Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32620 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32620 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
Oggetto:
Dazi – Royalties
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22232/2023 R.G. proposto da Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procure speciali allegate al controricorso (PEC: EMAIL);
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia n. 1718/05/2023, depositata il 15.05.2023.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 24.09.2024;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; Sentiti, per le ricorrenti , l’avvocato NOME COGNOME e, per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Como accoglieva il ricorso proposto dalle società RAGIONE_SOCIALE (rappresentante doganale indiretto), RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE (importatore) e RAGIONE_SOCIALE (rappresentante fiscale IVA), avverso diversi avvisi di rettifica dell’accertamento per maggiori dazi e constatazione di illeciti doganali, emessi dall’Ufficio doganale di Como, a seguito della revisione dell’accertamento , riguardante distinte importazioni effettuate nel 2019 dal predetto spedizioniere doganale e dal suindicato importatore, per la mancata inclusione, nel valore della merce dichiarato in dogana, del corrispettivo relativo alle royalties corrisposte al licenziante, titolare del marchio RAGIONE_SOCIALE , riguardante i capi di abbigliamento importati.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia rigettava l’appello proposto dall ‘Agenzia delle dogane (ADM) , osservando, per quello che qui interessa, che:
nella specie, come aveva correttamente affermato il primo giudice, le royalties non costituivano una condizione della vendita della merce importata, incorporante il marchio, per cui non dovevano essere inclusi nel valore dichiarato in dogana;
premesso che il contratto tra il produttore/venditore asiatico e l’importatrice RAGIONE_SOCIALE non prevedeva il pagamento dei diritti di licenza per l’uso del marchio RAGIONE_SOCIALE, dovuti da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, per considerare il pagamento di tali diritti come condizione della vendita sarebbe stata necessaria ‘la prova della
sussistenza di elementi utili per determinare la presenza di un controllo, anche solo di fatto, diretto o indiretto, della licenziante sul produttore/venditore asiatico’ ;
– nella specie, non solo l’Agenzia delle Dogane (cui incombeva il relativo onere) non aveva fornito alcuna dimostrazione della sussistenza di un siffatto controllo da parte della licenziante (né risultava alcun rapporto contrattuale diretto tra quest’ultima e il produttore asiatico), ma dall’esame delle clausole del contratto ( Sublicence Agreement ) con il quale la licenziante RAGIONE_SOCIALE aveva autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare i suoi marchi, si evinceva sia la più ampia libertà della licenziataria nella scelta del soggetto presso cui approvvigionarsi dei capi di abbigliamento (art. 3.2 del contratto), indipendentemente dal pagamento delle royalties (da calcolarsi, peraltro, non sul fatturato, ma sulle vendite nette effettuate dalla licenziataria ai propri clienti, con esclusione di quelle effettuate agli affiliati della RAGIONE_SOCIALE e ai licenziatari della RAGIONE_SOCIALE -v. art. 3.1), sia che l’unico potere di controllo della licenziante titolare del marchio era un mero ‘ controllo di qualità sul prodotto, come tale ‘ , ‘ non implicante un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva ‘ del produttore asiatico e sulle relative modalità (art. 4 del contratto);
– non sussisteva, pertanto, nessuna delle situazioni individuate dal Comitato del Codice doganale nel documento TAXUD/800/2002 come indicatori dell’esercizio di un controllo rilevante ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarata in dogana.
Contro la suddetta decisione l ‘ADM proponeva ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo.
La RAGIONE_SOCIALE Internazionali, la RAGIONE_SOCIALESwitzerland) RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE resistevano con controricorso, illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, l ‘ ADM deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 70, 71 e 73 del CDU, 136 RE 2447/2015 e 1362 cod. civ. , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per avere la CGT di secondo grado escluso erroneamente, dal valore della merce, dichiarato in dogana, i compensi corrisposti dalla società importatrice, a titolo di royalties , alla licenziante, sebbene gli stessi dovessero ritenersi condizione della vendita, come si evinceva da alcune clausole del contratto di licenza; rileva, in particolare, che, sebbene le royalties non fossero formalmente richieste per ogni singola importazione, il Sublicense agreeent dell’1 dicembre 2014 (con il quale la RAGIONE_SOCIALE/SCA o in breve ‘RAGIONE_SOCIALE aveva autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare, in diversi Stati, tra cui l’Italia, alcuni marchi ‘RAGIONE_SOCIALE per la loro rappresentazione su capi di abbigliamento) ne stabiliva il pagamento all’art. 3.1 nell’ambito di un rapporto continuativo tra le parti e le considerava condizione essenziale del contratto tanto da prevedere che il mancato pagamento di esse rappresentasse una causa di risoluzione del contratto medesimo (art. 8.2); all’art. 4.1 era previsto che il requisito del pagamento delle royalties doveva regolare tutte le vendite di prodotti indipendentemente dalle modalità di approvvigionamento del licenziatario, con la conseguenza che il licenziatario poteva comprare le merci da chiunque produceva e/o distribuiva merce con marchio RAGIONE_SOCIALE, ma in ogni caso doveva pagare le royalties al licenziante (o ad un terzo che poteva essere proprietario o licenziante dei diritti in questione); a seguito della risoluzione del contratto, la licenziataria cessava immediatamente dalla possibilità di commercializzare, distribuire, vendere i prodotti soggetti a licenza (art. 8.3, lett. ‘a’ e ‘b’) ; sostiene, pertanto, che le clausole previste agli artt. 4.1, 8.2 e 8.3 del contratto deponevano nel senso che il venditore non era disposto a vendere le merci senza che fosse pagato il corrispettivo del
