Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1770 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1770 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2458/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO VENETO n. 810/2023 depositata il 25/08/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per le controricorrenti.
FATTI DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (quale suo rappresentante indiretto) hanno impugnato separatamente avvisi di accertamento e conseguenti atti sanzionatori relativi alla rideterminazione di d iritti doganali e di IVA, per la mancata inclusione dei diritti di licenza nel valore delle importazioni di occhiali o parti di occhiali effettuate nel 2018.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Treviso, con sentenze n. 371 e 372/2021, ha accolto parzialmente i ricorsi, confermando la ripresa concernente l’inclusione delle royalties ; ha invece accolto i ricorsi per ciò che concerne l’IVA all’importazione già corrisposta attraverso il meccanismo del reverse charge .
L’Agenzia delle dogane ha appellato le sentenze, richiedendo la riforma delle stesse nella parte in cui avevano accolto il rilievo relativo all’IVA mentre le società, a loro volta, hanno proposto appelli incidentali avverso la parte relativa all’inclusione delle royalties .
Con la sentenza in epigrafe n. 810/2023 la Corte di giustizia tributaria di secondo grado (CGT) del Veneto, riuniti i gravami, ha rigettato l’appello erariale.
La CGT ha osservato in limine che la causa aveva il medesimo oggetto del contenzioso per l’anno 2016 definito dalla CTR del Veneto con sentenza n. 451/2021 a favore dei contribuenti. Ha aggiunto, comunque, che, in aderenza alla giurisprudenza comunitaria ed alla conforme e consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’accertato assolvimento mediante
inversione contabile dell’IVA intracomunitaria elide la pretesa impositiva corrispondente.
La CGT ha accolto, invece, gli appelli incidentali delle società pronunciando l’illegittimità degli avvisi di accertamento che hanno rettificato il valore delle merci importate, includendo la daziabilità delle royalties .
La CGT ha rilevato che gli atti impugnati riguardavano importazioni relative a dodici contratti di licenza ma di questi ne era stato esaminato soltanto uno, quello relativo ai prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE; pertanto, con riguardo agli altri licenzianti (RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE), l’atto era viziato da assoluta carenza di motivazione con conseguente illegittimità delle riprese relative alle operazioni riguardanti le suddette licenze.
Con riferimento al contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE poi, la Corte ha ritenuto che non sussistessero le condizioni previste dalla norma comunitaria e dalla giurisprudenza, sia unionale che di legittimità, per la daziabilità delle royalties . Secondo la Corte le clausole evidenziate dall’Agenzia non dimostravano il controllo del licenziante sul produttore, in termini di potere di diritto o di fatto di costrizione o di orientamento.
Avverso questa sentenza l’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Hanno resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE che depositano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso che, secondo i ricorrenti, sarebbe contrario ai principi di sinteticità e chiarezza imposti dagli artt. 121
e 366 c.p.c., « posto che il ricorso di controparte si presenta confuso, disordinato e di difficile comprensione ».
1.1. Come noto, il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass. n. 37552 del 2021). In questo caso, peraltro, nonostante i frequenti refusi e una certa farraginosità dell’esposizione, condizionata anche dalla complessità della normativa e dalla pluralità dei rapporti in esame, il ricorso consente di comprendere lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza le censure mosse contro la sentenza impugnata.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 36 d. lgs. 546/1992, dovendo ritenersi apparente la motivazione della sentenza d’appello che aveva fatto rinvio ad altra sentenza d’appello (sentenza 451/2021 della CTR del Veneto) che era stata cassata con ordinanza n. 22531/2023 depositata in data 27.13.2023 della Corte di Cassazione.
2.1. Il motivo è inammissibile. Come si desume dalla superiore espositiva la CGT ha citato il precedente favorevole ai contribuenti ma ha anche reso una propria motivazione sul gravame, cosicché la parte censurata rappresenta mero obiter dictum e come tale non impugnabile per cassazione; infatti, secondo consolidato principio espresso da questa Corte, « In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione» (tra le molte, Cass. n. 22380 del 2014).
