Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32617 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32617 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
Oggetto:
Dazi – Royalties
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18681/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , rappresentate e difese da ll’avvocato NOME COGNOME (PEC: EMAIL, come da procure speciali allegate al ricorso;
– ricorrenti –
Contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 542/07/2023, depositata il 9.02.2023.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 24.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso; Sentiti, per le ricorrenti , l’avvocato NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Como accoglieva il ricorso proposto dalle società RAGIONE_SOCIALE (rappresentante doganale indiretto) e RAGIONE_SOCIALE (importatore), avverso due distinti avvisi di rettifica dell’accertamento per maggiori dazi e constatazione di illeciti doganali, emessi dall’Ufficio doganale di Como, a seguito della revisione dell’accertamento , riguardante due importazioni effettuate nel 2020 dal predetto spedizioniere doganale e dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte al licenziante, titolare dei marchio RAGIONE_SOCIALE , riguardante i capi di abbigliamento importati.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia accoglieva l’appello proposto dall ‘Agenzia delle dogane (ADM) e rigettava quello incidentale proposto dai contribuenti avverso la medesima sentenza.
Dalla sentenza impugnata si evince, per quello che qui interessa, che:
-trattandosi di controversia riguardante l’applicazione del diritto unionale, non poteva essere invocata l’estensione del giudicato esterno;
la controversia riguardava la mancata inclusione dei diritti di licenza nella base imponibile considerata per la determinazione del valore in Dogana;
-l’art. 136 del Reg. UE n. 2447/2015 stabilisce che i corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate, quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: – il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; – il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; – le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante;
anche secondo la giurisprudenza unionale i corrispettivi o diritti di licenza costituiscono una ‘condizione di vendita’ delle merci da importare, allorchè il loro pagamento venga richiesto sia al venditore che all’acquirente e vanno inclusi nel valore da dichiarare in dogana;
a tal fine non è necessario che detto valore sia già determinato al momento dell’insorgenza dell’obbligazione doganale e neppure che si riferisca alle merci importate, non essendo ciò richiesto dall’art. 71 CDU;
-dal contratto di licenza (clausola di cui all’art. 4.2) , infatti, risultava che, ‘qualora il licenziante ritenga che i prodotti non ottemperino ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, il licenziante dovrà notificare i difetti riscontrati e il licenziatario non potrà distribuire o vendere, ovvero autorizzare la distribuzione o la vendita dei prodotti in cui siano riscontrati tali difetti, fino a quando non vengano corretti in maniera ragionevolmente soddisfacente per il licenziante, eccezion fatta per i prodotti di seconda scelta’ ;
era evidente che il contratto rispondeva ‘all’esigenza della società licenziante che non solo deve realizzare profitto dalla cessione del diritto dell’uso del proprio marchio, ma soprattutto deve tutelare l’immagine del marchio stesso. Il valore oggettivo dei rispettivi
interessi – è chiaro – rende impari il rapporto tra i soggetti: il licenziatario, infatti, non ha alcuna possibilità di ottenere una diversa contrattualizzazione e, per contro di buon grado, per ottenere il diritto allo sfruttamento del marchio “famoso”, accetta il controllo diretto e totale imposto dal licenziante. Quanto innanzi esposto dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il licenziante ha il controllo diretto delle attività del licenziatario ‘ ;
-era, dunque, legittima l’applicazione dei dazi sul valore delle merci che teneva conto del valore delle royalties , essendo stata dimostrata la sussistenza della ‘condizione di vendita’;
l ‘eccezione riproposta dalle società appellate sulla nullità degli atti impositivi, per carenza di prova della delega conferita al soggetto che aveva sottoscritto gli atti impugnati, era infondata, alla luce delle disposizioni richiamate dall’Agenzia appell ante (artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 374 del 1990) che legittimano i funzionari doganali a procedere agli accertamenti e a redigere i conseguenti verbali, senza necessità di specifiche deleghe, essendo legittimati ex lege ;
Contro la suddetta decisione la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, illustrati con memoria.
L ‘ADM resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, le ricorrenti deducono la nullità della sentenza impugnata, ai sensi degli art. 372 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per contrarietà al giudicato intervenuto tra le stesse parti e relativamente alle stesse questioni, evidenziando che, successivamente al l’udienza di discussione in appello, a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione del 30.05.2023 nel procedimento R.G. n.
7048/2020, è passata in giudicato la sentenza della CTR della Lombardia n. 4717, depositata in data 19.05.2019, relativa alle medesime parti, oggetto e questioni, esplicando effetti esterni e rendendo nulla l’impugnata sentenza per contrarietà a lla stessa.
