Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17813 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 17813 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 20582/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TORINO n. 181/2017 depositata il 03/02/2017.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 giugno 20125 dal co: NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per le parti l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME per la parte privata.
FATTI DI CAUSA
La contribuente società RAGIONE_SOCIALE ha proceduto alla rivalutazione dei propri macchinari, giusta la facoltà consentita dell’articolo 1 della legge numero 266 del 2005, secondo i criteri già applicati dalla legge 342 del 2000.
Per l’anno di imposta 2008, l’Ufficio chiedeva chiarimenti in ordine alle quote di ammortamento ed eseguiva anche ispezioni in loco per accertare la sussistenza dei macchinari. Ne scaturiva la ripresa a tassazione in ragione del calcolo applicato dalla parte contribuente. L’Ufficio riteneva infatti doversi applicare il valore risultante dalla perizia di rivalutazione e su quella base individuare le quote di ammortamento, mentre la società aveva adottato il più ampio valore dato dal costo storico rivalutato, donde l’eccezione di portare nuovamente a deduzione dei costi già dedotti in ammortamento negli anni precedenti. In estrema sintesi, la questione ineriva al carattere novativo della perizia, ovvero, in alternativa, alla possibilità del cumulo del cosiddetto valore storico rivalutato al lordo, secondo uno dei criteri di rivalutazione ammessi dalle fonti ministeriali, nella prospettazione offerta dalla parte contribuente che tali disposti richiama a sostegno e giustificazione del proprio operato. I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, che ricorre per Cassazione affidandosi a due rimedi, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
In prossimità dell’adunanza, la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.
Ritenuta non sussistere l’evidenza decisoria, con ordinanza n. 27949/2024, l’affare è stato rinviato per la trattazione in pubblica udienza.
In prossimità dell’udienza, il Pubblico Ministero, in persona del sost. Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria in forma di memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione dell’articolo 1, commi da 469 a 475, della legge numero 266 del 2005, nonché degli articoli 10 e 11 della legge numero n 342 del 2000, degli articoli 5 e 6 del decreto ministeriale numero 162 del 2001 e del principio contabile numero 16.
In buona sostanza, si ritiene che la sentenza in scrutinio abbia violato le norme in epigrafe per aver legittimato l’operato dell’Ufficio che ritiene applicabile il valore corrente di utilizzo dei beni rivalutati come base di calcolo per l’ammortamento, in luogo del costo storico rivalutato inteso come somma tra il costo storico originario del bene e la rivalutazione risultante dalla perizia, pari al valore corrente di utilizzo. In estrema sintesi, si controverte se il costo storico rivalutato debba o meno sommarsi al valore corrente di utilizzo. Per la prima milita il contribuente, la seconda è fatta propria dall’Ufficio.
Con il secondo motivo si profila censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile, per extrapetizione e violazione dell’articolo 112 del medesimo codice di rito. Si prospetta la violazione del divieto di ius novorum in appello ai sensi dell’articolo 57 del decreto legislativo numero 546 del 1992, si lamenta ancora
motivazione apparente in violazione dell’articolo 32 numero 4 del decreto legislativo numero 546 del 1992. In subordine si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 5 del codice di procedura civile per omesso esame di fatto decisivo. Nella sostanza, si lamenta che la sentenza in scrutinio si sia spinta a sindacare l’inserimento nella base di calcolo per l’ammortamento anche di beni eccentrici, quali telefoni obsoleti o estintori. Viene criticata la motivazione della sentenza perché priva di efficacia argomentativa.
Va esaminato per priorità logica il secondo motivo, perché attiene alla coerenza motivazionale della sentenza. Esso è infondato.
Va ricordato quanto già ribadito più volte in ordine ai limiti rigorosi entro cui si circoscrive il vizio di motivazione apparente.
Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018).
Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Né può parlarsi di nova in appello, laddove l’Ufficio ha svolto mere difese, tese a paralizzare la domanda avversaria, non costituenti ampliamento del thema decidendum . Il secondo motivo non può quindi essere accolto.
Neppure il primo motivo è fondato.
Si tratta di determinare le quote di ammortamento di beni oggetto di rivalutazione. Le disposizioni specifiche in materia, laddove consentono diversi criteri di calcolo ai fini della rivalutazione, non disciplinano la materia del calcolo delle quote di ammortamento.
Si deve allora guardare alle disposizioni generali in materia e, segnatamente agli articoli 102, secondo comma, e all’articolo 110, primo comma, lettera a), del D.P.R. numero 917 del 1986 laddove il primo afferma testualmente:
‘La deduzione è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ridotti alla metà per il primo esercizio. I coefficienti sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.’
Mentre il secondo recita:
‘a) il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte.’
Tuttavia, ai sensi dell’art. 11 della legge 21 novembre 2000, n. 342, i valori iscritti in bilancio dei beni rivalutati non devono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni in base al loro ‘valore corrente’, determinato in base a lle quotazioni rilevate nei mercati regolamentati o al ‘valore interno’, determinato sulla base della consistenza, della capacità produttiva e dell’effettiva possibilità economica di utilizzazione del bene nell’impresa.
Ora, nella prospettazione della parte privata, ai sensi de citato art. 11 della legge n. 342 del 2000, centrale è il rispetto del limite massimo corrispondente al valore netto contabile del bene, donde nel limite di tale valore- sarebbe ben possibile sommare il costo originario del bene con la rivalutazione risultante dalla perizia.
Sennonché tale criterio si traduce in un indebito aumento della base di calcolo perché nel valore corrente di utilizzo, viene ricompresa una quota del costo strico originario del bene, alterando quindi la base imponibile.
Peraltro, come osservato dalla Procura generale, occorre inoltre considerare che secondo i Principi contabili (Oic 16, § 75) ‘Il limite massimo della rivalutazione di un’immobilizzazione materiale è il valore recuperabile dell’immobilizzazione stessa che in nessun caso può essere supera to’. Il successivo § 76 prevede, infatti, che: ‘Se il valore rivalutato di un bene materiale risulta, negli esercizi successivi, eccedente il valore recuperabile, il valore rivalutato è svalutato con rilevazione della perdita durevole a Conto economico (cf r. Oic 9) se non disposto diversamente dalla legge’: sicché la notazione della sentenza impugnata, di cui all’ultimo cpv. della pg. 4 della stessa, non è frutto di un’errata comprensione della fattispecie, bensì il riferimento al temperamento contenuto nei criteri contabili di cui sopra.
In ogni caso, la evidenziata duplicazione di calcolo si traduce, in disparte del rilievo circa la necessaria invarianza della durata del tempo di ammortamento, in uno sviamento del criterio da applicarsi, con una potenziale sovracompensazione in favore della parte privata.
Può quindi esprimersi il seguente principio di diritto: con riguardo alla rivalutazione di beni ai sensi dell’art. 1, l. n. 266/2005, ai fini di valutare le quote di ammortamento dei beni oggetto di rivalutazione, i valori iscritti in bilancio dei beni rivalutati non devono in nessun caso superare i valori effettivamente attribuibili ai beni in base al loro ‘valore corrente’, determinato in base alle quotazioni rilevate nei mercati regolamentati o al ‘valore interno’, determinato sulla base della consistenz a, della capacità produttiva e dell’effettiva possibilità economica di utilizzazione del bene nell’impresa.
Il ricorso è quindi infondato e dev’essere rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente ala rifusione delle spese del giudizio di legittimità favore della parte controricorrente che liquida in €.cinquemilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 giugno 2025