Il secondo motivo si compone di due distinte censure.
3.1. Con la prima, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3 c.p.c., rubricata « IVA sulle royalties, assolta mediante il meccanismo contabile del reverse charge: Errore di diritto (): violazione della sesta Direttiva comunitaria n. 77/388, modificata dalla direttiva n. 2006/18, e dell’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972 e art 2697 del codice civile », si lamenta la mancata prova da parte della NOME dell’assolvimento della maggiore IVA all’importazione mediante autofatturazione. Secondo la ricorrente, le autofatture presentate dalla RAGIONE_SOCIALE non provavano che fosse inclusa in esse anche quell’IVA all’importazione relativa alle dichiarazioni doganali contestate con gli atti impugnati, in quanto – come ammesso dalla stessa controparte l’IVA versata con le autofatture comprendeva tutti i prodotti venduti dalla controparte (riferiti a diversi marchi), inclusi gli acquisti da fornitori italiani e da fornitori stabiliti in altri paesi europei.
3.2. Con la seconda censura , in relazione agli artt. 360 comma 1 n. 4 e 132 c.p.c., sotto la rubrica « IVA all’importazione calcolata sul maggior dazio» si deduce la nullità della sentenza impugnata, la cui motivazione sarebbe al di sotto del minimo costituzionale,
laddove la pronuncia si era limitata a riferirsi genericamente ad una prova assolta dalla documentazione in atti in ordine all’IVA all’importazione mediante autofatturazione.
3.3. Il motivo è inammissibile, quanto alla prima censura, ed infondato quanto alla seconda.
3.3.1. La censura di violazione di legge è inammissibile in quanto tende in realtà a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dalla CGT la quale ha ritenuto, con apprezzamento in fatto incensurabile nel giudizio di legittimità, che « Nel presente caso la COGNOME, con la documentazione depositata in atti, ha dato prova di aver assolto l’IVA attraverso il meccanismo del ‘reverse charge’». Come noto, in linea generale, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019).
3.3.2. Quanto al vizio assoluto di motivazione, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento). In questo caso, la motivazione, pur nella sua estrema sinteticità, esplicita le ragioni della decisione, fondata sulla raggiunta prova dell’assolvimento dell’IVA.
Con il terzo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « Violazione degli artt 3 co 1 L 241/90 impropriamente applicato e 16 dlgs 472/97, 11 c0 5 bis dlgs 374/90» (sic) , censurandosi la sentenza impugnata che ha annullato per difetto di motivazione gli avvisi doganali e gli atti di irrogazione delle sanzioni, con riguardo alle operazioni con licenzianti diversi dalla RAGIONE_SOCIALE, perché mancanti di esplicazioni in ordine alle clausole contrattuali che giustificavano l’addizione delle royalties al valore di transazione. Secondo la ricorrente, invece, non sussisteva alcun vizio motivazionale perché la causale delle riprese fiscali era stata indicata ed erano stati allegati tutti i relativi contratti di licenza.
4.1. Il motivo è ammissibile perché riporta elementi sufficienti ad individuare il contenuto della doglianza e a consentire la
decisione senza dover scrutinare gli atti di causa rispettando il principio di autosufficienza (Cass. n. 158 del 2016), che non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass. sez. un. n. 8950 del 2022); la doglianza è altresì fondata.
4.2. Invero, la motivazione degli atti tributari esige – oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della pretesa soltanto l’indicazione di fatti astrattamente giustificativi, idonei a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ufficio nell’eventuale fase contenziosa, restando affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti medesimi e la loro idoneità a sostenere la pretesa impositiva, mentre non è necessaria la formulazione delle argomentazioni giuridiche a sostegno dell’atto, né la valutazione critica degli elementi acquisiti, restando la relativa problematica influente nel giudizio d’impugnazione al diverso fine dell’indagine sul fondamento della pretesa impositiva (Cass. n. 14700 del 2001; Cass. n. 23615 del 2011; Cass. n. 28061 del 2017, in motivazione; Cass. n. 5645 del 2020; Cass. n. 6063 del 2020 in motivazione).