diritto di licenza , integrando la condizione di cui all’art. 136, comma 4, lett. c) del RE 2447/2015; evidenzia, poi, che il controllo esercitato dalla licenziante sui prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE non si limitava al mero controllo di qualità, ma dalla lettura dell’art. 4 .2 si desumeva che la licenziante poteva impedire la distribuzione e la vendita di prodotti che non ottemperassero agli standard qualitativi, alle caratteristiche ed ai requisiti tecnici stabiliti dalla medesima, sicchè doveva ritenersi che que st’ultima esercitava il controllo diretto sulle attività della licenziataria; aggiunge, infine, che le royalties dovevano essere incluse nel valore da dichiarare in dogana anche quando facevano riferimento a rapporti commerciali di società appartenenti ad uno stesso gruppo e che la modalità di calcolo delle royalties non poteva essere un elemento dirimente per una concreta valutazione giuridica circa la daziabilità (o meno) delle royalties.
Preliminarmente va disattesa la prima eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dalle controricorrenti, per asserita preclusione derivante da giudicato esterno, intervenuto tra le stesse parti e per le stesse questioni, stante la definitività di diverse sentenze della CTR della Lombardia, prodotte in allegato al controricorso e con successiva memoria.
2.1 L’eccezione è in primo luogo inammissibile per difetto di specificità e ciò a prescindere da ogni considerazione sulla sua tempestività.
2.2 Come è stato più volte evidenziato da questa Corte, « il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il tes to integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione » (Cass. 23 giugno 2017, n.
15737), occorrendo, in particolare, il « richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo » (Cass. 8 marzo 2018, n. 5508), onere che nella specie non è stato assolto dalle controricorrenti.
2.3 L’eccezione è in ogni caso infondata.
2.4 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, sussiste giudicato esterno qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato; in tal caso, l’accertamento compiuto nel giudicato in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo del giudicato, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. Cass., 29 dicembre 2021, n. 41895, in motivazione; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37).
2.5 Con riferimento al caso di specie, occorre evidenziare che gli atti impugnati riguardano operazioni doganali diverse rispetto a quelle in relazione alle quali le società ricorrenti deducono la sussistenza del giudicato esterno, sicchè risulta diverso il « petitum » degli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione nelle rispettive cause.
2.6 Si tratta di circostanza ex se sufficiente ad escludere che le richiamate pronunce possano comunque spiegare rilevanza nel presente giudizio, atteso che i fatti generatori di ciascuna obbligazione doganale risultano obiettivamente differenti, sia in relazione alle circostanze di tempo e di luogo delle operazioni doganali, sia in relazione alle reali specifiche caratteristiche della merce importata non essendo consentito verificare se i prodotti oggetto della presente causa siano o meno identici a quelli oggetto delle decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. n. 2250 del 2014).
2.7 L’applicabilità della regola del giudicato di diritto interno in materia di dazi doganali, infatti, può riguardare una singola importazione o, comunque, quel (ristretto) numero di importazioni prese in considerazione dal singolo avviso di rettifica, non essendo la regola conseguente a quel giudicato suscettibile di estensione ad un numero indefinito di casi similari (Cass. n. 33095 del 16.12.2019).
2.8 Nella specie, pertanto, difetta l’identità del titolo o del rapporto dal quale derivano le pretese fatte valere nelle diverse cause, attesa la oggettiva autonomia dei rapporti giuridici tributari, tra le stesse parti, che hanno costituito, rispettivamente, oggetto dei giudizi nel quale si sarebbe formato il giudicato (esterno) ed oggetto della presente controversia.
2.9 Con riferimento alla vicenda in esame, poi, non è nemmeno configurabile la questione dell’applicabilità dell’istituto del giudicato esterno con riferimento alle situazioni giuridiche di durata, in relazione alle quali il giudicato non trova ostacolo nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta in presenza di elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta assumono carattere tendenzialmente permanente. Non va dimenticato, infatti, che, nella materia doganale, questa Corte ha affermato che « In tema di sanzioni doganali è inapplicabile il regime della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472 del 1997, che postula che le violazioni siano state “commesse in periodi d’imposta diversi”, nozione questa estranea alla materia doganale, senza che ad essa possa ritenersi equivalente il compimento delle singole operazioni d’importazione o esportazione » (Cass. 21.09. 2020, n. 19633), sicchè non può ritenersi che la « diversità di periodo d’imposta » sia equivalente al compimento di singole operazioni doganali.