Con il secondo motivo, deducono , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 2909 cod. civ. e del ‘ principio di intangibilità del giudicato nazionale, di cui all’ordinamento dell’Unione Europea e quale elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ‘ , in quanto i giudici di appello hanno errato nel ritenere che il diritto unionale dovesse prevalere sulle norme interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione; aggiungono che sono passate in giudicato ulteriori sentenze aventi il medesimo oggetto, titolo e relative alle medesime parti della sentenza impugnata, favorevoli alle stesse odierne ricorrenti, in grado di produrre effetti esterni.
2.1 I predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono in primo luogo inammissibili per difetto di specificità e ciò a prescindere da ogni altra considerazione con riferimento alla tempestività della proposizione della relativa eccezione.
2.2 Come è stato più volte evidenziato da questa Corte, « il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il tes to integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione » (Cass. 23 giugno 2017, n. 15737), occorrendo, in particolare, il « richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo » (Cass. 8 marzo 2018, n. 5508), onere che nella specie non è stato assolto dalle ricorrenti.
2.3 I motivi sono in ogni caso infondati.
2.4 Secondo un indirizzo costante di questa Corte, il giudicato si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, anche ove ne sia solo il necessario presupposto logico (Cass. 16 maggio 2002, n. 7140); tale orientamento giurisprudenziale richiede che entrambe la cause, tra le stesse parti, abbiano ad oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico ed una di esse sia stata definita con sentenza passata in giudicato : in tal caso, infatti, l’accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, preclude l’esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (Cass. 16 maggio 2006 n. 1365; Cass. n. 11215 del 2020).
2.5 Con riferimento al caso di specie, occorre evidenziare che gli atti impugnati riguardano operazioni doganali diverse rispetto a quelle in relazione alle quali le società ricorrenti deducono la sussistenza del giudicato esterno, sicchè risulta diverso il « petitum » degli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione nelle rispettive cause.
2.6 Si tratta di circostanza ex se sufficiente ad escludere che le richiamate pronunce possano comunque spiegare rilevanza nel presente giudizio, atteso che i fatti generatori di ciascuna obbligazione doganale risultano obiettivamente differenti, sia in relazione alle circostanze di tempo e di luogo delle operazioni doganali, sia in relazione alle reali specifiche caratteristiche della merce importata non essendo consentito verificare se i prodotti oggetto della presente causa siano o meno identici a quelli oggetto delle decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. n. 2250 del 2014).
2.7 L’applicabilità della regola del giudicato di diritto interno in materia di dazi doganali, infatti, può riguardare una singola importazione o, comunque, quel (ristretto) numero di importazioni prese in considerazione dal singolo avviso di rettifica, non essendo la regola conseguente a quel giudicato suscettibile di estensione ad un numero indefinito di casi similari (Cass. n. 33095 del 16.12.2019).
2.8 Nella specie, pertanto, difetta l’identità del titolo o del rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere nelle diverse cause, attesa la oggettiva autonomia dei rapporti giuridici tributari, tra le stesse parti, che hanno costituito, rispettivamente, oggetto dei giudizi nel quale si sarebbe formato il giudicato (esterno) ed oggetto della presente controversia.
2.9 Con riferimento alla vicenda in esame, poi, non è nemmeno configurabile la questione dell’applicabilità dell’istituto del giudicato esterno con riferimento alle situazioni giuridiche di durata, in relazione alle quali il giudicato non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta in presenza di elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta assumono carattere tendenzialmente permanente. Non va dimenticato, infatti, che, nella materia doganale, questa Corte ha affermato che « In tema di sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, che postula che le violazioni siano state “commesse in periodi d’imposta diversi”, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni d’importazione o esportazione » (Cass. 21.09. 2020, n. 19633), sicchè non può ritenersi che la « diversità di periodo d’imposta » sia equivalente al compimento di singole operazioni doganali.
2.10 In ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto
« l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vin colante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione).
2.11 Né può farsi richiamo al principio, più volte enunciato in sede di legittimità, in forza del quale « se l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico -giuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e pertanto spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto (Cass., Sez. 3, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., Sez. L, 14 agosto 1999, n. 8680; Cass., Sez. 3, 29 settembre 1997, n. 9548; Cass., Sez. L, 13 maggio 1995, n. 5243; Cass., Sez. 1, 22 novembre 1990, n. 11277) » (Cass., 14 giugno 2024, 16618, in
motivazione), in quanto, per quanto prima rilevato, tale principio postula che i giudizi interessati siano fra le stesse parti e vertano sul medesimo negozio o rapporto giuridico, ancorché le finalità dei due giudizi siano diverse, evenienza che non sussiste nella fattispecie in esame.
2.12 E’ evidente, pertanto , che, in assenza di un giudicato esterno, non viene neppure in rilievo un problema di compatibilità o di contrasto tra norme europee produttive di effetti diretti e disposizioni nazionali di diritto sostanziale, quale quella di cui all’art. 2909 cod. civ.
2.13 Sul punto va in ogni caso precisato che la Corte di giustizia dell’UE ha sempre confermato il ruolo fondamentale che svolge il principio dell’autorità di cosa giudicata sia nell’ordinamento giuridico unionale che negli ordinamenti giuridici nazionali, in quanto fonte della stabilità del diritto, dei rapporti giuridici e di una buona amministrazione della giustizia (Corte giust., 3 settembre 2009, Fallimento RAGIONE_SOCIALE, C-2/08, punto 22; Corte giust., 4 marzo 2020, Telecom Italia, C-34/19, punto 64), evidenziando che la sua concreta attuazione può, in casi del tutto particolari (come, ad esempio, in tema di aiuti di Stato o di pratiche abusive in materia di IVA), essere disapplicata per rendere la fattispecie concreta compatibile con il diritto dell’Unione , in conformità ai principi di effettività e di equivalenza (cfr. Corte giust., 10 luglio 2014, COGNOME, C-213/13, punto 58; Corte giust., 18 luglio 2007, C-119/05, COGNOME; Cass. 16 dicembre 2019, n. 33095, in motivazione).
Con il terzo motivo, denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 -76 e, in particolare dell’art. 71, par. 1, lett. c), del CDU (Reg. UE 952/2013), nonché del l’art. 71 del Regolamento delegato UE 2015/2446, degli artt. 127146 e, in particolare dell’art. 136, primo e quarto comma, del Regolamento di esecuzione UE 2015/2447 e della
specifica disciplina fissata al punto 22 del TAXUD/B4/2016-IT n. 808781 e al Commento n. 11 del TAXUD/800/2002-IT, nonché degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., per non avere la CTR rilevato che nella specie non erano ravvisabili, in base all’esame dei contratti di licenza, nè gli indici elaborati dalla prassi e dalla giurisprudenza, per ritenere la sussistenza della condizione di vendita ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore in dogana, nè le condizioni previste dalla normativa unionale per l’inclu sione delle royalties nel valore in dogana; deduce, in particolare, che la clausola n. 4.2 prevede solo un controllo di qualità sui prodotti, irrilevante ai fini dell’inclusione dei diritti di licenza nel valore in dogana, in quanto si tratta di controllo tra licenziante e licenziatario, che non coinvolge il produttore, svolgendosi eventualmente solo successivamente alle importazioni.
4. Con il quarto motivo, deducono la nullità della sentenza per violazione de ll’ art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., per omesso esame della doglianza di appello incidentale, relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 22, commi 6 e 7, CDU, 11, commi 5 e 5-bis, del d.lgs n. 374 del 1990, 2 della l. n. 241 del 1990 e 23, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, e violazione degli stessi artt. 22, commi 6 e 7, CDU, 11, commi 5 e 5-bis, del d.lgs n. 374 del 1990, 2 della l. n. 241 del 1990 e 23, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., in quanto i giudici di appello hanno omesso di considerare che le ricorrenti avevano eccepito nei giudizi di merito l’inammissibilità della nuova motivazione dell’Agenzia delle dogane, fondata sull’art. 4.2 del contratto di licenza, mai invocata in sede di accertamento; precisano che la motivazione dell’atto impositivo non poteva essere integrata ex post in sede processuale, né il contenuto delle controdeduzioni nel processo tributario
ammetteva l’integrazione della pretesa impositiva oggetto di impugnazione.
Con il quinto motivo, deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nonché la violazione degli artt. 36, secondo comma, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per avere la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado deciso sulla base di elementi non rilevabili dai contratti per cui è causa; in particolare, nessuna clausola dei contratti di licenza prevedeva che: il licenziante abbia un ‘controllo diretto e totale delle attività del licenziatario’ e il giudice di appello ha omesso di motivare in ordine alle conclusioni raggiunte ovvero ha fornito sul punto una motivazione apparente.
