Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24702 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24702 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17225/2020 R.G. proposto da
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COMMISSIONE STRAORDINARIA LIQUIDAZIONE E DISSESTO COMUNE TARANTO, e COMUNE DI TARANTO;
-intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI LECCE -SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO n. 12/2020 depositata il 15/01/2020.
Oggetto: Pubblica amministrazione -Azienda speciale servizi ex art. 123, Legge n. 142/1990 -Raccolta rifiuti -Contributi comunali -Omessa fatturazione -Rivalsa IVA
R.G.N. 17225/2020
Ud. 09/07/2025 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 09/07/ 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 12/2020, pubblicata in data 15 gennaio 2020, la Corte d’appello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto, nella regolare costituzione dell’appellato ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE DEL COMUNE DI TARANTO (di seguito, per brevità, ‘OSL’) e nella contumacia dell’altro appellato COMUNE DI TARANTO, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) avverso la sentenza del Tribunale di Taranto n. 2153/2017, del 27 luglio 2017, limitatamente alla condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c., pronunciata dal giudice di prime cure, respingendo per il resto il gravame.
RAGIONE_SOCIALE aveva agito innanzi al Tribunale chiedendo la condanna sia dell’OSL sia del COMUNE DI TARANTO alla corresponsione della somma di € 12.737.612,07 , a titolo di rivalsa IVA sulle prestazioni per l’espletamento del servizio di raccolta dei rifiuti dal 2000 al 2005.
Come riferito nella decisione impugnata, infatti, era emerso – a seguito di accertamenti dell’Agenzia delle Entrate svolti nel 2007 – che RAGIONE_SOCIALE aveva, in relazione agli anni dal 2000 al 2005, omesso di emettere fattura sulle somme percepite dal COMUNE DI TARANTO a titolo di contributi, nonostante la stessa RAGIONE_SOCIALE, quale azienda speciale istituita ex art. 123 Legge n. 142/1990, fosse tenuta non solo a dotarsi di partita IVA ma anche a curare tutti gli adempimenti di cui al d.P.R. n. 633/1972, e quindi ad assoggettare a imposta le prestazioni di servizi e cessioni di beni, assoggettate ad IVA agevolata del 10%.
In primo grado, costituitosi il solo ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE DEL COMUNE DI TARANTO, la domanda era stata respinta.
La Corte d’appello, nel decidere sul gravame, ha rammentato in premessa che, sul piano dei rapporti con l’Ente impositore, AMIU aveva:
-definito gli accertamenti relativi agli anni 2000 e 2001 a mezzo di procedura di adesione conclusasi con l’accoglimento da parte dell’Agenzia delle Entrate della tesi secondo cui i contributi versati dal Comune andavano intesi come “al lordo” della IVA, in essi già ricompresa, con conseguente riduzione della base imponibile;
-definito la contestazione relativa all’anno 2003 con rateizzazione;
-presentato in relazione ai due distinti accertamenti concernenti gli anni 2002 e 2004 istanza di annullamento in autotutela (con esito che la stessa Corte d’appello ha evidenziato non essere chiaro, avendo AMIU affermato l’intervenuto annullamento in autotutela delle sole sanzioni, ed avendo invece il consulente dell’OSL asserito che i due accertamenti erano stati integralmente annullati, sebbene ancora oggetto di gravame innanzi alla Commissione Tributaria Regionale);
-presentato per l’anno 2005 dichiarazione IVA integrativa, assolvendo l’imposta anche mediante parziali compensazioni con l’imposta a credito e versando in due riprese la complessiva somma di € 1.133.972,00.
La Corte d’appello ha ulteriormente premesso che non risultavano ancora emesse da AMIU le fatture nei confronti del COMUNE DI TARANTO in relazione ai contributi ricevuti negli anni 2000-2005, mentre
erano presenti in atti una fattura datata 31 dicembre 2007 per l’importo di € 20.600.000.00 oltre € 2.060.000.00 per IVA per servizio di raccolta rifiuti per l’ anno 2004 ed una nota di credito in pari data per € 10.300.000,00 oltre € 1.030.000,00 per IVA per effetto dell ‘incasso della somma di € 13.896.996,01 con causale di incasso del 50% della fattura n. 221/2007 a seguito di transazione con lo stesso OSL.
Operata questa ricostruzione, la Corte territoriale ha ritenuto che le pretese dell’odierna ricorrente trovassero confutazione, in primo luogo, nel disposto di cui all’art. 18 d.P.R. n. 633/1972, affermando che tale previsione fissa come presupposto essenziale e necessario perché sorga il diritto del cedente alla rivalsa IVA nei confronti del cessionario del bene o della prestazione di servizi l’emissione della relativa fattura, laddove nella specie AMIU non risultava aver mai emesso alcuna fattura nei confronti del COMUNE DI TARANTO per le prestazioni rese negli anni 2000-2005.