2.10 In ultimo, è utile precisare che il giudicato non può riguardare comunque l’attività interpretativa delle norme di diritto, in quanto
« l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta dal Giudice, consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro Giudice, dovendosi richiamare a tale proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dall’efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 cod. civ. rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello stare decisis (cioè, del precedente giurisprudenziale vin colante) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale (cfr. Cass, 15 luglio 2016, n. 14509, Cass., 21 ottobre 2013, n. 23723) », con la conseguenza che « l’interpretazione ed individuazione della norma giuridica posta a fondamento della pronuncia -salvo che su tale pronuncia si sia formato il giudicato interno -non limitano il Giudice dell’impugnazione nel potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso concreto e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 216561, Cass. 23 dicembre 2003, n. 19679) » (cfr. Cass., 5 marzo 2024, n. 5822, in motivazione).
2.11 Né può farsi richiamo al principio, più volte enunciato in sede di legittimità, in forza del quale « se l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico -giuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e pertanto spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto (Cass., Sez. 3, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass., Sez. L, 14 agosto 1999, n. 8680; Cass., Sez. 3, 29 settembre 1997, n. 9548; Cass., Sez. L, 13 maggio 1995, n. 5243; Cass., Sez. 1, 22 novembre 1990, n. 11277) » (Cass., 14 giugno 2024, 16618, in
motivazione), in quanto, per quanto prima rilevato, tale principio postula che i giudizi interessati siano fra le stesse parti e vertano sul medesimo negozio o rapporto giuridico, ancorché le finalità dei due giudizi siano diverse, evenienza che non sussiste nella fattispecie in esame.
Anche la seconda eccezione di inammissibilità, riguardante l’asserito difetto del requisito di autosufficienza del motivo di ricorso, è infondata, atteso che la censura è circostanziata e riporta specificatamente le parti degli atti e dei documenti, rilevanti per la decisione delle questioni prospettate , nell’ambito delle quali va inquadrata la fattispecie.
Parimenti priva di rilievo è la terza eccezione di inammissibilità del motivo , in quanto l’ADM non ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di appello, ma la corretta identificazione delle nozioni giuridiche (soprattutto di quella di “condizione di vendita”), che delineano la portata precettiva delle disposizioni unionali applicate; l’inquadramento dei fatti accertati dal giudice di merito nello schema legale corrispondente si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e può, di conseguenza, formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità, sia per quel che concerne la descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni, sul piano degli effetti, conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. n. 29111 del 5/12/2017).
4.1 La ricorrente ha censurato, quindi, la sussunzione dei fatti come accertati nelle disposizioni di riferimento, in quanto sostiene che la fattispecie concreta è stata giudicata applicando non correttamente le previsioni normative di riferimento.
Ciò posto, il motivo è fondato.
5.1 Deve premettersi che la presente fattispecie è regolata dal Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (UE) del 9 ottobre 2013, n. 952/2013, istitutivo del codice doganale dell’Unione europea (CDU), e dal corrispondente Regolamento di esecuzione Reg (UE) del 24 novembre 2015, n. 2447/2015 (che hanno fatto seguito al Regolamento (CEE) n. 2913/92, del 12 ottobre 1992, istitutivo del Codice doganale comunitario e al Regolamento Ce del 2 luglio 1993, n. 2454/1993, contenente disposizioni di attuazione del codice doganale comunitario).
5.2 L’art. 70 del vigente CDU prevede, al comma 1, la regola generale secondo la quale il valore in dogana è quello di transazione, ossia « il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci », mentre il comma successivo dispone che questo « è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate ».
5.3 Tale valore può essere adottato ove ricorrano tutte le condizioni seguenti: « a) non esistano restrizioni per la cessione o per l’utilizzazione delle merci da parte del compratore, oltre a una qualsiasi delle seguenti: i) restrizioni imposte o richieste dalla legge o dalle autorità pubbliche nell’Unione; ii) limitazioni dell’area geografica nella quale le merci possono essere rivendute; iii) restrizioni che non intaccano sostanzialmente il valore in dogana delle merci; b) la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o prestazioni per le quali non possa essere determinato un valore in relazione alle merci da valutare; c) nessuna parte dei proventi di qualsiasi rivendita, cessione o utilizzazione successiva delle merci da parte del compratore ritorni, direttamente o indirettamente, al venditore, a meno che non possa
essere operato un appropriato adeguamento; d) il compratore e il venditore non siano collegati o la relazione non abbia influenzato il prezzo » (art. 70, par. 1, del CDU).
5.4 Il prezzo effettivamente pagato o da pagare, inoltre, coincide con il « pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate » (art. 70, par. 2, del CDU).