Con il sesto motivo, lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la violazione degli artt. 17, comma 1bis del d.lgs n. 165/2001, 15, comma 7 del d.lgs. n. 78/2009, 21octies della legge n. 241/1990, 4, comma 2 dello Statuto dell’Agenzia delle dogane, approvato da ultimo in data 21.07.2021, 1, comma 3, e 4, comma 1, del Regolamento dell’Agenzia delle dogane, approvato con delibera n. 431 del 2021, 4bis , comma 2 del d.l. n. 78 del 2015, conv. dalla l. n. 125/2015, 97 Cost., in quanto i giudici di appello hanno errato nel ritenere validi i processi verbali di accertamento, pur in mancanza della prova della delega conferita dal Direttore dell’Ufficio ai funzionari che avevano sottoscritto detti atti.
Con il settimo motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 1 e 2, della l. n. 212 del 2000 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, in quanto la CTR ha omesso di considerare l’eccezione delle ricorrenti, secondo la quale
l’ADM non aveva fatto una corretta applicazione dell’art. 3.1 del contratto di licenza, in forza del quale le royalties dovevano essere calcolate sulle ‘ vendite nette ‘ o ‘ Net Sales ‘, essendo escluse da tale calcolo le vendite alle società affiliate alla RAGIONE_SOCIALE ed ai licenziatari e sub-licenziatari della licenziante RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE; deducono, per l’effetto, la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2 della l. n. 212 del 2000, in quanto la mancata indicazione di tale dato nei processi verbali aveva determinato un difetto di motivazione ed un’incertezza oggettiva della pretesa fiscale.
8. Con l’ottavo motivo, deducono, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 69 -76 e, in particolare dell’art. 71, par. 1, lett. c), del CDU (Reg. UE 952/2013), nonché dell’art. 71 del Regolamento delegato UE 2015/2446, degli artt. 127146 e, in particolare dell’art. 136 del Regolamento di esecuzione, nonché degli artt. 1456 e 1458 cod. civ., non avendo la sentenza impugnata considerato come i processi verbali di rettifica e di constatazione di illeciti doganali impugnati erano erroneamente fondati sull’a rt. 8.2 del Sublicence agreement , il quale prevede che, in caso di inadempimento della licenziataria a qualsiasi obbligazione sulla stessa gravante ai sensi del contratto di licenza, il licenziante aveva la facoltà di risolvere il medesimo contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa prevista da tale articolo, in quanto la risoluzione del contratto in base ad una clausola risolutiva espressa non è un automatismo, ma una mera facoltà della parte interessata che intenda avvalersene, e lo scioglimento del contratto (essendo quello di licenza di marchio un contratto ad esecuzione continuata o periodica) non produce effetti sulle prestazioni già eseguite; di conseguenza, l’eventuale risoluzione
non poteva rilevare rispetto alle vendite già eseguite e, ancor prima, sugli acquisti in precedenza effettuati dal produttore extra UE.
Con il nono motivo, deducono l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, discusso tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 136, comma 4, del Reg. UE 2447 del 2015, 1362 cod. civ., 70 e 71, par. 1, lett. c), CDU e 136 del Regolamento UE n. 2447 del 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l’impugnata sentenza ha omesso di considerare che i contratti prevedevano solo controlli di qualità, pacificamente irrilevanti ai fini della sussistenza della condizione di vendita, e che nei contratti di licenza era stato previsto che i capi di abbigliamento recanti marchi ‘RAGIONE_SOCIALE‘ potevano essere acquistati dalla licenziataria da qualsiasi fonte di approvvigionamento, indipendentemente dal pagamento delle royalties; lamentano, inoltre, che la CTR ha erroneamente interpretato l’art. 4.1 del contratto di licenza, che confermava quanto previsto dal precedente art. 3.2 e, cioè, che il pagamento delle royalties era indipendente dalla fornitura delle merci con incorporati i marchi ‘RAGIONE_SOCIALE‘; aggiungono che la corretta interpretazione dell’art. 4.1 portava a ritenere che lo stesso non condizionasse la vendita dell’esportatore extra UE all’importatore/licenziatario, ma riguardava la vendita della merce, successiva all’importazione, effettuata dal licenziatario a terzi, sicchè il contratto di compravendita della merce importata e il contratto di licenza del marchio erano svincolati tra loro.
Il terzo, il quinto, l’ottavo e il nono motivo, che vanno esaminati congiuntamente, riguardando tutti la questione della inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarato in dogana.
10.1 Occorre premettere che l ‘ottavo e del nono motivo sono , innanzitutto, inammissibili, in quanto formulati mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti
riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio motivazione e/o di omesso esame di fatto decisivo che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
10.2 Rileva, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità de ll’ottavo e del nono motivo, nella parte in cui risultano formulati ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053), nel cui paradigma non è, all’evidenza, inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802).
Il terzo, il quinto, l’ottavo e il nono motivo sono in ogni caso infondati.
