Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13880 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13880 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7348/2024 proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: studiolegaledigravioEMAILpec.it)
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -RISCOSSIONE in persona del Presidente pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILmailcertEMAILavvocaturastatoEMAIL)
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 5393/12/23 depositata in data 29/09/2023, non notificata;
Oggetto: notifica cartella a mezzo PEC
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell’adunanza camerale del 23/04/2025;
Rilevato che:
-alla società odierna ricorrente era notificata, a mezzo PEC, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA per un importo complessivo di euro 131.901,89: detta cartella di pagamento risultava emessa a seguito del controllo modello IVA anno 2013;
-la contribuente impugnava tale atto;
-la CTP rigettava il ricorso; appellava la società;
-con la sentenza oggetto di ricorso di fronte a questa Corte il giudice dell’appello ha confermato la statuizione di primo grado;
-ricorre la società contribuente con atto affidato a otto motivi, illustrato con successiva memoria;
-il Riscossore resiste con controricorso;
-il Consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata del ricorso ex art. 380 bis c.p.c. a fronte della quale parte ricorrente ha chiesto la decisione del Collegio;
Considerato che:
-il primo motivo si incentra sulla nullità della sentenza per violazione dell’art. 1, comma 197, della Legge 197 del 29/12/2022, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 e 4 c.p.c.; secondo parte ricorrente, il giudice del merito erroneamente non avrebbe sospeso il processo, così come prevede espressamente la legge e avrebbe quindi trattato il ricorso in data 19/09/2023, depositando la sentenza il 29/09/2023, impedendo al contribuente di aderire alla definizione agevolata cosiddetta ‘Rottamazione quater’;
-il motivo è infondato, avendo la CTR accertato in fatto che ‘il 21 giugno 2023 l’appellante presentava istanza di sospensione al
fine di avvalersi della normativa in materia di transazione di liti fiscali pendenti prevista dalla legge 197/2022. All’udienza dell’11 luglio 2023 è stata emessa ordinanza per richiedere all’appellante di depositare la domanda di definizione agevolata… Parte appellante non ha adempiuto a tale onere di deposito, né comunque risulta che abbia presentato la domanda di definizione agevolata.’;
-dalla stessa prospettazione della ricorrente e dalla documentazione dalla stessa prodotta a questa Corte risulta che in data 21 giugno 2023 la società contribuente ha depositato presso il giudice dell’appello l’istanza di sospensione del giudizio ex L. 197 del 2022, istanza consistente nella mera richiesta di sospensione, priva di alcuna documentazione attestante la presentazione della domanda di ammissione della definizione presso l’Ufficio , risultata peraltro diretta ad accedere alla cd. procedura di rottamazione; orbene , l’art.4 del d.L. n. 51 del 2023, convertito con modificazioni dalla Legge n. 87 del 2023, aveva previsto il differimento dal 30 aprile al 30 giugno 2023 del termine per la presentazione della domanda di adesione alla Definizione agevolata (c.d. Rottamazione-quater) prevista dalla sunnominata Legge n. 197 del 2022; in forza dell’art. 1 c. 235 della medesima L. n. 197 del 2022, applicabile alla presente fattispecie, trattandosi qui di debiti tributari contenuti nei carichi affidati all’Agent e della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022, per accedere alla definizione in argomento il contribuente era tenuto a manifestare all’agente della riscossione la sua volontà di procedere alla definizione di cui al comma 231 rendendo, entro il 30 giugno 2023, apposita dichiarazione, con le modalità, esclusivamente telematiche pubblicate nel sito internet del riscossore; in tale dichiarazione
il debitore avrebbe anche dovuto scegliere il numero di rate nel quale intendeva effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 232;
-non trova quindi applicazione, nel presente giudizio, l’art. 1 c. 197 della L. 197 del 2022, invocato da parte ricorrente, secondo il quale ‘le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta al giudice, dichiarando di volersi avvalere della definizione agevolata. In tal caso il processo è sospeso fino al 10 ottobre 2023 ed entro la stessa data il contribuente ha l’onere di depositare, presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia, copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata’; tale soprariportata previsione è diretta, infatti, unicamente ad altre controversie, come individuate dall’art. 186 della richiamata L. 197 del 2022, al comma 1, aventi per oggetto pretese tributaria non ancora iscritte a ruolo;
-in primo luogo, quindi, da quanto sopra illustrato deriva che nessuna sospensione del giudizio sino al 10 ottobre 2023 andava disposta dal giudice di appello;
-in secondo luogo, come ha accertato in fatto la sentenza di appello, la contribuente non ha mai provato -depositando compia della domanda di ammissione inviata all’Ufficio di avere aderito alla definizione c.d. ‘rottamazione quater’;
-è chiaro quindi che l’eventuale pregiudizio denunciato nel motivo è dipeso, semmai, unicamente dall’inerzia della parte ricorrente, la quale, pur avendo ottenuto termine per il deposito della domanda di ammissione alla definizione in argomento, non vi ha concretamente provveduto; da un lato allora non andava disposta alcuna sospensione del giudizio di appello, non
spettando ciò in forza del differente oggetto dell’atto contestato in giudizio; dall’altro l’inerzia del contribuente, quanto all’accesso alla c.d. ‘rottamazione quater’ non può che avere le conseguenze che da ciò derivano sulla posizione dello stesso;
-il secondo motivo deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’artt. 47 e 52 del d. Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 19, comma 2, del d. Lgs. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c. per non avere la pronuncia di merito riconosciuto la tutela cautelare consistente nella sospensione sia dell’atto impugnato sia della sentenza di primo grado;
-il motivo è manifestamente infondato, alla luce della giurisprudenza in termini di questa Corte (Cass. n. 8510/2010 e successivamente, conforme, Cass. n. 6911/2013) secondo la quale non viola il diritto di difesa il giudice che, senza ritardo, decide il merito della causa tralasciando di decidere sull’istanza cautelare. Invero, il d. Lgs. n. 546 del 1992, art. 47 che la ricorrente pretende violato, stabilisce al settimo comma che “gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado”. Sicche non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza cautelare che, seppure fosse stata favorevole, sarebbe rimasta comunque travolta dalla decisione di merito; analoghe considerazioni valgono per la mancata decisione sull’istanza di sospensione della sentenza di primo grado, anch’essa destinata ad esser sostituita dalla sentenza di appello;
-il terzo motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 11 del d. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c., per non avere i giudici dell’appello rilevato la violazione da parte dell’Agenzia delle Entrate –
Riscossione (in seguito anche ADER) dell’art. 11 del d. Lgs. n. 546 del 1992, essendosi la stessa costituita in giudizio dando procura ad un avvocato esterno del libero foro;
-il motivo è manifestamente infondato;
-questa Corte costantemente afferma (tra molte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31241 del 29/11/2019; conforme Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24967 del 19/08/2022) che per la difesa e la rappresentanza in giudizio, l’Agenzia delle Entrate e della Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di farsi rappresentare anche da propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti dalla convenzione intervenuta con la stessa come ad essa riservati, potendo evitarla soltanto nelle ipotesi di conflitto oppure alle condizioni di cui art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933 (cioè con apposita, motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza) oppure in caso di indisponibilità dell’Avvocatura erariale; quando, invece, la convenzione non riservi all’Avvocatura erariale la difesa e la rappresentanza in giudizio, non è richiesta l’adozione di apposita delibera o alcuna altra formalità per ricorrere al patrocinio a mezzo di avvocati del libero foro, da scegliere nel rispetto dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 dell’art. 1 del d.L. n. 193 del 2016 e dei principi del codice dei contratti pubblici;
-conseguentemente, in modo legittimo quanto alla sua rappresentanza e difesa il riscossore ha partecipato al giudizio di merito;
-il quarto motivo lamenta la violazione dell’art. 2697 e dell’art. 7, comma 5 bis, del d. Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente, ADER
-diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata non ha dato prova in entrambi i gradi di giudizio della regolare notifica, nei modi e termini di legge della comunicazione precedente la notifica della cartella predisposta dall’Ufficio Territoriale;
-il motivo è inammissibile;
-sul punto, la CTR ha accertato che in fatto, dandone conto in modo chiaro in motivazione, che ‘il controllo automatizzato deriva dalla decadenza del beneficio della rateazione, a seguito del mancato versamento della settima rata da parte del contribuente’; pertanto, la Corte di merito ha rilevato in fatto la avvenuta conoscenza dell’atto prodromico alla cartella impugnata da parte del contribuente, che non solo ne conosceva l’esistenza e il contenuto, ma che a riprova di tale effettiva conoscenza – ne ha anche chiesto la rateizzazione;
-il quinto motivo si appunta sulla nullità dell’atto impugnato per mancata indicazione delle norme di legge relativi agli interessi e alle sanzioni e la metodica di calcolo, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c.;
-il motivo risulta manifestamente infondato, sia quanto alle modalità di calcolo degli interessi (in termini tra molte Cass. 14811/2024) sia quanto alle modalità di calcolo delle sanzioni (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 6812 del 08/03/2019);
-con riguardo al primo profilo, si è chiarito nella giurisprudenza di questa Corte che la circostanza che i saggi d’interesse (come previsti dagli artt. 20 e 30 del d.P.R. n.602 del 1973) siano modificati periodicamente con provvedimenti adottati in ambito ministeriale o dell’Agenzia delle Entrate, ma pur sempre soggetti ad obbligo di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ovvero con forme equipollenti, quali la pubblicazione sul sito internet
dell’Agenzia delle entrate, non richiede che gli stessi debbano essere esplicitati nell’atto fiscale, trattandosi di atti soggetti a forme di pubblicità legale e dunque comunque agevolmente conoscibili dall’interessato (così Cass. 19 dicembre 2014, n. 27055, Cass., 15 gennaio 2021, n.593 e Cass., 1° febbraio 2022, n. 3009) e individuabili in relazione al richiamo agli stessi operato dalla base normativa di riferimento in tema di interessi che la cartella deve necessariamente contenere;
-con riferimento al secondo profilo, in relazione al computo delle sanzioni, la giurisprudenza di questa Corte sopra citata, alla quale il Collegio qui convintamente aderisce, ritiene adeguato il riferimento alla norma di legge che ne prevede i criteri e/o alla tipologia della violazione da cui è possibile desumere i criteri legali di calcolo;
-il sesto motivo si duole della natura indebita della richiesta di pagamento dei compensi di riscossione, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 4 c.p.c.; eccepisce la contribuente -in sintesi la indebita richiesta di pagamento dei compensi di riscossione da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione;
-il motivo è infondato;
-questa Corte è costante nell’affermare (Cass. Sez. 5, n. 5154 del 2017, in motivazione (par. 8.1, p. 8, e par. 9.1., pp. 8 e 9), con argomentazioni successivamente ‘in toto’ condivise da Sez. 5, n. 3524 del 2018, e riprese in motivazione da Cass. n. 10809/2023) che ‘l’aggio di riscossione ha natura retributiva, trattandosi del compenso per l’attività esattoriale, e questa natura non muta in base al soggetto – contribuente, ente impositore od entrambi ‘pro quota’ – a carico del quale è posto il pagamento nelle varie circostanze (Cass. 3 aprile 2014, n. 7868; Cass. 23 dicembre 2015, n. 25932). Per questa sua
invariabile natura retributiva, l’aggio deve essere determinato secondo la disciplina vigente al tempo dell’attività di riscossione, senza che possa farsi questione di (ir)retroattività rispetto all’anno d’imposta cui si riferisce l’iscrizione a ruolo’;
-sul punto, i principi innanzi esposti, ben lungi dall’essere in alcun modo revocati in dubbio, trovano anzi espressa conferma nella recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 25/05/202110/06/2021, che ha dichiarato ‘inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 , come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185 , convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia;
-recentissimamente, la Consulta ha ulteriormente precisato, sul punto, che (Corte Cost. n. 46 del 2025) se è bensì vero che anche ove la nuova formulazione dell’art. 17 non sia applicabile al giudizio a quo perché l’art. 1, comma 17, della legge n. 234 del 2021 ha espressamente disposto che «er i carichi affidati fino al 31 dicembre 2021 restano fermi, nella misura e secondo la ripartizione previste dalle disposizioni vigenti fino alla data di entrata in vigore della presente legge: a) l’aggio e gli oneri di riscossione dell’agente della riscossione », nondimeno la circostanza che il legislatore non abbia conferito efficacia retroattiva a tale modifica non inficia, tuttavia, la legittimità costituzionale della norma censurata dal rimettente (che quindi continua a essere applicabile al giudizio a quo);
-il settimo motivo censura la sentenza di appello lamentando la nullità della cartella di pagamento per inesistenza della notifica,
per vizi di notifica essendo la stessa notificata a mezzo PEC e non risultando applicabile l’art. 156 c.p.c.; lamenta inoltre la violazione l’art. 3 -bis della L. 53 del 1994 e dell’art. 16 -ter del d.L. n. 179 del 2012 (conv. dalla L. 221 del 2012), degli artt. 26 e 60 d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art.3 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c.;
-il motivo è manifestamente infondato;
-come più volte statuito da questa Corte (tra molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18684 del 03/07/2023) si è anche recentemente osservato (cfr. Cass. n. 2460/2021), sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23620/2018, che l’entrata in vigore dall’art. 66, comma 5, del d. Lgs. n. 217 del 2017, ha previsto che, a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli artt. 6-bis, 6- quater e 62 del d. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’art. 16, comma 6, del D. L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il Re.G.Ind.E, registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia;
-l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI -Pec appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo «di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi». Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato art. 3-bis della L. n. 53 del 1994 solo con
riferimento al soggetto che riceve la notificazione; siffatta diversità di trattamento normativo non configura però alcuna disparità di trattamento. Le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo PEC inserito, diversamente da quanto accade per il mittente;
-l’ottavo motivo censura la pronuncia gravata per violazione degli artt. 132 c.p.c., 118, comma 1, disp. att. c.p.c., dell’art. 36 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art.360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c.; secondo il contribuente la CGT di secondo grado avrebbe espresso una motivazione inesistente, contraddittoria o meramente apparente, ovvero per relationem alla decisione di primo grado, senza palesare l’iter logico giuridico seguito;
-il motivo è manifestamente infondato (tra molte, si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21443 del 06/07/2022) avendo il giudice del merito, sia pur richiamando la pronuncia di primo grado, dimostrato -esprimendone le ragioni nella propria motivazione -di aver operato un esame critico delle doglianze dell’appellante;
-pertanto, conclusivamente, il ricorso va rigettato;
-le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
-poiché la presente decisione fa seguito ad istanza di decisione proposta al Collegio in seguito alla comunicazione di proposta di definizione accelerata del giudizio ex art. 380 bis c.p.c., ma la decisione collegiale non è esattamente conforme alla proposta, alla luce della dichiarazione di infondatezza -a fronte della
proposta inammissibilità per novità -del sesto motivo di ricorso, va esclusa la sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 5.900,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2025.