5.5 Il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione « a) i seguenti elementi, nella misura in cui sono a carico del compratore ma non inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci: i) le commissioni e le spese di mediazione, fatta eccezione per le commissioni di acquisto; ii) il costo dei container considerati, ai fini doganali, come formanti un tutt’uno con la merce; e iii) il costo dell’imballaggio comprendente sia la manodopera sia i materiali; b) il valore, attribuito in misura adeguata, dei prodotti e servizi qui di seguito elencati, qualora questi siano forniti direttamente o indirettamente dal compratore, senza spese o a costo ridotto e siano utilizzati nel corso della produzione e della vendita per l’esportazione delle merci importate, nella misura in cui detto valore non sia stato incluso nel prezzo effettivamente pagato o da pagare: i) materie, componenti, parti e elementi similari incorporati nelle merci importate; ii) utensili, matrici, stampi e oggetti similari utilizzati per la produzione delle merci importate; iii) materie consumate durante la produzione delle merci importate; e iv) i lavori di ingegneria, di sviluppo, d’arte e di design, i piani e gli schizzi eseguiti in un paese non membro dell’Unione e necessari per produrre le merci importate; c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il
compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; d) il valore di tutte le quote dei proventi di qualsiasi ulteriore rivendita, cessione o utilizzo delle merci importate spettanti, direttamente o indirettamente, al venditore; e) le seguenti spese fino al luogo d’introduzione delle merci nel territorio doganale dell’Unione: i) le spese di trasporto e di assicurazione delle merci importate; e ii) le spese di carico e movimentazione connesse al trasporto delle merci importate ».
5.6 Ai sensi dell’art. 71, par. 2, CDU, poi, « Le aggiunte al prezzo effettivamente pagato o da pagare (…) sono effettuate esclusivamente sulla base di dati oggettivi e quantificabili ».
5.7 Il Reg. di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione, all’art. 136 , par. 4, precisa che « I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante » (comma 4), giudicando irrilevante il paese in cui è stabilito il destinatario del pagamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza (comma 5).
5.8 Dal suindicato quadro normativo si evince che, con specifico riferimento ai diritti di licenza, il legislatore unionale ha previsto , all’art. 71, par. 1, lett. c), CDU, tra gli elementi che devono essere addizionati per determinare il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate ai fini della determinazione del valore delle merci,
anche « i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ».
5.9 Le royalties, quindi, devono essere addizionate al valore di transazione se sono integrate tutte le seguenti condizioni: a) non sono già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare; b) sono relative alle merci da valutare; e c) il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagarle come condizione per la vendita delle merci da valutare e le integrazioni di tale valore devono avvenire sulla base di dati oggettivi e quantificabili.
5.10 Ne consegue che anche i diritti di licenza sono destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale, qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.
5.11 Il valore dichiarato, invero, deve riflettere il valore economico reale della merce e, quindi, deve considerare tutti i fattori economicamente rilevanti (CGUE, 20 dicembre 2017, Hamamatsu , in C-529/16).
5.12 In particolare, i giudici unionali hanno recentemente precisato che « Il diritto dell’Unione in materia di valutazione doganale mira a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro che escluda l’impiego di valori in dogana arbitrari o fittizi. Il valore in dogana deve quindi riflettere il valore economico reale di una merce importata e tale obiettivo deve prevalere anche quando il valore in dogana è determinato in forza di disposizioni speciali » (CGUE, 21 settembre 2023, n. 770/21) e che ‘ Sebbene un operatore economico non possa sottrarsi al diritto dell’Unione invocando i propri obblighi contrattuali, la determinazione del valore in dogana di merci importate non può
tuttavia essere stabilita in maniera astratta. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, essa trova il suo fondamento nelle condizioni in base alle quali è stata effettuata la vendita di cui trattasi, anche se queste differiscono dagli usi commerciali o possono essere considerate inabituali per il tipo di contratto considerato ‘ .. . ‘ In tal senso, al fine di valutare se il valore in dogana delle merci importate rifletta il loro valore economico reale, occorre prendere in considerazione la situazione giuridica concreta delle parti del contratto di vendita ‘ .. . ‘ Pertanto, non tener conto delle condizioni di vendita nell’ambito della determinazione del valore in dogana di tali merci sarebbe non solo contrario alle disposizioni dell’articolo 29, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, ma condurrebbe inoltre a un risultato che non consente di riflettere il valore economico reale di dette merci ‘ (CGUE, 22 aprile 2021, n. 75/20, punto 35).
5.13 Poiché con riferimento al precedente quadro normativo, né l’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del CDC, né l’art. 157, paragrafo 2, del regolamento 2454/93, stabiliscono cosa si debba intendere per «condizione di vendita» delle merci da valutare e, più in particolare, quando ricorra la terza condizione sopra indicata (secondo cui l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la Corte unionale ha affermato che la nozione « condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore – o la persona ad esso legata – e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Ha, quindi, aggiunto, che qualora, come nel caso in esame, il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre ‘verificare se la
persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente’ » (CGUE, 9 marzo 2017, GE Healthcare, C-173/15).