4.3. Né serve osservare che la ripresa dei diritti di licenza richiede l’esame « di tutti gli elementi legati alla vendita e all’importazione delle merci, inclusi gli obblighi contrattuali e giuridici delle parti nonché altre informazioni pertinenti » (TAXUD 28 aprile 2016, B4 808781, in www.ec.europa.eu) ovvero che si deve tener conto di tutti gli elementi rilevanti, compresi i rapporti giuridici e di fatto tra i soggetti coinvolti, come emergenti dagli accordi di licenza (v., per esempio, Corte di Giustizia, 9 luglio 2020, C-76/19, in www.curia.eu ), con un’indagine ‘ necessariamente casistica ‘, la quale non può prescindere da un attento esame dei contratti di licenza. ( ex pluribus , Cass., n. 8473 del 2018; Cass., n. 14547 del 2018; Cass., n. 12147 del 2019; Cass., n. 14994 del 2019; Cass., nn. 34607, 34608, 34610, 34611 del 2019; Cass., n.
10687 del 2020; Cass., nn. 3593, 3594 e 3595 del 2020). Bisogna tener ben distinto, infatti, il profilo della motivazione dell’atto impositivo, requisito formale di validità, da quello della prova della pretesa tributaria, disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria da applicarsi nello svolgimento del giudizio (Cass. n. 15595 del 2020; Cass. n. 8399 del 2013). Come sopra osservato, la motivazione serve a delimitare l’ambito delle ragioni e dei fatti su cui si fonda la pretesa ed entro il quale si svolgerà, nel giudizio di impugnazione, l’accertamento dei fatti stessi e la loro idoneità a fondare la pretesa. Pertanto, nella fase contenziosa e nel contraddittorio tra le parti trova spazio l’indagine sul contenuto degli accordi contrattuali, a base della pretesa impositiva, finalizzata a verificare se sussistano elementi che possano far emergere un legame tra licenziante e fornitore estero, idoneo a qualificare il pagamento dei diritti di licenza come condizione di vendita delle merci fornite dal produttore.
4.4. Del resto, non erano precluse in appello le deduzioni dell’Agenzia che, vittoriosa in primo grado sulla questione relativa alla royalties , solo in sede di gravame aveva specificato, sulla scorta dei contratti già allegati agli atti impugnati o ai PVC, gli elementi dai quali desumere la ricorrenza dei presupposti per l’inclusione dei diritti di licenza nel valore daziario, in risposta all’appello delle contribuenti. Infatti, nel processo tributario il divieto di ultrapetizione e quello di proporre in appello nuove eccezioni (non rilevabili d’ufficio) posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, riguarda le eccezioni in senso tecnico e non le mere argomentazioni difensive (Cass. n. 2413 del 2021) e non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezione in senso tecnico (Cass. n. 14486 del 2013); d’altro
canto, non costituiscono novità le difese dell’Amministrazione finanziaria che rientrano nei presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della pretesa oggetto di ricorso i (Cass. n. 26214 del 2024).
5. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « violazione art 70 e 71 c cdu,127 e 136 reg 2447.15 e del Commento TAXUD 800/2002 », per non essersi ritenuti sussistenti i presupposti per l’aggiunta delle royalties dovute al licenziante al valore delle merci importate; secondo la ricorrente ricorrono , sulla scorta dell’esame dei contratti di licenza prodotti, i criteri di cui al commento TAXUD 800 del 2002 e successive modifiche e integrazioni che consentono di individuare un potere di ‘controllo’ d el licenziante anche sui produttori: il diritto di approvare la scelta del fornitore; il diritto di approvazione scritta di tutte le idee, creazioni e modelli tridimensionali che devono essere usati su o in connessione con gli articoli concessi in licenza ; il diritto di richiedere modifiche di qualsivoglia articolo licenziato, materiale promozionale o articolo di imballaggio precedentemente approvato dal licenziante; il diritto di ispezionare gli stabilimenti utilizzati dal licenziatario, dai suoi subappaltatori e fornitori collegati alla produzione, allo stoccaggio o alla distribuzione dei prodotti e di esaminare i prodotti in fase di lavorazione; il potere di decidere a chi il produttore può vendere le merci o imporre delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; il diritto di esaminare e di fare copie o estratti di libri contabili e registri di licenzianti e produttori.
6. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « Violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 70-71 Reg. UE n. 952/2013 (Codice doganale Unionale), art. 136 del Reg. Esec. (Reg. CE n. 2015/2447)», perché la CGT ha ritenuto l’insussistenza del ‘controllo’ e delle condizioni legittimanti la imponibilità delle royalties riferite al contratto di licenza con la
RAGIONE_SOCIALE; la ricorrente evidenzia che secondo l’art. 136, par. 4, lett. c) del Regolamento di esecuzione del CDU, ai fini della imponibilità delle royalties , è sufficiente che sussista l’impossibilit à di vendere/acquistare le merci senza il pagamento dei diritti di licenza; in questo caso, era attribuito alla licenziante il diritto di risolvere il contratto di licenza nel caso in cui «la licenziataria non adempia al pagamento delle royalties e/o minimo garantito entro 15 giorno dal ricevimento della relativa diffida ad adempiere della licenziante … », con conseguente divieto di produrre, importare e commercializzare la merce oggetto di licenza ed, in generale, di usare il marchio RAGIONE_SOCIALE; inoltre, nelle clausole del contratto RAGIONE_SOCIALE si riscontrano vari indicatori, ulteriori espressioni di un penetrante potere di controllo della licenziante e che giustificano l’inclusione delle royalties nel valore in dogana.
Il quarto motivo è ammissibile – perché, anche in questo caso, la farraginosità dell’esposizione, denunziata dalle controricorrenti, non impedisce la piena comprensione della doglianza -e può essere esaminato unitamente al quinto motivo; entrambi sono fondati.
Premesso che si applicano, ratione temporis , il nuovo Codice doganale unionale (CDU – Regolamento n. 952/2013/UE) e il corrispondente Regolamento di esecuzione (Regolamento n. 2015/2447/UE), l’art. 70 del CDU pone, al primo paragrafo, la regola generale secondo cui il valore in dogana è quello di transazione, ossia «i l prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci », mentre il comma successivo dispone che questo « è il pagamento totale che è stato o deve essere effettuato dal compratore nei confronti del venditore, o dal compratore a una terza parte, a beneficio del venditore, per le merci importate, e comprende tutti i pagamenti che sono stati o devono essere effettuati, come condizione della vendita delle merci importate ». L’art. 129, par. 1, del Reg. es. precisa che il prezzo « comprende la
totalità dei pagamenti eseguiti o da eseguire come condizione della vendita delle merci importate dal compratore a una delle seguenti persone: a) il venditore; b) un terzo a beneficio del venditore; c) un terzo collegato al venditore; d) un terzo quando il pagamento a quest’ultimo è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore» e che «i pagamenti possono essere fatti, per via diretta o indiretta ».
8.1. Il successivo art. 71 individua tra gli elementi da includere nel valore di transazione « c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore, direttamente o indirettamente, è tenuto a pagare come condizione per la vendita delle merci da valutare, nella misura in cui detti corrispettivi e diritti di licenza non siano stati inclusi nel prezzo effettivamente pagato o da pagare ». L’art. 136, par. 4, del Reg. es. aggiunge che « I corrispettivi e i diritti di licenza sono considerati pagati come condizione della vendita delle merci importate quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) il venditore o una persona ad esso collegata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento; b) il pagamento da parte dell’acquirente è effettuato per soddisfare un obbligo del venditore, conformemente agli obblighi contrattuali; c) le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza a un licenziante ».