11.1 Deve premettersi che la presente fattispecie è regolata dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione europea (CDU), e dal corrispondente Regolamento di esecuzione Reg (UE) del 24 novembre 2015, n. 2447/2015 (che hanno fatto seguito al Regolamento (CEE) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario e al Regolamento Ce del 2 luglio 1993, n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario).
11.2 L’art. 70 del vigente CDU prevede, al comma 1, la regola generale secondo la quale il valore in dogana è quello di transazione, ossia « il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci », mentre il comma successivo dispone che questo « è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate ».
11.3 Tale valore può essere adottato ove ricorrano tutte le condizioni seguenti: « a) non esistano restrizioni per la cessione o per l’utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre a una qualsiasi delle seguenti: i) restrizioni imposte o richieste dalla legge o dalle autorità pubbliche nell’Unione; ii) limitazioni dell’area geografica nella quale le merci possono essere rivendute; iii) restrizioni che non intaccano sostanzialmente il valore in dogana delle merci; b) la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o prestazioni per le quali non possa essere determinato un valore in relazione alle merci da valutare; c) nessuna parte dei proventi di qualsiasi rivendita, cessione
o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa essere operato un appropriato adeguamento; d) il compratore e il venditore non siano collegati o la relazione non abbia influenzato il prezzo » (art. 70, par. 1, del CDU).
11.4 Il prezzo effettivamente pagato o da pagare, inoltre, coincide con il « pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate » (art. 70, par. 2, del CDU).
11.5 Il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione « a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: i) le commissioni e le spese di mediazione, fatta eccezione per le commissioni di acquisto; ii) il costo dei container considerati, ai fini doganali, come formanti un tutt’uno con la merce; e iii) il costo dell’imballaggio comprendente sia la manodopera sia i materiali; b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: i) materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate; ii) utensili, matrici, stampi e oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate; iii) materie consumate durante la produzione delle merci importate; e iv) i lavori di ingegneria, di sviluppo, d’arte e di design, i piani e gli schizzi eseguiti in un paese non
membro dell’Unione e necessari per produrre le merci importate; c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; d) il valore di tutte le quote dei proventi di qualsiasi ulteriore rivendita, cessione o utilizzo delle merci importate spettanti, direttamente o indirettamente, al venditore; e) le seguenti spese fino al luogo d’introduzione delle merci nel territorio doganale dell’Unione: i) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate; e ii) le spese di carico e movimentazione connesse al trasporto delle merci importate ».
11.6 Ai sensi dell’art. 71, par. 2, CDU, poi, « Le aggiunte al prezzo effettivamente pagato o da pagare (…) sono effettuate esclusivamente sulla base di dati oggettivi e quantificabili ».
11.7 Il Reg. di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione, all’art. 136 , par. 4, precisa che « I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante » (comma 4), giudicando irrilevante il paese in cui è stabilito il destinatario del pagamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza (comma 5).
11.8 Dal suindicato quadro normativo si evince che, con specifico riferimento ai diritti di licenza, il legislatore unionale ha previsto , all’art. 71, par. 1, lett. c), CDU, tra gli elementi che devono essere addizionati
per determinare il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai fini della determinazione del valore delle merci, anche « i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
11.9 Le royalties, quindi, devono essere addizionate al valore di transazione se sono integrate tutte le seguenti condizioni: a) non sono già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; b) sono relative alle merci da valutare; e c) il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagarle come condizione per la vendita delle merci da valutare e le integrazioni di tale valore devono avvenire sulla base di dati oggettivi e quantificabili.
11.10 Ne consegue che anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.
11.11 Il valore dichiarato, invero, deve riflettere il valore economico reale della merce e, quindi, deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (CGUE, 20 dicembre 2017, Hamamatsu , in C-529/16).
11.12 In particolare, i giudici unionali hanno recentemente precisato che « Il diritto dell’Unione in materia di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi. Il valore in dogana deve quindi riflettere il valore economico reale di una merce importata e tale obiettivo deve prevalere anche quando il valore in dogana è determinato in forza di disposizioni speciali » (CGUE, 21 settembre 2023, n. 770/21) e che ‘ Sebbene un operatore economico non possa
sottrarsi al diritto dell’Unione invocando i propri obblighi contrattuali, la determinazione del valore in dogana di merci importate non può tuttavia essere stabilita in maniera astratta. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, essa trova il suo fondamento nelle condizioni in base alle quali è stata effettuata la vendita di cui trattasi, anche se queste differiscono dagli usi commerciali o possono essere considerate inabituali per il tipo di contratto considerato ‘ .. . ‘ In tal senso, al fine di valutare se il valore in dogana delle merci importate rifletta il loro valore economico reale, occorre prendere in considerazione la situazione giuridica concreta delle parti del contratto di vendita ‘ .. . ‘ Pertanto, non tener conto delle condizioni di vendita nell’ambito della determinazione del valore in dogana di tali merci sarebbe non solo contrario alle disposizioni dell’articolo 29, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, ma condurrebbe inoltre a un risultato che non consente di riflettere il valore economico reale di dette merci ‘ (CGUE, 22 aprile 2021, n. 75/20, punto 35).