5.14 Anche questa Corte ha chiarito, sempre con riferimento alla precedente disciplina doganale, che « Per determinare il valore in dogana delle merci da importare, il prezzo effettivamente pagato o da pagare è integrato dai corrispettivi e i diritti di licenza relativi, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci stesse. Ciò sempre considerando, da un lato, che devono essere valutati una pluralità di profili specificamente concernenti ciascuna fattispecie concreta e, dall’altro, che il mero controllo di qualità non è rilevante » ( ex plurimis , Cass. n. 35359 del 1.12.2022).
5.15 Il Reg. CE n. 2454/1993, infatti, stabiliva, all’art. 157, par. 2, che «(…) quando si determina il valore in dogana di merci importate in conformità delle disposizioni dell’art. 29 codice (doganale) si deve aggiungere un corrispettivo o un diritto di licenza al prezzo effettivamente pagato o pagabile soltanto se tale pagamento: – si riferisce alle merci oggetto della valutazione, e – costituisce una condizione di vendita delle merci in causa “»; l’art. 159 specificava che il relativo importo si aggiunge al prezzo effettivamente pagato o da pagare soltanto se: il corrispettivo o il diritto di licenza si riferisce a merci rivendute tal quali o formanti oggetto unicamente di lavorazioni secondarie successivamente all’importazione; le merci andavano commercializzate con il marchio di fabbrica, apposto prima o dopo l’importazione, per il quale si paga il corrispettivo o il diritto di licenza; l’acquirente non è libero di ottenere tali merci da altri fornitori non legati al venditore. Nel caso in cui l’acquirente paga va un corrispettivo
o un diritto di licenza a un terzo, il successivo art. 160 prescriveva che «(…) le condizioni previste dall’art. 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento ».
5.16 L’art. 143 dello stesso Regolamento di esecuzione, poi, indicava le ipotesi tipizzate in cui due o più persone erano considerate legate.
Con il nuovo codice doganale si è attenuata l’esigenza di verificare l’esistenza di un ‘legame’ tra i soggetti coinvolti nelle operazioni di importazione delle merci e di pagamento dei corrispettivi e diritti di licenza.
6.1 Sul punto va senz’altro condiviso l’orientamento di questa Corte, secondo il quale ‘ deve dunque concludersi che con il nuovo codice doganale l’esistenza di un collegamento fra il terzo che richiede il pagamento delle royalties e il venditore non è più, come invece previsto dal Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 157, par. 1, indispensabile, ma costituisce solo una delle condizioni, in sé sufficiente ma non necessaria per dimostrare l’obbligatorietà del pagamento delle royalties quale condizione della vendita; sicché, la nuova disciplina consente, pertanto, di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, escludendo che tale circostanza abbia valore essenziale ‘ e, quindi, la nozione di controllo prevista dal l’art. 127 Regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 « è più generica ed ampia di quella precedente e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato » (Cass. n. 3606 del 13/02/2020).
6.2 Di conseguenza, nei rapporti trilaterali, i corrispettivi e i diritti di licenza concorrono ad integrare il valore delle merci importate se sono versati in un contesto in cui il licenziante può controllare i produttori che vendono i beni al licenziatario, per cui, per stabilire se ricorrono
tali condizioni, è necessario esaminare tutti i contratti commerciali, ivi compresi i contratti di licenza.
6.3 In tal senso si esprime il TAXUD/B4/2016: « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accordi ».
6.4 Il citato documento TAXUD del 2016, peraltro, rispecchia le indicazioni del Commentario 25.1 del 2011 del World Customs Organization (WCO), che, a loro volta, sono congruenti con quelle del Taxud/800/2002 (ormai parte dell’ acquis communautaire , ossia del diritto materiale dell’Unione, con valore di soft law ).
6.5 Di conseguenza, è evidente che il documento TAXUD-800-2002 mantiene inalterato il suo valore orientativo, sia perché riferito alla disciplina contenuta nel codice doganale comunitario applicabile ratione temporis, sia perché la normativa successivamente introdotta fornisce una regolamentazione della materia che privilegia in misura più incisiva la rilevanza delle royalties pagate ai fini della determinazione del valore delle merci, sia perché anche il nuovo documento TAXUD del 2016 non si discosta dalle linee generali fondamentali già affermate (Cass. 16 maggio 2023, n. 13338 e Cass. 13 febbraio 2020, n. 3606).
6.6 Più in particolare, questa Corte ha evidenziato che « La eliminazione del documento dalla raccolta non appare conseguenza della perdita del suo valore interpretativo, bensì dell’abrogazione del CDC e del DAC, che ha conseguentemente determinato la necessità di abbandonare il vecchio documento di prassi e sostituirlo con un nuovo documento che si riferisca alla nuova normativa unionale: Reg. n.
952/2013/UE-CDU (nuovo codice doganale) e Reg. n. 2015/2447/UERE (nuovo regolamento di esecuzione) » (Cass.30 gennaio 2020, n. 2140), concludendo che gli indicatori di cui al documento TAXUD-8002002 non hanno perso il loro valore orientativo, in quanto la nuova normativa unionale ha disciplinato la materia in continuità con la precedente.
