene detto. Il luogo dove avviene il collegamento da remoto è equiparato all’aula di udienza. »
La stessa norma prevede che: « Le regole tecnico-operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza sono disciplinate dal decreto del direttore generale delle finanze 11 novembre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 285 del 16 novembre 2020. » L’art. 3, comma 1, d.m. 11/11/2020 ( Individuazione delle regole tecnicooperative per lo svolgimento e la partecipazione all’udienza a distanza ex art. 16, comma 4, del decreto-legge n. 119/2018 e art. 27 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137 ) prevede che: « La partecipazione all’udienza avviene a distanza mediante un collegamento audiovisivo da remoto con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone collegate e la possibilità di udire quanto viene detto, a garanzia della partecipazione e del contraddittorio.»
L’art. 3, comma 3, d.m. 11/11/2020 prevede, poi, che: « In caso di mancato funzionamento del collegamento da remoto, il Presidente sospende l’udienza e, nel caso in cui sia impossibile ripristinare il collegamento, rinvia la stessa disponendo che ne venga data comunicazione alle parti con le modalità previste dal comma 2.»
Di conseguenza, l’udienza mediante collegamento da remoto deve essere svolta secondo modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone collegate e la possibilità di udire quanto viene detto e l’obbligo di sospensione dell’udienza
viene ricollegato dall’art. 3, comma 3, d.m. cit. all’ipotesi di mancato funzionamento del collegamento da remoto e dall’impossibilità di ripristino dello stesso. Tanto il primo comma che il terzo comma dell’art. 3 cit . fanno riferimento al mancato funzionamento delle modalità di connessione dell’udienza da remoto, che rileva in quanto oggettivo, tale cioè da impedire l’effettivo svolgimento e la concreta partecipazione all’udienza di tutte le parti, mentre non possono assumere rilievo, al punto da integrare una nullità rilevante ai sensi dell’art. 156 c.p.c. e tale da ripercuotersi sulla sentenza, impedimenti inerenti alla parte che manifesti genericamente problemi di audio, secondo quanto risulta dalla verbalizzazione riportata dalla stessa parte ricorrente. Tali impedimenti di tipo soggettivo , a ben vedere, possono assumere rilievo solamente nella misura in cui comportino la decadenza della parte nella spendita del potere processuale cui è finalizzata l’udienza celebrata con modalità di connessione da remoto, tali da integrare una causa non imputabile, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 153 , comma 2, c.p.c., da valutare in relazione allo sforzo di diligenza richiesto alla parte (Cass., 25/11/2024, n. 30324).
3.2. In sostanza, mentre per l’ipotesi di mancato funzionamento oggettivo del collegamento da remoto è il presidente a dover intervenire, rinviando l’udienza in caso di mancato ripristino del collegamento, nell’ipotesi in cui non emerga tale impossibilità oggettiva di funzionamento, ma una delle parti manifesti problemi di audio o di visibilità tali da non consentire di esplicare, per impedimenti di carattere soggettivo (e non oggettivo) le proprie attività difensive, è suo onere provare che tale evenienza sia riconducibile a una causa non imputabile, tale da supportare una richiesta di rimessione in termini per l’esercizio delle attività che il difensore non ha potuto svolgere, da attivare immediatamente.
A tal proposito questa Corte ha precisato che: « In tema di svolgimento del processo da remoto, la parte che non si sia potuta collegare al “link” trasmesso dall’ufficio giudiziario per la celebrazione dell’udienza ha l’onere di segnalare tempestivamente la presenza di problemi tecnici impeditivi della connessione, anche al fine di ottenere la rimessione in termini, per la cui concessione occorre tenere conto dei tempi ordinariamente occorrenti al difensore per promuovere tale iniziativa, dopo gli eventuali contatti con la cancelleria, attesa la preminente necessità di salvaguardare il principio del contraddittorio e il diritto di difesa di colui che adduca, con una certa immediatezza, di non aver potuto prendere parte all’udienza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che non aveva dato esito alla richiesta del difensore, volta ad ottenere una copia del verbale d’udienza e un termine per il deposito di note conclusive, inviata a mezzo PEC dopo circa un’ora dall’orario fissato per la celebrazione dell’udienza a distanza, spiegando di non essere riuscito a collegarsi al “link” e di avere tentato di informare la cancelleria di tale inconveniente). » (Cass., 13/10/2022, n. 29919).