La Corte ha ulteriormente rilevato che sempre l’art. 18 d.P.R. n. 633/1972 prevede che per le operazioni per le quali non è prescritta l’emissione della fattura il prezzo o il corrispettivo si intende comprensivo dell’imposta, rimarcando che proprio in applicazione di tale previsione erano state definite le contestazioni per gli anni 2000 e 2001.
La Corte, infine, ha richiamato il disposto di cui all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972, nella versione vigente sino al 23 gennaio 2012, a mente del quale il contribuente non aveva diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi.
Conseguentemente, la Corte ha ritenuto l’infondatezza della pretesa dell’odierna ricorrente, in quanto:
-per gli anni 2000-2001, sia doveva ritenersi definitivamente acclarato che le contribuzioni del Comune erano già compren-
sive dell’IVA; sia doveva trovare applicazione l’originaria formulazione all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972; sia non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente;
-per l’annualità 2003, definita con l’ammissione della ricorrente alla rateizzazione, in primo luogo appariva probabile che anche in questo caso l’IVA fosse già ricompresa “al lordo” nella contribuzione comunale e, in ogni caso, sia doveva trovare applicazione l’originaria formulazione all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972 sia non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente;
-per gli anni 2002 e 2004 vi era un’alternativa: o gli accertamenti erano stati definiti con provvedimenti in autotutela – nel qual caso doveva trovare applicazione l’originaria formulazione all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972 – oppure gli accertamenti erano stati totalmente annullati dalla CTP, pur pendendo appello innanzi alla CIR – nel qual caso doveva trovare applicazione l’art. 60 d.P.R. n. 633/1972 nella nuova formulazione, che consente la rivalsa soltanto dopo l’assolvimento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni – fermo restando che non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente, né, allo stato, risultava alcun versamento dell’IVA, per cui nulla poteva pretendere AMIU dal COMUNE DI TARANTO a titolo di rivalsa di somme che non aveva ancora corrisposto all’Erario;
-per l’annualità 2005, sia doveva trovare applicazione l’originaria formulazione all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972, sia non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente.
Quanto alla fattura n. 221/2007 datata 31 dicembre 2007 ed alla nota di credito n. 222/2007 in pari data per effetto dell’incasso della somma di € 13.896.996,01 – a seguito di transazione con lo stesso OSL
la Corte territoriale, in parziale dissenso rispetto al giudice di prime cure, ha osservato che l’ originaria richiesta della somma di € 20.600.000.00 oltre € 2.060.000.00 per IVA per servizio di raccolta rifiuti per l’anno 2004 non risultava menzionata nell’accordo transattivo – che quindi non poteva automaticamente ritenersi ad essa riferito ma che la somma in questione, in quanto comunque contenuta in una precedente istanza invece menzionata nella transazione, doveva ritenersi in essa compresa.
La Corte ha quindi concluso sia che gli importi in questione, in quanto frutto di transazione con l’OSL, dovevano intendersi già comprensivi di IVA, sia che, in ogni caso, la transazione, per il suo tenore letterale, doveva ritenersi riferita anche alle pretese per IVA sull’importo liquidato, che andava quindi inteso “al lordo” dell’imposta.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto ricorre RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati sia l’ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE DEL COMUNE DI TARANTO sia il COMUNE DI TARANTO.
5 La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 41 e 60 d.P.R. n. 633/1972.
La ricorrente censura, in primo luogo, la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha affermato che presupposto essenziale e ne-
cessario perché sorga il diritto del cedente alla rivalsa IVA nei confronti del cessionario del bene o della prestazione di servizi è l’emissione della relativa fattura.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la fattura può in realtà essere emessa anche successivamente, e quindi tardivamente, dovendosi ritenere che, nella specie, l’omissione della fattura sia stata determinata da ‘una evidente sciatteria amministrativa’ , ma che l’irregolarità possa comunque essere sanata.
In secondo luogo, la ricorrente evidenzia una ‘ingiustificata disparità di trattamento’ nei due regimi dettati dall’art. 60 d.P.R. n. 633/ 1972 – anteriore e posteriore alle modifiche apportate con D.L. n. 1/ 2012 (conv. con mod. con Legge n. 27/2012) – e sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale della precedente versione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972, in relazione agli artt. 2 e 53 Cost.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto che la transazione intervenuta in data 21 dicembre 2007 tra il COMUNE DI TARANTO e la stessa ricorrente era da ritenersi riferita anche alle somme di cui alla fattura n. 221/2007 datata 31 dicembre 2007 ed alla nota di credito n. 222/2007.