11.13 Poiché con riferimento al precedente quadro normativo, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del CDC, né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento 2454/93, stabiliscono cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare e, più in particolare, quando ricorra la terza condizione sopra indicata (secondo cui l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la Corte unionale ha affermato che la nozione « condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Ha, quindi,
aggiunto, che qualora, come nel caso in esame, il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre ‘verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispet tivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ » (CGUE, 9 marzo 2017, GE Healthcare, C-173/15).
11.14 Anche questa Corte ha chiarito, sempre con riferimento alla precedente disciplina doganale, che « Per determinare il valore in dogana delle merci da importare, il prezzo effettivamente pagato o da pagare è integrato dai corrispettivi e i diritti di licenza relativi, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci stesse. Ciò sempre considerando, da un lato, che devono essere valutati una pluralità di profili specificamente concernenti ciascuna fattispecie concreta e, dall’altro, che il mero controllo di qualità non è rilevante » ( ex plurimis , Cass. n. 35359 del 1.12.2022).
11.15 Il Reg. CE n. 2454/1993, infatti, stabiliva, all’art. 157, par. 2, che «(…) quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’art. 29 codice (doganale) si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa “»; l’art. 159 specificava che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; le merci andavano commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza;
l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore. Nel caso in cui l’acquirente paga va un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, il successivo art. 160 prescriveva che «(…) le condizioni previste dall’art. 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento ».
11.16 L’art. 143 dello stesso Regolamento di esecuzione, poi, indicava le ipotesi tipizzate in cui due o più persone erano considerate legate.
Con il nuovo codice doganale si è attenuata l’esigenza di verificare l’esistenza di un ‘legame’ tra i soggetti coinvolti nelle operazioni di importazione delle merci e di pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza.
12.1 Sul punto va senz’altro condiviso l’orientamento di questa Corte, secondo il quale ‘ deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ‘ e, quindi, la nozione di controllo prevista dall’art. 127 Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass. n. 3606 del 13/02/2020).
12.2 Di conseguenza, nei rapporti trilaterali, i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se
sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario, per cui, per stabilire se ricorrono tali condizioni, è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
12.3 In tal senso si esprime il TAXUD/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
12.4 Il citato documento TAXUD del 2016, peraltro, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002 (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ).
12.5 Di conseguenza, è evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis , sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass. 16 maggio 2023, n. 13338 e Cass. 13 febbraio 2020, n. 3606).
12.6 Più in particolare, questa Corte ha evidenziato che « La eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di
abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n. 952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UERE (nuovo regolamento di esecuzione) » (Cass.30 gennaio 2020, n. 2140), concludendo che gli indicatori di cui al documento TAXUD-8002002 non hanno perso il loro valore orientativo, in quanto la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la precedente.
12.7 Per quanto riguarda la nozione del potere di controllo, è stato precisato che questo è inteso in un’accezione ampia e necessariamente casistica, essendo sufficiente anche un mero potere di orientamento (Cass. n. 8473 del 6 aprile 2018); tale ampia accezione ‘ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene’ ed ‘ utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale », avendo la Corte di giustizia, nella sentenza 7 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, citata, stabilito che questi documenti ‘ sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338).
12.8 Il predetto documento annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla
produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante (Cass., 13 settembre 2023, n. 26466, in motivazione).
12.9 Alla luce degli elementi sopra indicati, quindi i diritti di licenza devono essere pagati, come condizione della vendita delle merci importate, se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure se le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante.
12 .10 L’interprete deve, dunque, stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il
pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga, anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties .
12.11 Il già citato art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, infatti, pone in rilievo gli impegni contrattuali vincolanti assunti dall’acquirente o dal venditore, evidenziando che il criterio della «condizione di vendita» si riferisce non solo alle condizioni imposte dal o sul venditore, ma anche sull’acquirente, con la conseguenza che, al fine di stabilire se tali pagamenti debbano essere addizionati al valore delle merci occorre valutare non solo le condizioni imposte dal o al venditore, ma anche quelle imposte all’acquirente.