Deve, quindi, ritenersi che, anche nell’ipotesi in cui la parte non riesca ad esercitare le proprie attività difensive per problemi di audio o di visibilità delle attività in corso di svolgimento nell’udienza celebrata mediante connessione da remoto, la stessa sia tenuta, immediatamente dopo l’udienza ad attivarsi con una richiesta di rimessione in termini, in cui vengano esplicitati i motivi che non hanno consentito l’effettiva e piena partecipazione all’udienza e lo svolgimento delle relative attività difensive, precisando, al contempo, la piena estraneità di tali motivi alla sfera organizzativa della parte istant e, al fine di fondare l’eventuale richiesta della fissazione di una nuova udienza.
Nel caso di specie, tuttavia, non solo la parte ricorrente si è attivata ben otto giorni dopo l’udienza (e non immediatamente dopo), ma non risulta (o comunque non viene precisato, evidenziando, sotto tale aspetto, il difetto di specificità del motivo già rilevato, supra ) se abbia richiesto la rimessione in termini per causa non imputabile in ordine all’esercizio delle attività difensive da svolgere nell’udienza di discussione, prima che la causa fosse trattenuta dal collegio per la decisione.
Proseguendo con l’esame del ricorso deve rilevarsi che, a pag. 19 ss., il ricorrente articola -nell’illustrazione del primo motivo un’ulteriore censura autonomamente individuabile (sebbene non eretta formalmente quale oggetto di uno specifico motivo), facendo riferimento, in relazione all’art. 360, n 4, c .p.c., alla violazione dell’art. 111, c omma 6, Cost. e dell’art. 36, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992.
2.1. Sul punto il ricorrente afferma che: « E’ logico che la verifica delle condizioni dell’azione e quindi dell’ammissibilità siano assorbenti e preliminari rispetto alle questioni di merito. Ciò che non è dato comprendere è come la corretta notifica dell’avviso di accertamento possa incidere sulla legittimazione ad agire del sig. COGNOME il quale si vede irrogata una sanzione ingente ma, secondo la sentenza impugnata, non avrebbe la possibilità di contestarla in quanto l’avviso di accertamento è stato corre ttamente notificato alla società.
In termini più semplici, a fronte delle diverse eccezioni formulate dal contribuente per contestare la sanzione a lui irrogata, non è spiegato in alcuna parte del provvedimento perché quella relativa alla corretta notifica dell’avviso di accertamento alla società avrebbe carattere assorbente e come potrebbe incidere su un sulla legittimazione ad
agire, legata agli effetti che l’atto spiega verso il ricorrente e non verso altri soggetti (la società, nel caso di specie).
2.2. Tale censura è infondata, dal momento che la motivazione non è apparente, ma semplicemente non condivisa: il giudice di seconde cure ha ritenuto necessario, in punto di legittimazione, che COGNOME impugnasse l’avviso di accertamento quale legale rappresentante della società cancellata. Tale motivazione non presenza profili di criticità nell’ an , ma semmai nel quomodo (v. infra ).
Con il secondo motivo è stata censurata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 24 Cost. , dell’art. 2907 c.c., la falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. , la violazione dell’art. 99 c.p.c., la violazione dell’art. 18 d.lgs. n. 472 del 1997 e dell’art. 19, lett. c), d.lgs. n. 546 del 1992.
3.1. Il ricorrente rileva di aver chiarito , nell’atto di appello, che l’atto impugnato, oltre al recupero dell’imposta nei confronti della società, disponeva l’irrogazione della sanzione nei suoi confronti.
A pag. 24 del ricorso in cassazione richiama, in particolare, quanto rilevato a pag. 3 dell’atto di appello e cioè: « Il provvedimento, se era chiaro nell’indirizzare la pretesa sanzionatoria espressamente ma immotivatamente anche contro l’attuale appellante, non era altrettanto chiaro in relazione all’imposta accertata, per la quale non si capiva se sussistevano pretese (altrettanto immotivate) anche nei suoi personali confronti oltre che nei confronti della società, ormai estinta ».
Riporta, quindi, sempre a pag. 24 del ricorso l’intestazione dell’avviso di accertamento, per poi richiamare (pag. 25 del ricorso) quanto evidenziato a pag. 6 del ricorso in primo grado e, in particolare, che: « Quindi la questione sarà esaminata sotto un duplice profilo: prima sotto l’aspetto marcatamente sanzionatorio inteso come legittimità dell’irrogazione di sanzione nei confronti del
sig. COGNOME quindi come legittimità e fondatezza dell’accertamento dei fatti eseguito nei confronti della società in quanto trattasi dei medesimi fatti da cui deriva la sanzione poi irrogata al sig. COGNOME e l’eventuale pretesa dell’imposta (o di cifra ad e ssa ragguagliata) verso il ricorrente ‘ ».
Il ricorrente ha poi richiamato i contenuti delle memorie illustrative. 3.2. Il motivo di ricorso è fondato.
Nella specie l’intestazione dell’avviso di accertamento riportata a pag. 24 del ricorso in cassazione evidenzia come la notificazione dell’atto impositivo sia stata eseguita nei confronti di COGNOME sia quale legale rappresentante della società estinta, sia quale autore della violazione per la quale è stata irrogata la sanzione. La sentenza impugnata, nel confermare la statuizione del giudice di prime cure, si è fermata alla questione relativa alla legittimazione di COGNOME, avuto riguardo al« l’avviso di accertamento notificato alla società cessata e cancellata », laddove il ricorrente aveva impugnato, in proprio, l’avviso di accertamento limitatamente alla parte che lo interessava quale destinatario della sanzione applicata in qualità di autore della violazione. D’altronde, trattandosi di ipotesi rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 28 d.lgs. n. 175 del 2014 , la sanzione era imputabile alla società e non al suo legale rappresentante, considerato che, ai sensi dell’art. 7 d.l. 30/09/2003, n. 269 convertito con modificazioni dalla legge 24/11/2003, n. 326: « Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. »
3.3. In merito all’interpretazione della disposizione appena riportata occorre precisare che, secondo questa Corte, in tema di violazioni tributarie, « qualora risulti che il rappresentante o l’amministratore della società con personalità giuridica abbiano agito nel proprio
esclusivo interesse, utilizzando l’ente con personalità giuridica quale schermo o paravento per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a proprio personale vantaggio », viene meno la ratio giustificatrice dell’applicazione dell’art. 7 d.l. n. 269 del 2003, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito (v. Cass. del 7/11/2018, n. 28332; Cass. 18/04/2019, n. 10975; Cass. 12/12/2019, n. 32594; Cass. 13/11/2020, n. 25757; Cass. 20/10/2021, n. 29038).
Nel caso di specie la sentenza impugnata si è limitata alla valutazione d ‘inammissibilità del ricorso proposto in proprio da COGNOME risultando non conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia di responsabilità del legale rappresentante in materia di sanzioni.
3.4. Deve, quindi, ritenersi che il legale rappresentante che sia destinatario, ai sensi dell’art. 28, comma 4, d.lgs. n. 175 del 2014, di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società cancellata da registro delle imprese, sia quale legale rappresentante, sia quale autore della violazione cui consegua l’irrogazione di una sanzione, è legittimato a impugnare, in proprio, l’atto impositivo, limitatamente alla parte in cui viene contestata la violazione della norma tributaria e gli viene irrogata la sanzione, quale autore di quest’ultima.
In conclusione, deve trovare accoglimento il secondo motivo nei termini di cui in motivazione, mentre deve essere rigettato il primo motivo.
La sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 11/03/2025.