6.7 Per quanto riguarda la nozione del potere di controllo, è stato precisato che questo è inteso in un’accezione ampia e necessariamente casistica, essendo sufficiente anche un mero potere di orientamento (Cass. n. 8473 del 6 aprile 2018); tale ampia accezione ‘ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, la quale si traduce nel rilievo, anch’esso di fatto, degli elementi che definiscono il valore economico del bene’ ed ‘ utili indicatori possono essere tratti dall’esemplificazione presente nel Commento n. 11 del Comitato del codice doganale (Sezione del valore in dogana), contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull’applicazione dell’art. 32, paragrafo 1, lettera c), del codice doganale », avendo la Corte di giustizia, nella sentenza 7 marzo 2017, RAGIONE_SOCIALE, citata, stabilito che questi documenti ‘ sebbene non giuridicamente cogenti, costituiscono tuttavia strumenti importanti per garantire un’uniforme applicazione del codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l’interpretazione di detto codice’ (Cass., 16 maggio 2023, n. 13338).
6.8 Il predetto documento annovera, tra gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, tra gli altri, i seguenti: il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un
contro
llo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.; il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante (Cass., 13 settembre 2023, n. 26466, in motivazione).
6.9 Alla luce degli elementi sopra indicati, quindi i diritti di licenza devono essere pagati, come condizione della vendita delle merci importate, se il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento o il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali, oppure se le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento delle royalties a un licenziante.
6.10 L’interprete deve , dunque, stabilire se il venditore possa vendere o se il compratore possa acquistare le merci senza il pagamento di corrispettivi o diritti di licenza e, in questo, assume rilievo il contratto di licenza o altri documenti relativi all’operazione dai quali emerga,
anche in modo implicito, se la vendita delle merci importate sia o meno subordinata al pagamento delle royalties .
6.11 Il già citato art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, infatti, pone in rilievo gli impegni contrattuali vincolanti assunti dall’acquirente o dal venditore, evidenziando che il criterio della «condizione di vendita» si riferisce non solo alle condizioni imposte dal o sul venditore, ma anche sull’acquirente, con la conseguenza che, al fine di stabilire se tali pagamenti debbano essere addizionati al valore delle merci occorre valutare non solo le condizioni imposte dal o al venditore, ma anche quelle imposte all’acquirente.
6.12 In base a tali elementi è stato considerato come una condizione della vendita delle merci importate il pagamento preteso dal venditore come condizione per la distribuzione esclusiva delle merci sul territorio interessato, oppure la circostanza che il venditore delle merci, altresì beneficiario del pagamento, non avrebbe ceduto le stesse, senza tale pagamento, per la loro distribuzione esclusiva su un determinato territorio; di contro, è stato ritenuto indifferente che detto pagamento dovesse essere effettuato solo per un periodo limitato di tempo (cfr. CGUE, 19 novembre 2020, causa C-775/19).
6.13 Alla medesima conclusione si perviene nelle ipotesi in cui i diritti di licenza non siano pagati al venditore, ma a soggetti terzi, essendo il terzo proprietario o licenziante dei relativi diritti. In questi casi deve, comunque, farsi riferimento all’art. 71, par. 1, lett. c ), CDU e all’art. 136, par. 4, del Regolamento di esecuzione, che disciplinano gli elementi fondamentali della vendita delle merci, compreso il trasferimento del titolo di proprietà e di tutti i diritti sulle merci conformemente agli accordi contrattuali, dovendosi esaminare, in tal caso, tutte le circostanze relative alla vendita e all’importazione delle merci, inclusi i possibili collegamenti tra gli accordi di vendita e i
contratti di licenza, oltre che altre informazioni relative alla vendita e all’importazione delle merci.
6.14 Dai principi sopra esposti, quindi, si evince, in sintesi, che i corrispettivi o i diritti di licenza assumono rilevanza quale base imponibile e vanno considerati come «relativi alle merci da valutare» anche se non determinati al momento della conclusione del contratto di licenza o dell’insorgenza dell’obbligazione doganale. Con particolare riferimento alla terza condizione (ossia che l’acquirente sia tenuto a versare tali corrispettivi o diritti di licenza come condizione della vendita delle merci da valutare), la nozione «condizione di vendita» sta ad indicare la situazione in cui, nell’ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore -o la persona ad esso legata -e l’acquirente, l’assolvimento del corrispettivo o del diritto di licenza rivesta un’importanza tale per il venditore che, in difetto, quest’ultimo non sarebbe disposto a vendere, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Qualora (come nel caso in esame) il beneficiario delle royalties sia soggetto diverso dal venditore, occorre « verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull’acquirente, tale da poter garantire che l’importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente ». licenza (cd. royalties dell’Ufficio, non solo quando l’operazione è
Può, dunque, ritenersi che il pagamento dei corrispettivi e i diritti di ) dovuti dall’importatore, in relazione alle merci importate, costituisce una «condizione della vendita», ai fini della rilevanza degli stessi quale componente del valore della merce in dogana e, conseguentemente, dell’applicazione del potere di rettifica subordinata espressamente, nelle clausole dell’accordo di licenza, all’assolvimento di tali pagamenti, ma anche quando tale rapporto di subordinazione si evince dal tenore delle clausole contrattuali che interessano anche
diversi soggetti che possono intervenire nell’operazione medesima, quando, come nel caso in esame, il venditore è soggetto diverso dall’avente diritto alla percezione delle royalties .