12.12 In base a tali elementi è stato considerato come una condizione della vendita delle merci importate il pagamento preteso dal venditore come condizione per la distribuzione esclusiva delle merci sul territorio interessato, oppure la circostanza che il venditore delle merci, altresì beneficiario del pagamento, non avrebbe ceduto le stesse, senza tale pagamento, per la loro distribuzione esclusiva su un determinato territorio; di contro, è stato ritenuto indifferente che detto pagamento dovesse essere effettuato solo per un periodo limitato di tempo (cfr. CGUE, 19 novembre 2020, causa C-775/19).
12.13 Alla medesima conclusione si perviene nelle ipotesi in cui i diritti di licenza non siano pagati al venditore, ma a soggetti terzi, essendo il terzo proprietario o licenziante dei relativi diritti. In questi casi deve, comunque, farsi riferimento all’a rt. 71, par. 1, lett. c ), CDU e all’art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, che disciplinano gli elementi fondamentali della vendita delle merci, compreso il trasferimento del titolo di proprietà e di tutti i diritti sulle merci conformemente agli accordi contrattuali, dovendosi esaminare, in tal caso, tutte le circostanze relative alla vendita e all’importazione delle
merci, inclusi i possibili collegamenti tra gli accordi di vendita e i contratti di licenza, oltre che altre informazioni relative alla vendita e all’importazione delle merci.
12.14 Dai principi sopra esposti, quindi, si evince, in sintesi, che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ». Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di licenza (cd. royalties ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si
evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
12 .15 L’ampia nozione di controllo, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, non richiede necessariamente, come si è già detto, che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato.
12.16 Può affermarsi, dunque, che la nuova disciplina consente di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, dovendosi escludere che tale circostanza abbia valore essenziale; il criterio applicabile è, invece, quello di capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza, atteso che detta condizione può essere anche implicita, quando non risulta specificato nell’ac cordo di licenza se la vendita delle merci importate sia subordinata o meno al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza.
13. Ciò posto, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha accertato la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa comunitaria per computare, nel valore in dogana delle merci importate, l’importo dei diritti di licenza, e, in particolare, la sussistenza delle condizioni implicanti un controllo dei licenzianti sulla produzione; i giudici di secondo grado, al riguardo, hanno affermato, sulla base della clausola di cui all’art. 4.2 del contratto di licenza (secondo la quale, qualora il licenziante ritenga che i prodotti non ottemperino ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, dovrà notificare i difetti riscontrati e il licenziatario non potrà distribuire o vendere, ovvero autorizzare la distribuzione o la vendita dei prodotti in cui siano riscontrati tali difetti, fino a quando non vengano corretti
in maniera ragionevolmente soddisfacente per il licenziante, eccezion fatta per i prodotti di seconda scelta) che il contratto « risponde all’esigenza della società licenziante che non solo deve realizzare profitto dalla cessione del diritto dell’uso del proprio marchio, ma soprattutto deve tutelare l’immagine del marchio stesso . Il valore oggettivo dei rispettivi interessi -è chiaro -rende impari il rapporto tra i soggetti: il licenziatario, infatti, non ha alcuna possibilità di ottenere una diversa contrattualizzazione e, per contro di buon grado, per ottenere il diritto allo sfruttamento del marchio ‘famoso’, accetta il controllo diretto e totale imposto dal licenziante. Quanto innanzi esposto dimoatra, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il licenziante ha il controllo diretto delle attività del licenziatario », essendo così dimostrata la sussistenza della ‘condizione di vendita’.
13.1 Ritiene questo Collegio che la CTR abbia fatto corretta applicazione dei principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e da quella di legittimità; sul punto deve precisarsi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime il controllo finalizzato a tutelare l’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali, costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di orientamento del licenziante sul produttore/venditore, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue; di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva;
la CGT di secondo grado, pertanto, ha correttamente considerato che una situazione di controllo – intesa, come evidenziato in precedenza, quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento -può rinvenirsi anche qualora al licenziante sia riconosciuto il diritto di esigere il soddisfacimento dei livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
13.2 Inoltre, come ha già affermato questa Corte (Cass. n. 24996 del 2018), non possono non rilevare le regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (cfr., più di recente, Cass., 7 giugno 2023, n. 16134).
13.3 L’esame del contratto di licenza è essenziale, in quanto rappresenta una delle principali fonti di informazioni per stabilire se le royalties siano rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci importate. Tale analisi deve però avvenire tenendo
conto anche dei termini del contratto di vendita e delle interrelazioni che possono esistere tra il contratto di vendita stesso e quello di licenza e ciò anche tenuto conto che sovente il contratto di vendita non menziona la necessità di pagare le royalties per le merci.