Deduce la ricorrente che l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta errata sia sul piano dell’interpretazione letterale sia sul piano sistematico e della condotta successiva delle parti, in quanto:
-tali somme erano oggetto di un’istanza di pagamento diversa da quelle menzionate nella transazione (prot. n. 2492 del 22 marzo 2007);
-la transazione sarebbe stata conclusa per una somma esattamente pari al 50% degli importi di cui alle quattro istanze espressamente menzionate nella transazione medesima;
-l’istanza prot. n. 2492 del 22 marzo 2007 sarebbe stata respinta dal controricorrente ORGANO STRAORDINARIO DI LIQUIDAZIONE DEL COMUNE DI TARANTO senza mai invocare gli effetti della transazione;
-anche successivamente l’istante avrebbe presentato ulteriori istanze di sollecito volte ad ottenere l’ammissione del credito in contestazione.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Come già evidenziato nella sintesi della decisione impugnata, quest’ultima si viene a basare, in relazione alle singole annualità oggetto di contestazione, su molteplici rationes decidendi .
Infatti, la Corte d’appello:
-in relazione agli anni 2000 e 2001 ha osservato che: I) le contribuzioni del Comune erano da ritenersi già comprensive della IVA; II) doveva trovare applicazione l’originaria formulazione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972; III) non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente;
-in relazione all’anno 2003 ha osservato che: I) l’IVA era già ricompresa “al lordo” nella contribuzione comunale; II) doveva trovare applicazione l’originaria formulazione all’art. 60 d.P.R. n. 633/1972; III) non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente;
-in relazione agli anni 2002 e 2004 ha osservato che: I) doveva trovare applicazione l’originaria formulazione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972; II) non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente; III) non risultavano versamenti IVA;
-in relazione all’anno 2005: I) doveva trovare applicazione l’originaria formulazione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972; II) non risultava emessa alcuna fattura da parte della ricorrente.
2.2. Tale essendo l’impostazione assunta dalla decisione impugnata, sarebbe stato onere della ricorrente provvedere ad impugnare in modo ammissibile e fondato tutte le suddette rationes decidendi , operando i due principi per cui:
-qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/ 2013; Cass., Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019);
-qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/ 2011; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
2.3. Ebbene, nel caso ora in esame si deve constatare che il motivo di ricorso viene ad impugnare solo due delle rationes decidendi indivi-
duabili nella sentenza impugnata, e cioè, da un lato, l’applicabilità della originaria formulazione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972 e, dall’altro lato, la mancata emissione di alcuna fattura da parte della ricorrente.
Per contro, non risultano impugnate altre rationes espresse dalla Corte d’appello, e cioè la ricomprensione dell’IVA al lordo nelle fatture per gli anni 2000, 2001 e 2003 e l’affermazione del mancato versamento IVA per gli anni 2002 e 2004, da ciò derivando che, in relazione a tutte le annualità appena indicate – e cioè dal 2000 al 2004 – il ricorso deve essere dichiarato inammissibile alla luce del primo dei principi poc’anzi richiamati.
2.4. In relazione all’annualità 2005, invece, il ricorso risulta censurare entrambe le rationes su cui si basa la decisione impugnata, ma le argomentazioni che la ricorrente viene a spendere risultano radicalmente infondate in relazione ad uno dei due profili dedotti – quello della omessa emissione delle fatture – emergendo, quindi, la definitiva inammissibilità del motivo di ricorso anche alla luce del secondo dei principi poc’anzi richiamati.
La ricorrente, infatti, impugna la ratio decidendi basata sulla mancata emissione delle fatture con una argomentazione che appare priva di concreto spessore, consistendo nell’affermazione per cui le fatture in questione potrebbero sempre essere emesse e che ‘l ‘intera questione dipendeva da quella che innanzi si è definita sciatteria amministrativa’ (sedicesima pagina non numerata del ricorso).
L’affermazione – che contiene in sé la conferma della mancata emissione delle fatture e peraltro non viene neppure a dedurre in modo specifico se tale omissione sia stata successivamente sanata – non vale sicuramente a travolgere il dictum della Corte territoriale, la quale, anzi, nel momento in cui ha affermato che, in assenza di emissione di fatture, l’esercizio della rivalsa risultava precluso, si è pienamente con-
formata al principio espresso in materia da questa Corte (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17876 del 23/07/2013; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22276 del 03/11/2016), senza che la ricorrente concretamente evidenzi un inadeguato governo delle previsioni di legge.
Disattesa la critica alla ratio decidendi correlata alla mancata emissione delle fatture, si deve a questo punto constatare la censura riferita all’applicazione dell’art. 60 d.P.R. n. 633/1972 (sulla quale peraltro, cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11137 del 29/05/2015; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3291 del 02/03/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14577 del 16/06/2010) diventa inammissibile, perché la ratio della mancata emissione delle fatture risulta in ogni caso idonea a sorreggere autonomamente la motivazione della Corte territoriale.