6.15 L’ampia nozione di controllo, che ben si coordina con la nozione economica del valore doganale, non richiede necessariamente, come si è già detto, che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato.
6.16 Può affermarsi, dunque, che la nuova disciplina consente di includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, dovendosi escludere che tale circostanza abbia valore essenziale; il criterio applicabile è, invece, quello di capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza, atteso che detta condizione può essere anche implicita, quando non risulta specificato nell’acc ordo di licenza se la vendita delle merci importate sia subordinata o meno al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza.
Ciò posto, la sentenza impugnata ha affermato che l’ADM non aveva fornito alcuna dimostrazione della sussistenza di un controllo, anche solo di fatto, diretto o indiretto, della licenziante sul produttore/venditore asiatico e che non risultava alcun rapporto contrattuale diretto tra la licenziante e il produttore asiatico; al contrario, dall’esame delle clausole del Sublicence Agreement con il quale la licenziante RAGIONE_SOCIALE aveva autorizzato la RAGIONE_SOCIALE ad utilizzare i suoi marchi, si evinceva la più ampia libertà della licenziataria nella scelta del soggetto presso cui approvvigionarsi dei capi di abbigliamento (art. 3.2), indipendentemente dal pagamento delle royalties (da calcolarsi, peraltro, non sul fatturato, ma sulle vendite nette effettuate dalla licenziataria ai propri clienti, con esclusione di quelle effettuate agli affiliati della RAGIONE_SOCIALE e
ai licenziatari della RAGIONE_SOCIALE v. art. 3.1), per cui l’unico potere di controllo della licenziante titolare del marchio era un mero ‘ controllo di qualità sul prodotto, come tale ‘,’ non implicante un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva ‘ del produttore asiatico e sulle relative modalità (art. 4 del contratto), in quanto la società licenziante non imponeva i produttori terzi alla licenziataria che restava libera di scegliere il soggetto presso cui approvvigionarsi dei capi di abbigliamento.
7.1 Nel dare rilevanza al fatto che il contratto tra il produttore -venditore asiatico e l’importatrice RAGIONE_SOCIALE non prevedeva il pagamento dei diritti di licenza per l’uso del marchio RAGIONE_SOCIALE, dovuti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE titolare del marchio, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, ha ritenuto di considerare in modo distinto il contratto di licenza e il contratto stipulato con il produttore materiale del prodotto, pervenendo alla conclusione che per il produttore materiale del prodotto il pagamento delle royalties non aveva alcuna importanza, in quanto tale elemento non intersecava il rapporto di produzione e pagamento della merce da lui prodotta, dato che il fabbricante – venditore aveva ricevuto dal committente un ordine di realizzare prodotti le cui caratteristiche erano già nella disponibilità del committente stesso e ciò in virtù di accordi tra l’ordinante acquirente ed il titolare del diritto sul bene; secondo la sentenza impugnata, quindi, le norme contrattuali avevano messo in evidenza che i rapporti di controllo legavano unicamente il licenziante al licenziatario e non coinvolgevano il terzo produttore, né sussistevano clausole che facessero ritenere che il terzo produttore non sarebbe stato disposto a vendere se la licenziataria non avesse pagato i diritti di licenza alla licenziante.
7.2 Questa Corte ritiene che la conclusione a cui è pervenuto il giudice di secondo grado non sia in linea con i principi normativi, come interpretati dalla giurisprudenza unionale e di legittimità.
7.3 Al riguardo deve innanzitutto premettersi che le facoltà riconosciute alle licenzianti di preservare il carattere distintivo e il valore commerciale del marchio, in cui si esprime « il controllo … finalizzato alla protezione dell’immagine del licenziante nei confronti dei consumatori finali », costituiscono elementi che offrono adeguata dimostrazione dell’esistenza di un potere di orientamento del licenziante sul produttore – venditore, in relazione alla loro incisività nell’indirizzamento dell’attività di produzione e idoneità a conformare l’attività del produttore in funzione della tutela del marchio da perdite di immagine connesse a modalità di produzione non coerenti con il livello qualitativo dei prodotti che il pubblico è solito associare al marchio che li contraddistingue; di conseguenza, quel che rileva non è un controllo di mera qualità del prodotto, come tale non implicante necessariamente l’esistenza di un controllo, sia pure indiretto, sui fornitori, quanto un controllo sullo svolgimento dell’attività produttiva; la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, pertanto, ha omesso di considerare che una situazione di controllo -intesa, come evidenziato in precedenza, quale possibilità di esercizio, di diritto o di fatto, di un potere di costrizione o di orientamento -può rinvenirsi anche qualora al licenziante sia riconosciuto il diritto di esigere il soddisfacimento dei livelli di qualità normalmente associati ai prodotti commercializzati con il marchio concesso in licenza.
7.4 A tale proposito è utile richiamare quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 24996 del 10 ottobre 2018, con riferimento alle regole di esperienza proprie del rapporto di licenza: « Questo rapporto è difatti di norma connotato da penetranti poteri di controllo del titolare del marchio sul licenziatario al fine di garantire che tutti i prodotti
contrassegnati dal medesimo segno distintivo siano omogenei e funzionali (come si evince, d’altronde, anche dall’art. 8, sia pure di natura dispositiva, della direttiva n. 2008/95/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, ratione temporis applicabile). Il contratto di licenza, che pur sempre mira a salvaguardare le prerogative del licenziante, solitamente comporta di per sé che i terzi individuati per la produzione non possano immettere liberamente i prodotti sul mercato, ma debbano ritrasferirli ai distributori designati dal licenziante, ossia ai licenziatari, i quali corrispondono a costui i diritti di licenza. Risponde quindi a una massima di comune esperienza, l’applicazione della quale non è contrastata, nel caso in esame, da elementi di segno contrario, che il titolare del marchio e dei modelli riesca a controllare tutta la filiera produttiva e distributiva, massimizzando il profitto che ne deriva » (v. anche Cass. 7 giugno 2023, n. 16134).
7.5 Nel caso di specie, il giudice di appello non ha considerato l’oggettiva rilevanza di alcune clausole, quali ‘indicatori’ del potere di controllo della licenziante (quelli indicati dal documento TAXUD/800/2002) , ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore della merce dichiarata in dogana.
7.6 Se è vero che il giudice di merito è esentato dal dare conto della connessione sistematica fra le diverse clausole dei contratti di licenza quando questa non appaia rilevante ai fini di accertare il diverso significato della disposizione, è altrettanto vero che, nella specie, l’erronea interpretazione attiene a clausole (trascritte nel ricorso per cassazione) in astratto rilevanti al fine di accertare un significato della volontà contrattuale diverso da quello a cui è pervenuta la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, essendo il loro contenuto coerente (bene inteso in linea di principio perché la Corte non può sostituire la propria interpretazione a quella censurata) con la diversa
interpretazione sostenuta dall’Ufficio, in base alla quale la licenziante eserciterebbe, direttamente o indirettamente, un controllo sul produttore venditore tale da integrare il presupposto per l’inclusione dei diritti di licenza nel valore doganale delle merci importate del pagamento delle royalties come «condizione di vendita» delle merci medesime.
7.7 E’ essenziale, pertanto, procedere all’esame del contratto di licenza, che rappresenta una delle principali fonti di informazioni per stabilire se le royalties siano rilevanti ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci importate. La verifica, tuttavia, deve avvenire tenendo conto anche dei termini del contratto di vendita e delle interrelazioni che possono esistere tra il medesimo contratto di vendita e quello di licenza, posto che il contratto di vendita spesso non menziona la necessità di pagare le royalties per le merci.
7.8 A tale proposito è sufficiente segnalare che, nel caso di specie, il contratto di sub-licenza («S ublicense agreement ») prevedeva, anche se non per tutte le importazioni, il pagamento delle royalties all’importazione della merce a marchio RAGIONE_SOCIALE all’art. 3.1 e che il mancato pagamento di esse rappresentava una causa di risoluzione del contratto medesimo all’art. 8.2; in conseguenza della risoluzione del contratto, la licenziataria cessava immediatamente dalla possibilità di commercializzare, distribuire, vendere i prodotti soggetti a licenza (art. 8.3, lett. a e b); inoltre, il requisito del pagamento delle royalties regolava tutte le vendite di prodotti indipendentemente dalle modalità di approvvigionamento del Licenziatario (art. 4.1); era previsto che, qualora il licenziatario riteneva che i prodotti non ottemperassero ai propri standard qualitativi, nonché alle caratteristiche e ai requisiti tecnici, il licenziante doveva notificare i difetti riscontrati e il licenziatario non poteva distribuire o vendere,
ovvero autorizzare la distribuzione o la vendita dei prodotti in cui fossero stati riscontrati tali difetti, fino a quanto non venivano corretti in maniera ragionevolmente soddisfacente per il licenziante, eccezion fatta per i prodotti di seconda scelta (art. 4.2).
8. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del presente giudizio; in particolare, il giudice di rinvio dovrà accertare, con riferimento alle operazioni di importazione contestate, alla luce dei parametri sopra indicati e tenuto conto del contenuto negoziale sia del contratto di licenza che del contratto di vendita, se il venditore sia disposto a vendere la merce senza che sia pagato il corrispettivo dei diritti di licenza e, dunque, se il pagamento delle royalties costituisca o meno una condizione della vendita e, quindi, se sussista un potere di controllo, anche indiretto, che incida, in maniera determinante, non solo sulla qualità del prodotto, ma sull ‘ intera produzione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2024