Il quarto motivo è infondato nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia, essendosi la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado implicitamente pronunciata sull’eccezione dei contribuenti, avendo ritenuto legittima la pretesa.
14.1 Il motivo è comunque infondato sotto il profilo della violazione di legge, perché l’Amministrazione finanziaria non ha modificato le motivazioni poste a fondamento dell’atto impositivo con il richiamo dell’art. 4.2 del « Sublicense agreement» , secondo il quale, qualora il licenziatario ritenga che i prodotti non ottemperino ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, il licenziatario non potrà distribuire o vendere quei prodotti, dovendosi considerare che l’avviso di accertamento aveva contestato c he le royalties erano dovute in forza di quanto convenuto con apposito « Sublicense agreement» tra il licenziatario e il licenziante e che in forza di tale contratto il pagamento delle royalties costituiva una condizione di vendita delle merci importate; si tratta, sostanzialmente, di un rilievo che integra una mera difesa, ammissibile in quanto integra una mera contestazione delle censure avanzate con il ricorso di primo grado, non introduttiva di nuovi elementi d’indagine, ma riconducibile all’originaria « causa petendi » che non si fonda, dunque, su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado e che non amplia l’indagine giudiziaria e la materia del contendere. Di conseguenza, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado non ha affatto ecceduto i confini della « causa petendi » delimitati dapprima da ll’avviso di accertamento e poi dai motivi di impugnazione formulati dalle società nel ricorso introduttivo, né è stata alterata la sostanza dell’accertamento che è
rimasto fondato sugli stessi fatti, né sono state avanzate pretese diverse, sul piano delle ragioni giustificative , da quelle recepite nell’atto impositivo.
15. Il sesto motivo è pure infondato.
15.1 La nullità per difetto di sottoscrizione del capo dell’Ufficio, ovvero di un funzionario da lui delegato, prevista per gli avvisi di accertamento in tema di imposte dirette e di IVA, non si applica agli atti impositivi riguardanti i dazi doganali, emessi dall’Agenzia delle dogane, per essere l’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 norme di stretta interpretazione (cfr. Cass. 14.06.2013, n. 14942; Cass. 5.09.2014, n. 18758; Cass. 10.12.2019, n. 32172; Cass. n. 7077 del 12.03.2020).
15.2 Occorre rilevare, peraltro, che in base agli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 374 del 1990 l’attività di controllo e di visita delle merci è eseguita dai funzionari doganali, sicchè gli eventuali successivi processi verbali di rettifica, predisposti in contraddittorio, sono sottoscritti dagli stessi funzionari doganali che hanno proceduto ai controlli, senza la necessità di una specifica delega.
Il settimo motivo è, in primo luogo, inammissibile per difetto di specificità, essendo la censura poco chiara nella sua formulazione.
16.1 Il motivo è altresì inammissibile per le stesse ragioni già indicate con riferimento all’ottavo e al nono motivo (punti 10.1 e 10.2).
16.2 Il motivo sarebbe in ogni caso infondato.
16.3 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche «per relationem», ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del
documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass. 11.09.2017, n. 21066; Cass. 11.04.2017, n. 9323; Cass. 15.04.2013, n. 131109).
16.4 Pertanto, la riproduzione del contenuto essenziale dell’atto richiamato dall’avviso di accertamento non si realizza necessariamente, con la pedissequa trascrizione delle sue parti rilevanti nel contesto dell’atto impositivo, ma anche con la semplice indicazione, in forma riassuntiva, del suo contenuto essenziale, per come apprezzato e valutato dall’Amministrazione finanziaria e, quindi, posto a sostegno della pretesa impositiva.
16.5 Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass. 5.10.2018, n. 24417); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass. 14.01.2015, n. 407; Cass. 2.07.2008, n. 18073).
16.6 Non sussiste, dunque, alcun difetto di motivazione degli atti impugnati, che contengono tutte le indicazioni necessarie alla compiuta difesa delle società ricorrenti, essendo stati correttamente riportati gli elementi rilevanti. Ne consegue che gli avvisi di accertamento sono legittimi sotto il profilo motivazionale e che la questione sollevata attiene esclusivamente (ed eventualmente) alla prova in giudizio delle affermazioni effettuate dall’Amministrazione finanziaria in sede di avvisi di accertamenti.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le ricorrenti vanno condannate, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, in solido, al pagamento, in favore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 1. 800,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024