Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32863 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32863 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16966/2023 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in GENOVA INDIRIZZO DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 200/2023 depositata il 19/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere COGNOME
Udita la P.G., in persona del Sost. P.G. NOME COGNOME che ha concluso come in atti.
Udito il legale della parte ricorrente, che ha concluso come in atti.
Udita l’Avvocatura Generale dello Stato per l’Agenzia, che ha concluso come in atti.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE, azienda specializzata nel settore del modellismo da collezione di auto di lusso, nell’ottobre 2019 importava tramite il RAGIONE_SOCIALE, in regime di rappresentanza diretta, una prima partita di ‘ modellini in miniatura materiale di plastica ‘, prodotti e venduti da RAGIONE_SOCIALE, e una seconda partita di ‘ modellini in miniatura materiale di plastica ‘, prodotti e venduti da RAGIONE_SOCIALE. L.t.d.
All’esito dei controlli eseguiti sulle due partite di merci, l’Ufficio doganale competente notificava alla MR Collection un avviso di accertamento in rettifica e un atto di contestazione sanzioni in materia di dazi doganali e IVA.
Secondo la prospettazione dell’Ufficio, ancorché i beni fossero materialmente prodotti in Paesi Extra UE (nella specie, in Cina), nondimeno, ai fini della quantificazione dei dazi e dell’IVA all’importazione, le royalties pagate ai titolari dei marchi di lusso ai fini per il relativo sfruttamento (RAGIONE_SOCIALE, Pagani), in forza di appositi contratti di licenza, si rivelavano suscettibili d’essere incluse nel valore dichiarato in dogana.
La CTP di Milano rigettava il ricorso di RAGIONE_SOCIALE
Non miglior sorte assisteva l’appello di quest’ultima, del pari respinto dalla CTR della Lombardia.
RAGIONE_SOCIALE affida il proprio ricorso per cassazione a dieci motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si contesta ‘ la nullità del procedimento e/o della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c. 1, c.p.c. n. 4, per violazione del principio della ragione più liquida applicato dal Giudice dell’appello senza far luogo alla verifica dell’impatto operativo della pronuncia sulla questione preliminare di nullità per omessa motivazione, ritualmente sollevata e pretermessa già in primo grado ‘.
Col secondo motivo si lamenta ‘ la nullità del procedimento e/o della sentenza ai sensi dell’art. 360 c. 1, c.p.c. n. 4) per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che discende dall’errata applicazione del principio della ragione più liquida, che implica l’omessa pronuncia sul primo motivo di appello ‘.
Col terzo, quarto, quinto e sesto motivo , si censura ‘ la violazione degli artt. 70 e 71 Reg. UE 952/2013 (CDU) e 136 Reg. UE 2447/2015 (RE) come interpretati dai documenti di prassi dell’Unione Europea TAXUD/800/2002 -TAXUD/B4/2016, ai sensi dell’art. 360 c. 1 c.p.c. n. 3) per aver il Giudice dell’appello tenuto in considerazione una serie di accordi tra l’esponente e i licenzianti che, invece, i documenti di prassi non considerano indicatori di un controllo dei licenzianti sui produttori, perché irrilevanti e incoerenti con la ratio stessa del controllo 3 (ossia, l’obbligo di MR di pagare le royalties, e i diritti dei licenzianti di approvare i campioni e modelli predisposti da MR, ispezionare i luoghi di produzione e approvare i produttori proposti da MR) ‘.
Col settimo e ottavo motivo si adombra ‘ l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione
tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c. 1 c.p.c., n. 5) per aver il Giudice dell’appello (come già il Giudice di prime cure) omesso di valutare e apprezzare: (i) l’esser le merci importate proprie del licenziatario e non dei licenzianti e (ii) l’inesistenza di accordi, tra Ferrari e RAGIONE_SOCIALE, sul diritto di ispezione fisica dei luoghi di produzione, circostanze che nel diritto dell’UE sono, invece, decisive ai fini della valutazione sull’inclusione delle royalties nel valore ‘.
Col nono motivo si evidenzia ‘ la nullità del procedimento e/o della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c. 1, c.p.c. n. 4), per conflitto tra motivazione e dispositivo, nel capo in cui il Giudice dell’appello, da un lato correttamente limita il diritto al recupero dell’IVA alla quota che percuote il solo maggior dazio, dall’altra rigetta l’appello e conferma i provvedimenti impugnati che invece applicano l’IVA anche sull’incremento di valore costituito dalle royalties, già assoggettate ad imposta ‘.
Col decimo motivo si assume ‘ la nullità del procedimento e/o della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c. 1, c.p.c. n. 4), per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, stante l’omessa pronuncia sul difetto di motivazione del provvedimento di irrogazione della sanzione ‘.
Il primo e il secondo motivo sono suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione e si rivelano inammissibili.
Questa Corte ha chiarito a più riprese che ‘ Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della
decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione ‘ (Cass. n. 24953 del 2020). Il giudice nomofilattico ha soggiunto: ‘ È configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività ‘ (Cass. n. 16899 del 2023). D’altronde, ‘ Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi ‘ (Cass. n. 2153 del 2020).
Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo si prestano anch’essi a un esame congiunto, che ne evidenzia la sostanziale inammissibilità.
Essi tralignano il paradigma di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., risolvendosi nella richiesta a questa Corte di una rivisitazione del merito della controversia, già sindacato puntualmente dal giudice
del gravame di merito. Le clausole contrattuali sono state esaminate e interpretate dal giudice regionale e le censure odierne mirano sottotraccia ad ottenere una più appagante loro valutazione. Tuttavia, ‘ Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione ‘ (Cass. n. 25348 del 2028). Giova anche soggiungere che l’art. 348 ter c.p.c. postula nel caso di specie un’inammissibilità dei motivi di ricorso ancor più a monte, sol che si consideri che ‘ in presenza di doppia conforme sul fatto, il ricorrente deve indicare le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto/ordinanza di inammissibilità dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 29715 del 2018). La ricorrente si limita a stigmatizzare gli approdi ricostruttivi e interpretativi del giudice d’appello, conformi a quelle del giudice di prime cure,, senza enucleare gli aspetti di diversità.
Il settimo motivo e l’ottavo motivo sono inammissibili.
La motivazione non scende al di sotto del ‘minimo costituzionale’.
La sentenza d’appello, infatti, reca a proprio supporto una trama argomentativa idonea a sorreggerla sul piano della ratio decidendi.
Mette in conto evidenziare che ‘ in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali ‘ (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il nono motivo è infondato.
In realtà, a dispetto della censura, la CTR si è limitata a confermare la maggiore IVA dovuta in rapporto all’imponibile risultato dall’incremento correlato alle royalties . Non vi è, pertanto, alcun contrasto tra dispositivo e motivazione.
Il decimo motivo è infondato.
L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo deve ritenersi soddisfatto, essendo il contribuente posto in condizione di conoscere la pretesa fiscale in tutti i suoi elementi essenziali, consistenti nelle ragioni giuridiche e nei presupposti di fatto posti a base della pretesa impositiva, avanzata nei confronti del contribuente.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24 settembre 2024.