8.2. Nell’ipotesi prevista dall’art. 136 , par. 4, lett a), cit., il venditore deve essere ‘legato’ al licenziante: l’art. 127 dello stesso Regolamento di esecuzione prevede, ai fini della determinazione del valore in dogana delle merci, che « due persone sono considerate legate se è soddisfatta una delle ..condizioni» ivi elencate, tra le quali quella secondo cui « l’una controlla direttamente o indirettamente l’altra » (par. 1 lett. e) e aggiunge che « si ritiene che una parte controlli l’altra quando la prima è in grado, di diritto o di fatto, di imporre orientamenti alla seconda » (par. 3). Si è osservato che una siffatta locuzione di ‘controllo’ è più generica ed
ampia di quella precedente, sotto il vigore del Regolamento (CEE) n. 2913/92 (CDC) e del Regolamento (CEE) n. 2454/93 (DAC), e non richiede necessariamente che il potere di orientamento investa la totalità delle attività del soggetto controllato (Cass. n. 10685 del 2020). Ciò significa che anche il TAXUD/800/2002 può mantenere il suo valore orientativo anche sotto la vigenza del CDU (Cass. n. 22761 del 2019), laddove indica gli elementi utili per determinare la presenza di un controllo, trai quali i seguenti: – il licenziante sceglie il produttore e lo impone all’acquirente; – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione); – il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all’acquirente; – il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti; – il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l’importatore/l’acquirente rivende le merci; – il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc. -il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti; – il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre; – il licenziante non autorizza l’acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell’importatore; – il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante; – le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica); – le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.
8.3. Però, nello ‘scenario a tre parti’, in cui il licenziante è un soggetto diverso dal venditore, la nuova disciplina consente di
includere le royalties nel valore delle merci anche in assenza di un collegamento tra il venditore e il licenziante, che non è più indispensabile come previsto invece dagli artt. 157 e 160 DAC sotto la vigenza del CDC (« Qualora l’acquirente paghi un corrispettivo o un diritto di licenza a un terzo, le condizioni previste dall’articolo 157, paragrafo 2 si considerano soddisfatte solo se il venditore o una persona ad esso legata chiede all’acquirente di effettuare tale pagamento »). In particolare, con riguardo alla terza ipotesi di cui all’art. 136 , par. 4, lett. c) del Regolamento di esecuzione, la previsione in essa contenuta fa riferimento non soltanto al venditore ma anche all’acquirente, stabilendo che i diritti di licenza costituiscono condizioni della vendita quando le merci non possono essere vendute all’acquirente o da questo acquistate senza versamento dei corrispettivi o dei diritti di licenza al licenziante. Secondo TAXUD/B4/2016 « il criterio applicabile è capire se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza. La condizione può essere implicita o esplicita. In alcuni casi sarà specificato nell’accordo di licenza se la vendita delle merci importate è subordinato al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza. Tuttavia, non è richiesto che ciò debba essere precisato negli accord i». Per stabilire se il valore in dogana debba o meno essere integrato dalle royalties deve verificarsi se il venditore può vendere o se il compratore può comprare le merci senza pagare royalties o diritti di licenza ma la sussistenza di tale condizione non deve necessariamente essere esplicita, potendo al contrario risultare anche in modo implicito. Ciò significa che la mancata specificazione, nell’accordo di licenza, in merito alla circostanza di subordinare la vendita delle merci importate al pagamento di un corrispettivo o di un diritto di licenza, non esclude di per sé che tali corrispettivi debbano integrare il valore in dogana. Ricorre, pertanto, ‘condizione di vendita’ implicita quando, in caso di
mancato pagamento delle royalties da parte del licenziatario, il contratto di licenza preveda che il fornitore non possa più vendere la merce all’importatore o quest’ultimo non possa più acquistarla.
8.4. Per tale indagine soccorre il documento TAXUD/B4/2016 che fornisce linee orientative più sintetiche correlate al nuovo codice doganale, senza discostarsi da quelle generali del precedente TAXUD/800/2002 (Cass. n. 22761 del 2019), e rimanda al Commentario n. 25.1 del 2011 del Comitato tecnico sul valore in dogana dell’OMD ( World Customs Organization ) che mette a disposizione una lista (non-esaustiva) di fattori che possono essere presi in considerazione nel determinare se il pagamento di un qualsivoglia importo per royalties o per diritti di licenza costituisca o meno la condizione di vendita delle merci importate: – riferimento del contratto di vendita o dei documenti correlati ai diritti di licenza; – riferimento nell’accordo di licenza alla vendita di merci; previsione della risoluzione del contratto di vendita quale conseguenza di un inadempimento del contratto di licenza o del mancato pagamento dei diritti di licenza; – inserimento nell’accordo di licenza di una clausola che inibisca al produttore di vendere i beni che incorporano la proprietà intellettuale del licenziante nel caso di mancato pagamento dei relativi corrispettivi; – inserimento nell’accordo di licenza di clausole che consentano al licenziante di gestire la produzione e la vendita.
8.5. Ciò posto, la ricorrente ha evidenziato, con riferimento a specifiche clausole dei singoli contratti, elementi indicativi di un potere di controllo del licenziante -rilevante anche sotto la vigenza del CDU, in particolare al fine di individuare la condizione di cui all’art. 136 , par. 4, lett. a) (v. par. 8.2.) – seguendo la consolidata impostazione di questa Corte elaborata sotto il vigore del CDC secondo cui « deve tenersi conto, oltre che del valore economico reale della merce importata, anche dei diritti di licenza, purché non inclusi nel prezzo, riferiti alla suddetta merce e dovuti quale
condizione per la vendita di quest’ultima, rilevando per la sussistenza di tale ultimo presupposto, indipendentemente da un’espressa previsione tra le parti, il fatto che il licenziante sia in grado di esercitare poteri di controllo e orientamento, di fatto o di diritto, anche su singoli segmenti del processo produttivo, come quello dell’approvazione preventiva dei fornitori scelti dal licenziatario » (Cass. n. 10685 del 2020; Cass. 33119 del 2019).
8.6. Con riguardo all’unico contratto esaminato, quello relativo ai prodotti a marchio RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata ha escluso l’imponibilità delle relative royalties svalutando il rilievo delle clausole contrattuali evidenziate dall’Ufficio, osservando che quelle che prevedono l’approvazione dei campioni di preproduzione e la conformità dei prodotti licenziati rappresentano un mero ‘controllo sulla qualità’ dei prodotti, non definibile come un potere di costrizione o di controllo vincolante per la struttura produttiva o i modelli organizzativi del produttore, mentre la clausola risolutiva del contratto di licenza « si risolve in una normale clausola commerciale che, in assenza del pagamento, prevede la risoluzione del rapporto sulla fattispecie di ogni generale contratto fra società fornitrice ed acquirente, secondo la normativa civilistica ». Peraltro, da un lato, è mancata una analisi complessiva e unitaria del contratto (v. par. 4.3) che, come evidenziato dalla ricorrente, rivela clausole che prevedono l’intervento della licenziante, anche attraverso la sua preventiva approvazione scritta, sulle diverse fasi del ciclo produttivo, prima della produzione, durante la produzione e prima della vendita; dall’altro, con riguardo alla clausola risolutiva relativa al contratto tra licenziante e licenziatario in caso di mancato pagamento delle royalties , specificamente considerata dal Commentario 25.1 tra i fattori da prendere in esame, è mancata ogni considerazione « in punto di possibilità o meno di prosecuzione del rapporto tra loro e di perdurante o meno possibilità per la licenziataria di seguitare ad utilizzare il marchio
e/o disporre delle merci su cui esso e stato, o avrebbe dovuto essere, apposto» (Cass. n. 24436 del 2023); tale clausola, infatti, implicando l’impossibilità di vendere/acquistare le merci senza il pagamento dei diritti di licenza può rilevare in relazione alla condizione di cui all’art. 136, par. 4, lett. c) del Reg. es.
Conclusivamente, accolti il terzo, quarto e quinto motivo, rigettati il primo e il secondo, la sentenza deve essere cassata con rinvio al giudice del merito.
p.q.m.
accoglie il terzo, quarto e quinto motivo, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Roma 25 settembre 2024 Il Consigliere estensore Il Presidente
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