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Ritenute su interessi: quando la banca non è sostituto

Una società bancaria è stata contestata dall’autorità fiscale per non aver applicato la ritenuta d’imposta sugli interessi maturati da fondi di investimento esteri. La Corte di Cassazione ha dato ragione alla banca, specificando che il semplice ruolo di distributore delle quote dei fondi non la qualifica automaticamente come sostituto d’imposta. Per applicare le “ritenute su interessi”, è necessario un intervento concreto nella riscossione degli stessi, un ruolo distinto da quello di “banca corrispondente”.

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Pubblicato il 20 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Ritenute su interessi: La Cassazione distingue tra collocatore di fondi e sostituto d’imposta

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato una questione cruciale in materia di ritenute su interessi generati da fondi di investimento esteri. La decisione chiarisce i confini dell’obbligo di un intermediario finanziario residente di agire come sostituto d’imposta, distinguendo nettamente il ruolo di mero collocatore di prodotti finanziari da quello di soggetto che interviene attivamente nella riscossione dei proventi. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione per tutti gli operatori del settore finanziario.

I Fatti di Causa: Il Ruolo della Banca e la Pretesa Fiscale

Un primario istituto di credito italiano si è visto notificare un avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria. L’oggetto della contestazione era l’omessa applicazione di una ritenuta del 27% sugli interessi maturati nell’anno 2009 su conti correnti intestati a due fondi comuni di investimento lussemburghesi.

Secondo l’Agenzia Fiscale, la banca, agendo come ‘banca corrispondente’ e collocatrice in Italia delle quote dei fondi, avrebbe dovuto operare come sostituto d’imposta. L’istituto di credito, invece, sosteneva di aver svolto un’attività di mera commercializzazione delle quote e di esecuzione dei pagamenti connessi alle sottoscrizioni e ai rimborsi per conto degli investitori italiani, senza mai intervenire nella riscossione degli interessi maturati dai fondi stessi presso la loro banca depositaria estera.

La Commissione tributaria regionale aveva dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, qualificando la banca come soggetto incaricato dei pagamenti e, quindi, tenuto ad applicare la ritenuta. Contro questa decisione, l’istituto di credito ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte: Chiarimenti sulle ritenute su interessi esteri

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi principali del ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa a un nuovo esame. La Corte ha stabilito due principi di diritto fondamentali che ridefiniscono gli obblighi degli intermediari in questi contesti.

La Distinzione tra ‘Banca Corrispondente’ e Soggetto che ‘Interviene nella Riscossione’

Il cuore della decisione risiede nella distinzione operata dalla Corte tra il ruolo di ‘banca corrispondente’, che si occupa della commercializzazione di quote di fondi esteri, e quello di ‘soggetto residente che interviene nella riscossione degli interessi’, previsto dall’art. 26, comma 3, del d.P.R. 600/1973.

I giudici hanno chiarito che le due qualifiche non sono sovrapponibili. Essere un intermediario che colloca un prodotto finanziario non implica automaticamente un intervento nella gestione dei flussi di reddito di quel prodotto. La norma fiscale, per sua natura, richiede una stretta interpretazione: l’obbligo di ritenuta scatta solo se l’intermediario residente partecipa attivamente e concretamente alla fase di riscossione degli interessi per conto del soggetto non residente. La Commissione tributaria regionale aveva errato nel dare per scontato questo collegamento, senza una verifica fattuale del ruolo specifico svolto dalla banca.

L’Errata Applicazione della Normativa sull’Esenzione

Un secondo punto cruciale riguarda l’interpretazione dell’art. 11-bis del d.l. 512/1983 (vigente all’epoca dei fatti). Questa norma prevedeva un regime di esenzione per i fondi comuni di investimento. In particolare, stabiliva che le ritenute su interessi previste dal comma 3 dell’art. 26 (relative a interessi dovuti da soggetti non residenti) non si applicassero, senza alcuna condizione.

La corte di merito aveva invece confuso questa ipotesi con quella del comma 2 dello stesso articolo, che prevedeva una condizione legata alla giacenza media annua per l’esenzione. La Cassazione ha corretto questo errore, affermando che, anche se la banca fosse stata qualificata come soggetto che interviene nella riscossione, gli interessi in questione sarebbero comunque stati esenti da ritenuta in modo incondizionato, in base alla normativa applicabile.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio di stretta legalità tributaria. Non è possibile estendere per analogia gli obblighi di un sostituto d’imposta. L’intervento nella riscossione deve essere un fatto concreto e dimostrato, non una presunzione derivante da un altro ruolo commerciale. La Corte ha inoltre sottolineato l’importanza di definire correttamente il ‘beneficiario effettivo’ dei redditi, che nel caso di specie era senza dubbio il fondo lussemburghese, destinatario finale degli interessi, e non la banca intermediaria. Questo allineamento con i principi internazionali (Modello OCSE e direttive UE) rafforza l’idea che l’imposizione deve colpire il soggetto che realmente gode del reddito.

Le Conclusioni e i Principi di Diritto

In conclusione, la sentenza stabilisce che il ruolo di collocatore di quote di fondi esteri non è sufficiente a far scattare l’obbligo di applicare le ritenute su interessi. È necessario provare un coinvolgimento diretto nella riscossione di tali proventi. Inoltre, viene riaffermata la necessità di una corretta applicazione delle norme di esenzione, distinguendo attentamente le diverse fattispecie previste dal legislatore. La Corte ha enunciato i seguenti principi:
1. La nozione di ‘banca corrispondente’ incaricata della collocazione di quote non coincide necessariamente con quella di ‘soggetto residente che interviene nella riscossione degli interessi’.
2. Secondo la normativa dell’epoca, la ritenuta sugli interessi di conti correnti bancari non era dovuta se il soggetto che interveniva nella riscossione agiva per conto di fondi di investimento, e tale esenzione era incondizionata.

Una banca che colloca in Italia quote di fondi esteri è sempre obbligata ad applicare le ritenute sugli interessi percepiti da tali fondi?
No. La Corte ha stabilito che il ruolo di ‘banca corrispondente’, incaricata della collocazione delle quote, non coincide necessariamente con quello di ‘soggetto residente che interviene nella riscossione degli interessi’. Per l’obbligo di ritenuta, deve essere provato un intervento attivo e concreto nella fase di riscossione degli interessi.

Qual era il regime di esenzione per le ritenute sugli interessi previsto dalla normativa dell’epoca (art. 11-bis d.l. 512/1983)?
La normativa prevedeva un’esenzione totale e incondizionata dalle ritenute di cui all’art. 26, comma 3, d.P.R. 600/1973, sugli interessi e altri proventi dei conti correnti bancari dei fondi di investimento. La condizione sulla giacenza media si applicava solo a un’altra tipologia di ritenuta (quella del comma 2 dello stesso articolo).

Cosa significa ‘beneficiario effettivo’ degli interessi nel contesto fiscale internazionale?
Il beneficiario effettivo è l’entità che beneficia realmente degli interessi, ovvero il destinatario finale del reddito, e non un semplice intermediario che li percepisce per conto di altri. Nel caso di specie, il beneficiario effettivo è stato identificato nel fondo di investimento estero stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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