Constatazione, questa, che vale a rende priva di rilevanza l’ipotetica questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 60 d.P.R. n. 633/ 1972 (nella formulazione anteriore alle modifiche apportate con D.L. n. 1/2012) prospettata dalla ricorrente, non senza rammentare, peraltro, che questa Corte, in relazione all’ipotesi di accertamento o rettifica ex art. 60 d.P.R. n. 633/1972, ha escluso il diritto di rivalsa del cedente/ prestatore per l’imposta o la maggiore IVA dovuta al Fisco, evidenziando che l’esigenza di stabilità dei rapporti giuridici assume, per legge, carattere assolutamente prevalente rispetto al principio di neutralità dell’IVA e dell’imposizione a carico del consumatore finale, realizzandosi un equo contemperamento di opposti interessi che, da un lato garantisce la certezza del gettito fiscale (rapporto pubblicistico), dall’altro salvaguarda la certezza dei costi finali nella circolazione dei beni e dei servizi (rapporto civilistico) (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3291 del 02/03/2012, ma si veda anche Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8372 del 23/03/2023).
Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.
Come rammentato in precedenza, la decisione impugnata – peraltro dichiaratamente discostandosi dalla valutazione invece espressa in prime cure – ha operato una ricostruzione interpretativa dell’accordo transattivo, da un lato evidenziando che la richiesta della somma di € 20.600.000.00 oltre € 2.060.000.00 per IVA per servizio di raccolta rifiuti per l’anno 2004 non risultava menzionata nell’accordo transattivo – che quindi non poteva ritenersi ad essa riferito – e, dall’altro lato, affermando che la somma in questione, in quanto comunque contenuta in una precedente istanza invece menzionata nella transazione, doveva ritenersi in quest’ultima compresa.
Il tortuoso ragionamento interpretativo espresso dalla Corte territoriale, tuttavia, non solo risulta alquanto carente sul piano della perspicuità – non risultando con la necessaria chiarezza il fondamento della affermata attrazione nell’ambito della transazione di una pretesa che nella transazione medesima (per ammissione della stessa decisione impugnata) non era compresa – ma risulta porsi in diretto conflitto con le previsioni in tema di interpretazione contrattuale, ed in primo luogo con il criterio di interpretazione letterale, dalla Corte d’appello richiamato, ma poi accantonato.
L’interpretazione adottata nella decisione impugnata, anzi, si pone in contrasto con il principio per cui qualora, rispetto ad un medesimo rapporto, siano sorte o possano sorgere tra le parti più liti, in relazione a numerose questioni tra loro controverse, l’avere dichiarato, nello stipulare una transazione, di non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto, non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali – dal momento che a norma dell’art. 1364 c.c. le espressioni usate nel contratto, per quanto generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire – con la conseguenza che, se il negozio transattivo
concerne soltanto alcuna delle questioni medesime, esso non si estende, malgrado l’ampiezza dell’espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all’accordo, il cui oggetto va determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto, con apprezzamento che sfugge al controllo di legittimità qualora sorretto da congrua motivazione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21557 del 27/07/2021; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 12367 del 18/05/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6351 del 28/11/1981).
Era, pertanto, compito della Corte territoriale non solo procedere ad una interpretazione della transazione che risultasse conforme alle specifiche indicazioni espresse da questa Corte in materia, ma anche esprimere il proprio approdo interpretativo in modo adeguatamente motivato, in modo da evidenziare che tale approdo, se non l’unico possibile, risultava comunque assistito da concreta plausibilità.
Per contro, si deve constatare che il carattere non lineare ed anzi scarsamente comprensibile della motivazione della decisione impugnata non consente di procedere ad una ricostruzione univoca del ragionamento ermeneutico seguito dalla Corte d’appello e si traduce, quindi, in quel vizio di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” che, anche a seguito della modifica dell’art. 360, n. 5), c.p.c., continua a rientrare nell’ambito del “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/ 2014 e, da ultimo, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022) ed ancora oggi consente a questa Corte un vaglio residuo sulla motivazione, risultando – di riflesso – preclusa ogni possibilità di valutare la plausibilità della soluzione interpretativa fatta propria dalla decisione impugnata.
Inevitabile concludere che, nel caso in esame ed alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il vaglio ancora consentito a questa Corte deve condurre all’accoglimento del motivo di ricorso.
Il ricorso va quindi accolto in relazione al solo secondo motivo, con declaratoria di inammissibilità del primo.
Conseguentemente, la decisione impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, la quale provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima