Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32625 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32625 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
Oggetto:
Dazi – Royalties
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3105/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE Internazionali, RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procure speciali allegate al ricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
-ricorrenti –
Contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 2021/09/2023, depositata il 22.06.2023.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 24.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Sentiti, per le ricorrenti , l’avvocato NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Como accoglieva il ricorso proposto dalle società RAGIONE_SOCIALE (rappresentante doganale indiretto), RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE (importatore) e RAGIONE_SOCIALE (rappresentante fiscale IVA), avverso distinti avvisi di rettifica dell’accertamento per maggiori dazi e constatazione di illeciti doganali, emessi dall’Ufficio doganale di Como, a seguito della revisione dell’accertamento riguardante distinte importazioni effettuate nel 2021 dal predetto spedizioniere doganale e dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte al licenziante, titolare dei marchio RAGIONE_SOCIALE , riguardante i capi di abbigliamento importati.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia accoglieva parzialmente l’appello proposto dall ‘Agenzia delle dogane (ADM) , osservando, per quello che qui interessa, che:
-l’eccezione riproposta dalle società appellate sulla nullità degli atti impositivi, per carenza di prova della delega conferita al soggetto che aveva sottoscritto gli atti impugnati, era infondata, alla luce delle disposizioni richiamate dall’Agenzia app ellante (artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 374 del 1990) che legittimano i funzionari doganali a procedere agli accertamenti e a redigere i conseguenti verbali, senza necessità di specifiche deleghe, essendo legittimati ex lege ;
-infondata era anche l’eccezione di inammissibilità e/o inaccoglibilità dell’appello per effetto del principio del giudicato esterno , in quanto la controversia riguardava i dazi doganali e l’IVA all’importazione (materie soggette a disciplina sovranazionale) e il giudicato esterno invocato dalla parte privata era nel merito in contrasto con le disposizioni comunitarie in materia, sicchè la relativa disciplina doveva essere disapplicata in questa sede;
la controversia riguardava la mancata inclusione dei diritti di licenza nella base imponibile considerata per la determinazione del valore in Dogana;
il valore delle royalties va aggiunto al prezzo di vendita della merce importata, quando il loro pagamento può considerarsi come condizione, esplicita o implicita, della vendita delle merci; a tal fine occorre verificare se l ‘assetto complessivo dei rapporti tra le parti abbia determinato di fatto una situazione -diretta o indiretta – di controllo, potere, condizionamento, orientamento e costrizione da parte dei titolari dei marchi sul produttore/fabbricante, tale per cui, in mancanza del pagamento delle royalties, i licenzianti hanno il potere contrattuale, diretto o indiretto, di bloccare la produzione di quei prodotti e inibirne la vendita all’acquirente ;
la normativa primaria e secondaria in materia, nonché le linee guida e i documenti ufficiali della prassi comunitaria (fra cui i parametri delineati dal Comitato del Codice Doganale (TAXUD/800/2002/IT e poi TAXUD/B4/2016 n. 808781 del 28 aprile 2016) hanno identificato una serie di clausole-indicatori, la presenza delle quali (o meglio una combinazione di questi indicatori) risulta sintomatica della esistenza implicita di questa condizione di vendita;
a tal fine occorre verificare non solo gli accordi di vendita (intercorsi tra importatore e produttore extra UE), ma anche e
soprattutto le clausole dei contratti di licenza, essendo detti contratti inscindibilmente collegati fra loro;
le condizioni previste dal l’art. 136 del Reg. UE n. 2447/2015 , a differenza di quanto stabilito dal previgente CDC, non devono sussistere congiuntamente, ma è sufficiente che sia soddisfatta una soltanto di esse, perché le royalties debbano essere incluse nel valore doganale dei beni importati;
nella specie, l’esame delle clausole contrattuali confermava la
sussistenza della condizione implicita di vendita; in particolare, il ‘Sublicense Agreement’ prevede il pagamento delle royalties all’art. 3.1 nell’ambito di un rapporto continuativo tra le parti e le considera condizione essenziale del contratto, tanto da prevedere che il mancato pagamento di esse rappresenti una causa di risoluzione del contratto medesimo (art. 8.2); alla risoluzione del contratto consegue la immediata cessazione, per la licenziataria, della possibilità di commercializzare, distribuire, vendere i prodotti soggetti a licenza (art. 8.3, lett. a) e b.); l’art. 8.2 prevede una clausola risolutiva espressa e non già una mera ‘clausola di stile ‘, come tale non sufficiente a considerare le royalties elemento essenziale del contratto; l’art. 4.1 del Sublicense Agreement prevede che il requisito del pagamento delle royalties dovrà regolare tutte le vendite di prodotti indipendentemente dalle modalità di approvvigionamento del licenziatario, con la conseguenza che il licenziatario può comprare le merci da chiunque produca e/o distribuisca merce con marchio RAGIONE_SOCIALE , ma in ogni caso dovrà pagare le royalties al licenziante (o ad un terzo che può essere proprietario o licenziante dei diritti in questione); è previsto, poi, un controllo del licenziante sugli standard qualitativi (controllo di qualità), ma anche sulle caratteristiche e sui requisiti tecnici dei prodotti (e, quindi, sul processo produttivo); sulla base di quanto disposto dal l’art. 2.2, secondo il quale il licenziatario non può apporre o utilizzare i propri
marchi sui prodotti senza previa autorizzazione scritta del licenziante, si evince la necessità di una preventiva approvazione del licenziante rispetto alla produzione di beni recanti il proprio marchio;
con particolare riferimento alla previsione di risoluzione del contratto, andava considerato che, trattandosi di contratti di durata, la clausola risolutiva rilevava non per l’effetto giuridico in sé che avrebbe prodotto , ma nell’ottica della valutazione complessiva dell’assetto dei rapporti fra le parti, come elemento indicatore della sussistenza di un potere del licenziante di condizionare a monte la produzione dei beni recanti il proprio marchio, laddove le royalties non fossero pagate dal licenziatario; sotto tale profilo era indubbio che se il licenziante, in caso di mancato pagamento delle royalties , aveva il potere di impedire la commercializzazione dei beni recanti il proprio marchio, lo stesso aveva anche il potere di impedire che detti beni fossero prodotti su richiesta ed indicazione del licenziatario inadempiente;
non rilevava, inoltre, il fatto che gli importi delle royalties fossero quantificati in base ai volumi del fatturato di rivendita dei beni a terzi, perché ciò atteneva non alla sussistenza dell’obbligo in sé di corrispondere le royalties , ma alle modalità di calcolo degli importi dovuti, i cui meccanismi erano stabiliti liberamente dalle parti;
-era, dunque, legittima l’applicazione dei dazi sul valore delle merci che teneva conto del valore delle royalties , essendo stata dimostrata la sussistenza della ‘condizione di vendita’;
Contro la suddetta decisione la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria.
L ‘ADM resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, le ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e del ‘ principio di intangibilità del giudicato nazionale, di cui all’ordinamento dell’Unione Europea e quale elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ‘ , in quanto i giudici di appello hanno errato nel ritenere che il diritto unionale dovesse prevalere sulle norme interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione; rilevano che sono passate in giudicato diverse sentenze aventi il medesimo oggetto, titolo e relative alle medesime parti della sentenza impugnata, favorevoli alle stesse odierne ricorrenti, in grado di produrre effetti esterni.
1.1 Il motivo è in primo luogo inammissibile per difetto di specificità e ciò a prescindere da ogni altra considerazione con riferimento alla tempestività della proposizione della relativa eccezione.
1.2 Come è stato più volte evidenziato da questa Corte, « il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il tes to integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione » (Cass. 23 giugno 2017, n. 15737), occorrendo, in particolare, il « richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo » (Cass. 8 marzo 2018, n. 5508), onere che nella specie non è stato assolto dalle ricorrenti.
1.3 Il motivo è in ogni caso infondato.
1.4 Secondo un indirizzo costante di questa Corte, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico (Cass. 16 maggio 2002, n. 7140); tale orientamento giurisprudenziale richiede che entrambe la cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo negozio o
rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato : in tal caso, infatti, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, preclude l’esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (Cass. 16 maggio 2006 n. 1365; Cass. n. 11215 del 2020).
1.5 Con riferimento al caso di specie, occorre evidenziare che gli atti impugnati riguardano operazioni doganali diverse rispetto a quelle in relazione alle quali le società ricorrenti deducono la sussistenza del giudicato esterno, sicchè risulta diverso il « petitum » degli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione nelle rispettive cause.
1.6 Si tratta di circostanza ex se sufficiente ad escludere che le richiamate pronunce possano comunque spiegare rilevanza nel presente giudizio, atteso che i fatti generatori di ciascuna obbligazione doganale risultano obiettivamente differenti, sia in relazione alle circostanze di tempo e di luogo delle operazioni doganali, sia in relazione alle reali specifiche caratteristiche della merce importata non essendo consentito verificare se i prodotti oggetto della presente causa siano o meno identici a quelli oggetto delle decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. n. 2250 del 2014).
1.7 L’applicabilità della regola del giudicato di diritto interno in materia di dazi doganali, infatti, può riguardare una singola importazione o, comunque, quel (ristretto) numero di importazioni prese in considerazione dal singolo avviso di rettifica, non essendo la regola conseguente a quel giudicato suscettibile di estensione ad un numero indefinito di casi similari (Cass. n. 33095 del 16.12.2019).
1.8 Nella specie, pertanto, difetta l’identità del titolo o del rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere nelle diverse cause, attesa la oggettiva autonomia dei rapporti giuridici tributari, tra le stesse parti, che hanno costituito, rispettivamente, oggetto dei giudizi nel quale si sarebbe formato il giudicato (esterno) ed oggetto della presente controversia.
1.9 Con riferimento alla vicenda in esame, poi, non è nemmeno configurabile la questione dell’applicabilità dell’istituto del giudicato esterno con riferimento alle situazioni giuridiche di durata, in relazione alle quali il giudicato non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta in presenza di elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta assumono carattere tendenzialmente permanente. Non va dimenticato, infatti, che, nella materia doganale, questa Corte ha affermato che « In tema di sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, che postula che le violazioni siano state “commesse in periodi d’imposta diversi”, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni d’importazione o esportazione » (Cass. 21.09. 2020, n. 19633), sicchè non può ritenersi che la « diversità di periodo d’imposta » sia equivalente al compimento di singole operazioni doganali.
1.10 In ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto « l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici,
dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vincolante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione).
1.11 Né può farsi richiamo al principio, più volte enunciato in sede di legittimità, in forza del quale « se l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico -giuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e pertanto spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto (Cass., Sez. 3, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., Sez. L, 14 agosto 1999, n. 8680; Cass., Sez. 3, 29 settembre 1997, n. 9548; Cass., Sez. L, 13 maggio 1995, n. 5243; Cass., Sez. 1, 22 novembre 1990, n. 11277) » (Cass., 14 giugno 2024, 16618, in motivazione), in quanto, per quanto prima rilevato, tale principio postula che i giudizi interessati siano fra le stesse parti e vertano sul medesimo negozio o rapporto giuridico, ancorché le finalità dei due giudizi siano diverse, evenienza che non sussiste nella fattispecie in esame.
1.12 E’ evidente, pertanto , che, in assenza di un giudicato, non viene neppure in rilievo un problema di compatibilità o di contrasto tra norme europee produttive di effetti diretti e disposizioni nazionali di diritto sostanziale, quale quella di cui all’art. 2909 cod. civ.
1.13 Sul punto va in ogni caso precisato che la Corte di giustizia dell’UE ha sempre confermato il ruolo fondamentale che svolge il principio dell’autorità di cosa giudicata sia nell’ordinamento giuridico unionale che negli ordinamenti giuridici nazionali, in quanto fonte della stabilità del diritto, dei rapporti giuridici e di una buona amministrazione della giustizia (Corte giust., 3 settembre 2009, Fallimento RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, punto 22; Corte giust., 4 marzo 2020, Telecom Italia, C-34/19, punto 64), evidenziando che la sua concreta attuazione può, in casi del tutto particolari (come, ad esempio, in tema di aiuti di Stato o di pratiche abusive in materia di IVA), essere disapplicata per rendere la fattispecie concreta compatibile con il diritto dell’Unio ne, in conformità ai principi di effettività e di equivalenza (cfr. Corte giust., 10 luglio 2014, COGNOME, C-213/13, punto 58; Corte giust., 18 luglio 2007, C-119/05, COGNOME; Cass. 16 dicembre 2019, n. 33095, in motivazione).
Con il secondo motivo, denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 -76 e, in particolare degli artt. 70, 71, par. 1, lett. c), e 77 del CDU (Reg. UE 952/2013), degli artt. 127-146 e, in particolare dell’art. 136 del Regolamento di esecuzione UE 2015/2447, nonché degli artt. 1362 e 1456 e 1458 cod. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che la facoltà del licenziante di risolvere il contratto di licenza in caso di mancato pagamento delle royalties da parte del licenziatario fosse rilevante ai fini della sussistenza della condizione di vendita, non avendo considerato che la risoluzione del contratto in base ad una clausola risolutiva espressa, prevista dal l’art. 8.2 del Sublicence
agreement , non era un automatismo, ma una mera facoltà della parte interessata che intendeva avvalersene, e lo scioglimento del contratto (essendo quello di licenza di marchio un contratto ad esecuzione continuata o periodica), non produceva effetti sulle prestazioni già eseguite; di conseguenza, l’eventuale risoluzione non poteva rilevare rispetto alle vendite già eseguite e, ancor prima, sugli acquisti in precedenza effettuati dal produttore extra UE.
Con il terzo motivo, denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 -76 e, in particolare degli artt. 70 e 71, par. 1, lett. c), del CDU (Reg. UE 952/2013), nonché dell’art. 71 del Regolamento delegato UE 2015/2446, degli artt. 127146 e, in particolare dell’art. 136 del Regolamento di esecuzione UE 2015/2447, della specifica disciplina fissata dal punto 22 del TAXUD/B4/2016-IT n. 808781, nonché de ll’ art. 1362 cod. civ., per non avere la CTR rilevato che nella specie non era no ravvisabili, in base all’esame dei contratti di licenza, nè gli indici elaborati dalla prassi e dalla giurisprudenza, per ritenere la sussistenza della condizione di vendita ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore in dogana, nè le condizioni previste dalla normativa unionale per l’inclusione delle royalties nel valore in dogana.
Con il quarto motivo, deducono la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado deciso sulla base di elementi non rilevabili dai contratti per cui è causa, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 70 e 71, lett. c) del CDU (Reg. 952/2013), 136, par. 4, del Reg. 2015/2447, 7, commi 1 e 2, della l. n. 212 del 2000 e 1362 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non avendo i giudici di appello rilevato che i meri controlli di qualità tra licenziante e licenziatario, previsti
contrattualmente, non coinvolgono il produttore, svolgendosi solo successivamente alle importazioni.
Con il quinto motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, discussi tra le parti, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 71, lett. c), del CDU (Reg. UE 952/2013) e 136, par. 4, del Reg. 2015/2447, in quanto i giudici di appello non hanno considerato che il contratto di licenza prevede all’art. 4.2 solo controlli di qualità, irrilevanti ai fini della sussistenza della condizione di vendita, e che sempre detto contratto prevede non solo la libertà del licenziante di scegliere il produttore, ma anche che le cessioni di merci tra società del gruppo non generano royalties .
Con il sesto motivo, lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 17, comma 1bis del d.lgs. n. 165/2001, 15, comma 7 del d.lgs. n. 78/2009, 21octies della legge n. 241/1990, 4, comma 2 dello Statuto dell’Agenzia delle dogane, approvato da ultimo in data 21.07.2021, 1, comma 3, e 4, comma 1, del Regolamento dell’Agenzia delle dogane, approvato con delibera n. 431 del 2021, 4bis , comma 2 del d.l. n. 78 del 2015, conv. dalla l. n. 125/2015, 97 Cost., in quanto i giudici di appello hanno errato nel ritenere validi i processi verbali di accertamento, pur in mancanza della prova della delega conferit a dal Direttore dell’Ufficio ai funzionari che avevano sottoscritto detti atti.
Il secondo, il terzo, quarto e quinto motivo, che vanno esaminati congiuntamente, riguardando tutti la questione della inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarato in dogana.
7.1 Occorre premettere che il quinto motivo è, innanzitutto, inammissibile, in quanto formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc.
civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio motivazione e/o di omesso esame di fatto decisivo che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza ( Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
7.2 Rileva, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità del quinto motivo, nella parte in cui risulta formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053), nel cui paradigma non è, all’evidenza, inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802).
8. Il secondo, il terzo, quarto e quinto motivo sono in ogni caso infondati.
8.1 Deve premettersi che la presente fattispecie è regolata dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione europea (CDU), e dal corrispondente Regolamento di esecuzione Reg (UE) del 24 novembre 2015, n. 2447/2015 (che hanno fatto seguito al Regolamento (CEE) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario e al Regolamento Ce del 2 luglio 1993, n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario).
8.2 L’art. 70 del vigente CDU prevede, al comma 1, la regola generale secondo la quale il valore in dogana è quello di transazione, ossia « il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci », mentre il comma successivo dispone che questo « è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate ».
8.3 Tale valore può essere adottato ove ricorrano tutte le condizioni seguenti: « a) non esistano restrizioni per la cessione o per l’utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre a una qualsiasi delle seguenti: i) restrizioni imposte o richieste dalla legge o dalle autorità pubbliche nell’Unione; ii) limitazioni dell’area geografica nella quale le merci possono essere rivendute; iii) restrizioni che non intaccano sostanzialmente il valore in dogana delle merci; b) la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o prestazioni per le quali non possa essere determinato un valore in relazione alle merci da valutare; c) nessuna parte dei proventi di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa
essere operato un appropriato adeguamento; d) il compratore e il venditore non siano collegati o la relazione non abbia influenzato il prezzo » (art. 70, par. 1, del CDU).
8.4 Il prezzo effettivamente pagato o da pagare, inoltre, coincide con il « pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate » (art. 70, par. 2, del CDU).
8.5 Il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione « a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: i) le commissioni e le spese di mediazione, fatta eccezione per le commissioni di acquisto; ii) il costo dei container considerati, ai fini doganali, come formanti un tutt’uno con la merce; e iii) il costo dell’imballaggio comprendente sia la manodopera sia i materiali; b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: i) materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate; ii) utensili, matrici, stampi e oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate; iii) materie consumate durante la produzione delle merci importate; e iv) i lavori di ingegneria, di sviluppo, d’arte e di design, i piani e gli schizzi eseguiti in un paese non membro dell’Unione e necessari per produrre le merci importate; c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il
compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; d) il valore di tutte le quote dei proventi di qualsiasi ulteriore rivendita, cessione o utilizzo delle merci importate spettanti, direttamente o indirettamente, al venditore; e) le seguenti spese fino al luogo d’introduzione delle merci nel territorio doganale dell’Unione: i) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate; e ii) le spese di carico e movimentazione connesse al trasporto delle merci importate ».
8.6 Ai sensi dell’art. 71, par. 2, CDU, poi, « Le aggiunte al prezzo effettivamente pagato o da pagare (…) sono effettuate esclusivamente sulla base di dati oggettivi e quantificabili ».
8.7 Il Reg. di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione, all’art. 136, par. 4, precisa che « I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante » (comma 4), giudicando irrilevante il paese in cui è stabilito il destinatario del pagamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza (comma 5).
8.8 Dal suindicato quadro normativo si evince che, con specifico riferimento ai diritti di licenza, il legislatore unionale ha previsto, all’art. 71, par. 1, lett. c), CDU, tra gli elementi che devono essere addizionati per determinare il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai fini della determinazione del valore delle merci,
anche « i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
8.9 Le royalties, quindi, devono essere addizionate al valore di transazione se sono integrate tutte le seguenti condizioni: a) non sono già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; b) sono relative alle merci da valutare; e c) il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagarle come condizione per la vendita delle merci da valutare e le integrazioni di tale valore devono avvenire sulla base di dati oggettivi e quantificabili.
8.10 Ne consegue che anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.
8.11 Il valore dichiarato, invero, deve riflettere il valore economico reale della merce e, quindi, deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (CGUE, 20 dicembre 2017, Hamamatsu , in C-529/16).
8.12 In particolare, i giudici unionali hanno recentemente precisato che « Il diritto dell’Unione in materia di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi. Il valore in dogana deve quindi riflettere il valore economico reale di una merce importata e tale obiettivo deve prevalere anche quando il valore in dogana è determinato in forza di disposizioni speciali » (CGUE, 21 settembre 2023, n. 770/21) e che ‘ Sebbene un operatore economico non possa sottrarsi al diritto dell’Unione invocando i propri obblighi contrattuali, la determinazione del valore in dogana di merci importate non può
tuttavia essere stabilita in maniera astratta. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, essa trova il suo fondamento nelle condizioni in base alle quali è stata effettuata la vendita di cui trattasi, anche se queste differiscono dagli usi commerciali o possono essere considerate inabituali per il tipo di contratto considerato’ … ‘In tal senso, al fine di valutare se il valore in dogana delle merci importate rifletta il loro valore economico reale, occorre prendere in considerazione la situazione giuridica concreta delle parti del contratto di vendita’ … ‘Pertanto, non tener conto delle condizioni di vendita nell’ambito della determinazione del valore in dogana di tali merci sarebbe non solo contrario alle disposizioni dell’articolo 29, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, ma condurrebbe inoltre a un risultato che non consente di riflettere il valore economico reale di dette merci’ (CGUE, 22 aprile 2021, n. 75/20, punto 35).
8.13 Poiché con riferimento al precedente quadro normativo, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del CDC, né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento 2454/93, stabiliscono cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare e, più in particolare, quando ricorra la terza condizione sopra indicata (secondo cui l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la Corte unionale ha affermato che la nozione « condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Ha, quindi, aggiunto, che qualora, come nel caso in esame, il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre ‘verificare se la
persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ » (CGUE, 9 marzo 2017, GE Healthcare, C-173/15).
8.14 Anche questa Corte ha chiarito, sempre con riferimento alla precedente disciplina doganale, che « Per determinare il valore in dogana delle merci da importare, il prezzo effettivamente pagato o da pagare è integrato dai corrispettivi e i diritti di licenza relativi, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci stesse. Ciò sempre considerando, da un lato, che devono essere valutati una pluralità di profili specificamente concernenti ciascuna fattispecie concreta e, dall’altro, che il mero controllo di qualità non è rilevante » ( ex plurimis , Cass. n. 35359 del 1.12.2022).
8.15 Il Reg. CE n. 2454/1993, infatti, stabiliva, all’art. 157, par. 2, che «(…) quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’art. 29 codice (doganale) si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa “»; l’art. 159 specificava che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; le merci andavano commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza; l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore. Nel caso in cui l’ac quirente pagava un corrispettivo
o un diritto di licenza a un terzo, il successivo art. 160 prescriveva che «(…) le condizioni previste dall’art. 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento ».
8.16 L’art. 143 dello stesso Regolamento di esecuzione, poi, indicava le ipotesi tipizzate in cui due o più persone erano considerate legate.
Con il nuovo codice doganale si è attenuata l’esigenza di verificare l’esistenza di un ‘legame’ tra i soggetti coinvolti nelle operazioni di importazione delle merci e di pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza.
9.1 Sul punto va senz’altro condiviso l’orientamento di questa Corte, secondo il quale ‘ deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ‘ e, quindi, la nozione di controllo prevista dall’art. 127 Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass. n. 3606 del 13/02/2020).
9.2 Di conseguenza, nei rapporti trilaterali, i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario, per cui, per stabilire se ricorrono
tali condizioni, è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
9.3 In tal senso si esprime il TAXUD/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
9.4 Il citato documento TAXUD del 2016, peraltro, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002 (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ).
9.5 Di conseguenza, è evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass. 16 maggio 2023, n. 13338 e Cass. 13 febbraio 2020, n. 3606).
9.6 Più in particolare, questa Corte ha evidenziato che « La eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n.
952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UERE (nuovo regolamento di esecuzione) » (Cass.30 gennaio 2020, n. 2140), concludendo che gli indicatori di cui al documento TAXUD-8002002 non hanno perso il loro valore orientativo, in quanto la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la precedente.
9.7 Per quanto riguarda la nozione del potere di controllo, è stato precisato che questo è inteso in un’accezione ampia e necessariamente casistica, essendo sufficiente anche un mero potere di orientamento (Cass. n. 8473 del 6 aprile 2018); tale ampia accezione ‘ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene’ ed ‘ utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale », avendo la Corte di giustizia, nella sentenza 7 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, citata, stabilito che questi documenti ‘ sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338).
9.8 Il predetto documento annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un
contro
llo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante (Cass., 13 settembre 2023, n. 26466, in motivazione).
9.9 Alla luce degli elementi sopra indicati, quindi i diritti di licenza devono essere pagati, come condizione della vendita delle merci importate, se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure se le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante.
9 .10 L’interprete deve, dunque, stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga,
anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties .
9.11 Il già citato art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, infatti, pone in rilievo gli impegni contrattuali vincolanti assunti dall’acquirente o dal venditore, evidenziando che il criterio della «condizione di vendita» si riferisce non solo alle condizioni imposte dal o sul venditore, ma anche sull’acquirente, con la conseguenza che, al fine di stabilire se tali pagamenti debbano essere addizionati al valore delle merci occorre valutare non solo le condizioni imposte dal o al venditore, ma anche quelle imposte all’acquirente.
9.12 In base a tali elementi è stato considerato come una condizione della vendita delle merci importate il pagamento preteso dal venditore come condizione per la distribuzione esclusiva delle merci sul territorio interessato, oppure la circostanza che il venditore delle merci, altresì beneficiario del pagamento, non avrebbe ceduto le stesse, senza tale pagamento, per la loro distribuzione esclusiva su un determinato territorio; di contro, è stato ritenuto indifferente che detto pagamento dovesse essere effettuato solo per un periodo limitato di tempo (cfr. CGUE, 19 novembre 2020, causa C-775/19).
9.13 Alla medesima conclusione si perviene nelle ipotesi in cui i diritti di licenza non siano pagati al venditore, ma a soggetti terzi, essendo il terzo proprietario o licenziante dei relativi diritti. In questi casi deve, comunque, farsi riferimento all’a rt. 71, par. 1, lett. c ), CDU e all’art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, che disciplinano gli elementi fondamentali della vendita delle merci, compreso il trasferimento del titolo di proprietà e di tutti i diritti sulle merci conformemente agli accordi contrattuali, dovendosi esaminare, in tal caso, tutte le circostanze relative alla vendita e all’importazione delle merci, inclusi i possibili collegamenti tra gli accordi di vendita e i
contratti di licenza, oltre che altre informazioni relative alla vendita e all’importazione delle merci.
9.14 Dai principi sopra esposti, quindi, si evince, in sintesi, che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ». licenza (cd. royalties dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è
Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche
diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
9 .15 L’ampia nozione di controllo, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, non richiede necessariamente, come si è già detto, che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato.
9.16 Può affermarsi, dunque, che la nuova disciplina consente di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, dovendosi escludere che tale circostanza abbia valore essenziale; il criterio applicabile è, invece, quello di capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza, atteso che detta condizione può essere anche implicita, quando non risulta specificato nell’acc ordo di licenza se la vendita delle merci importate sia subordinata o meno al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza.
Ciò posto, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha accertato la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa comunitaria per computare, nel valore in dogana delle merci importate, l’importo dei diritti di licenza, e, in particolare, la sussistenza delle condizioni implicanti un controllo dei licenzianti sulla produzione; sul punto i giudici di secondo grado, al riguardo, hanno affermato che: ‘L’esame delle clausole contrattuali, nel caso in esame, conferma la sussistenza della condizione implicita di vendita, rilevando in particolare Il ‘Sublicense Agreement’. Occorre sin da subito chiarire che rileva l’assetto effettivo e complessivo dei rapporti fra le parti per come desumibile in concreto e non il dato meramente formale, sicché non è sufficiente che le parti scrivano nel contratto che il pagamento dei diritti di licenza non è condizione dell’acquisto o dell’importazione
dei prodotti da parte del licenziatario (come è nel caso di specie alla clausola 3.2. (b) del contratto) per escludere il presupposto della daziabilità delle royalties. Il contratto indicato prevede il pagamento delle royalties all’art. 3.1 nell’ambito di un rapporto continuativo tra le parti e le considera condizione essenziale del contratto tanto da prevedere che il mancato pagamento di esse rappresenti una causa di risoluzione del contratto medesimo (art. 8.2) e – in conseguenza della risoluzione del contratto – la immediata cessazione, per la licenziataria dalla possibilità di commercializzare, distribuire, vendere i prodotti soggetti a licenza (art. 8.3, in particolare lett. a. e b.). Lo stesso documento, all’art. 8.2 prevede una clausola risolutiva espressa e non già una mera ‘clausola di stile’, come tale non sufficiente a considerare le royalties elemento essenziale del contratto. ‘ (….) ‘L’art. 4.1 del Sublicense Agreement peraltro prevede che il requisito del pagamento delle royalties dovrà regolare tutte le vendite di prodotti indipendentemente dalle modalità di approvvigionamento del Licenziatario, con la conseguenza che il licenziatario può comprare le merci da chiunque produca e/o distribuisca merce con marchio RAGIONE_SOCIALE, ma in ogni caso dovrà pagare le royalties al licenziante (o ad un terzo che può essere proprietario o licenziante dei diritti in questione). Peraltro è previsto il controllo del licenziante non solo sugli standard qualitativi (controllo di qualità) ma anche sulle caratteristiche e sui requisiti tecnici dei prodotti (dunque sul processo produttivo in sé). Ancora, a titolo esemplificativo, rileva la clausola 2.2 del contratto in esame, laddove è espressamente prevista una limitazione a carico del licenziatario a cui non è concesso autorizzare alcun soggetto, azienda, società o altra entità (dunque anche i produttori esterni) ad apporre o utilizzare i propri marchi sui prodotti (ma anche sui non prodotti) senza previa autorizzazione scritta del licenziante. Dal che si desume la
necessità di una preventiva approvazione del licenziante rispetto alla produzione di beni recanti il proprio marchio.’
10.1 I giudici di appello, inoltre, hanno chiarito anche l’importanza della clausola risolutiva nell’accertamento dei presupposti per l’inclusione delle royalties nel valore della merce importata ( ‘ Si rendono necessarie alcune precisazioni, anche alla luce della memoria da ultimo depositata dalla difesa. Sebbene sia vero che la risoluzione di un contratto ha effetti giuridici solo per l’avvenire, è indispensabile considerare che in questi casi si è difronte a contratti di durata che definiscono il quadro generale che regolamenta i rapporti fra le parti con riferimento ad una pluralità di ‘lotti di produzione’ e successive rivendite che si susseguono nel tempo. In questa prospettiva, peraltro, la clausola rileva non immediatamente per l’effetto giuridico in sé (che essa eventualmente produrrà se si verificheranno i presupposti), ma nell’ottica della valutazione complessiva dell’assetto dei rapporti fra le parti come elemento indicatore degli stessi e, dunque, della sussistenza di un potere del licenziante di condizionare a monte la produzione dei beni recanti il proprio marchio laddove le royalties non fossero pagate dal licenziatario. E indubbiamente se, in caso di mancato pagamento delle royalties, il licenziante ha il potere di impedire la commercializzazione dei beni recanti il proprio marchio, ha anche di conseguenza il potere di impedire che siano prodotti su richiesta e indicazione del licenziatario inadempiente. Né da questo punto di vista rileva il fatto che gli importi delle royalties siano quantificati in base ai volumi del fatturato di rivendita dei beni a terzi, perché ciò attiene esclusivamente alle modalità di calcolo degli importi dovuti, i cui meccanismi sono stabiliti dalle parti nella esplicazione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, e non alla sussistenza dell’obbligo in sé di corrispondere le royalties. In altri termini: l’obbligo di corrispondere le royalties sorge in forza del contratto, la
quantificazione degli importi dovuti a tale titolo segue i meccanismi voluti dalle parti e ben può avvenire anche a valle delle rivendite, senza che ciò impatti sul primo profilo se non per il dato quantitativo e temporale del dovuto pagamento ‘ .
10.2 Ritiene questo Collegio che la CTR abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e da quella di legittimità; sul punto deve precisarsi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime il controllo finalizzato a tutelare l’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali, costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di orientamento del licenziante sul produttore/venditore, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue; di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva.
10.3 Inoltre, come ha già affermato questa Corte (Cass. n. 24996 del 2018), non possono non rilevare le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto
di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (cfr., più di recente, Cass., 7 giugno 2023, n. 16134).
10.4 L’esame del contratto di licenza è essenziale, in quanto rappresenta una delle principali fonti di informazioni per stabilire se le royalties siano rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci importate. Tale analisi deve però avvenire tenendo conto anche dei termini del contratto di vendita e delle interrelazioni che possono esistere tra il contratto di vendita stesso e quello di licenza e ciò anche tenuto conto che sovente il contratto di vendita non menziona la necessità di pagare le royalties per le merci.
10.5 Nella specie, poi, un ulteriore ‘indicator e ‘ del potere di controllo del licenziante emerge dal contenuto della clausola contrattuale (riportata nel testo del ricorso per cassazione) di cui all ‘art. 4.2 del contratto di ‘ Sublicense agreement ‘ ( oggetto, in particolare, del quinto motivo di ricorso), secondo la quale, qualora il licenziante ritenga che i prodotti non ottemperino ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, dovrà notificare i difetti riscontrati e il licenziatario non potrà distribuire o vendere, ovvero autorizzare la distribuzione o la vendita dei prodotti in cui siano riscontrati tali difetti, fino a quando non vengano corretti in maniera ragionevolmente soddisfacente per il licenziante, eccezion fatta per i prodotti di seconda scelta.
10.6 Sul punto va ribadito come la situazione di controllo – intesa, come evidenziato in precedenza, quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento -possa rinvenirsi anche nel diritto riconosciuto al licenziante di esigere il soddisfacimento dei livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
Anche il sesto motivo è infondato.
11.1 La nullità per difetto di sottoscrizione del capo dell’Ufficio, ovvero di un funzionario da lui delegato, prevista per gli avvisi di accertamento in tema di imposte dirette e di IVA, non si applica agli atti impositivi riguardanti i dazi doganali, emessi dall’Agenzia delle dogane, per essere l’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 norme di stretta interpretazione (cfr. Cass. 14.06.2013, n. 14942; Cass. 5.09.2014, n. 18758; Cass. 10.12.2019, n. 32172; Cass. n. 7077 del 12.03.2020).
11.2 Occorre rilevare, peraltro, che in base agli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 374 del 1990 l’attività di controllo e di visita delle merci è eseguita dai funzionari doganali, sicchè gli eventuali successivi processi verbali di rettifica, predisposti in contraddittorio, sono sottoscritti dagli stessi funzionari doganali che hanno proceduto ai controlli, senza la necessità di una specifica delega.
Il ricorso va, dunque, rigettato e le ricorrenti vanno condannate, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 1.800,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024