Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9022 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9022 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO del Foro di Bari, che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (studio RAGIONE_SOCIALE), alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’RAGIONE_SOCIALE, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 274, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 14.1.2021, e pubblicata il 19.1.2021; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; la Corte osserva:
Fatti di causa
Oggetto: Irpef 2013 – Terreni assoggettati ad occupazione acquisitiva (1978-1983) -Indennità di esproprio -Trattenuta del 20% – Eccessivo ritardo nel pagamento della P.A. – Necessaria valutazione.
COGNOME NOME, all’esito di lungo contenzioso concluso con decisione della Corte d’appello di Bari n. 768 del 2012, il 18.7.2013 riceveva dal Comune di Bari la corresponsione dell’indennizzo relativo all’espropriazione per pubblica utilità a seguito di occupazione acquisitiva di suoi terreni. Il Comune applicava la ritenuta del 20%, pari ad Euro 251.593,34, introdotta dall’art. 11, comma quinto e ss., della legge 31.12.21991, n. 413. Chiariva la contribuente che le procedure di espropriazione erano iniziate nel 1978 e si erano concluse nel 1983, in conseguenza di accessione invertita compiutasi in date 10.3.1983 e 4.9.1983.
La contribuente, rilevato che il pagamento era avvenuto in relazione a quanto le era dovuto da circa trent’anni, ed in particolare in conseguenza di atti precedenti il 31.12.1988, e sussisteva pertanto un ‘abnorme ed ingiustificato ritardo da parte della P.A.’ (ric., p. 3), riteneva che la ritenuta fiscale non dovesse essere operata. In conseguenza proponeva istanza di rimborso RAGIONE_SOCIALE somme trattenute. L’Ente impositore non rispondeva.
Maturati i termini di legge, COGNOME NOME impugnava il silenzio serbato dall’Amministrazione innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che riteneva fondate le sue difese, in considerazione dell’enorme ritardo dell’Amministrazione nell’erogazione del dovuto, ed accoglieva il ricorso della contribuente.
RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE spiegava appello avverso la decisione sfavorevole adottata dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che accoglieva il suo ricorso, e riaffermava la piena legittimità ed efficacia della ritenuta operata.
La contribuente ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronuncia adottata dal giudice dell’appello, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la contribuente contesta la violazione dell’art. 11, commi 5 e ss., della legge n. 413 del 1991, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la ritenuta sulle somme riconosciute quale indennizzo espropriativo debba essere applicata anche in relazione a procedure concluse prima del 31 dicembre 1989, ma in cui la corresponsione RAGIONE_SOCIALE somme sia avvenuta dopo decenni, dopo l’entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, a causa dell’ingiustificato ritardo della P.A.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente censura la nullità dell’impugnata decisione adottata dalla CTR, in conseguenza della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere il giudice dell’appello omesso di esaminare le proprie contestazioni introdotte nel primo grado del giudizio, su cui aveva comunque domandato al giudice del gravame di pronunciarsi.
In particolare, con il primo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., aveva censurato la violazione dell’art. 11, comma nono, della Legge n. 413 del 1991, perché la ritenuta del 20% è legittima solo quando il pagamento dell’indennità avvenga ‘in conseguenza di atti successivi al 31.12.1988’ (ric., p. 3). Mediante il terzo motivo di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., aveva criticato la violazione dell’art. 11, commi quinto e ss., della Legge n. 413 del 1991, perché i suoli espropriati, in base agli strumenti urbanistici, non ricadevano in aree soggette a tassazione ai sensi della normativa indicata.
Mediante il primo mezzo di impugnazione la ricorrente contesta la violazione di legge in ritiene essere incorsa la CTR per non aver tenuto conto che la ritenuta del 20% sulle somme riconosciute quale indennizzo espropriativo non deve essere
applicata in relazione a procedure concluse prima del 31 dicembre 1989, quando la corresponsione RAGIONE_SOCIALE somme sia avvenuta dopo decenni a causa dell’ingiustificato ritardo dell’Amministrazione, e dopo l’entrata in vigore della legge n. 413 del 1991.
Scrive in proposito la CTR che ‘nel caso di specie quindi, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTP, è irrilevante che la procedura ablativa del bene sia iniziata nel 1978 e si sia conclusa solo a seguito della sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bari in data 19.6.2012. Infatti, come affermato dalla … giurisprudenza della Corte di Cassazione … ai fini fiscali ciò che unicamente conta è la percezione della plusvalenza sotto la data del 18.1.2013, e quindi sotto il vigore dell’art. 11 comma cinque legge 413/1991’ (sent. CTR, p. III).
Invero la decisione assunta dal giudice dell’appello appare in contrasto con l’orientamento ripetutamente espresso da questa Corte regolatrice, e le sintetiche valutazioni espresse dalla CTR, nonché le osservazioni proposte dalla controricorrente, non inducono a rivederlo.
Si è infatti avuto modo di chiarire che ‘in tema d’imposte dirette sui redditi, la somma erogata a titolo di risarcimento per occupazione usurpativa di un bene immobile è assoggettata a tassazione ai sensi dell’art. 11 della l. n. 413 del 1991 se la sua percezione, che costituisce una plusvalenza, è successiva all’entrata in vigore della legge e, cioè, all’1 gennaio 1989, non assumendo rilievo, invece, il momento in cui è avvenuto il trasferimento del bene, salvo che il ritardo nel pagamento sia imputabile alla P.A.’, Cass. sez. VI -V, 9.2.2017, n. 3503; e non si è nemmeno mancato di specificare che ‘in tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, della l. n. 413 del 1991, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge
anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia avvenuto prima ed, in particolare, anteriormente all’1 gennaio 1989, salvo che la corresponsione della somma oltre tale data sia dovuta all’Amministrazione che resistendo, anche in giudizio, abbia determinato un considerevole ritardo nel pagamento ‘, Cass. sez. VI-V, 12.1.2016, n. 265 (evidenza aggiunta).
5.1. Il fondamento costituzionale e convenzionale dell’orientamento assunto da questa Corte di legittimità era stato anche spiegato, condivisibilmente e con chiarezza, da altra precedente pronuncia, che pare opportuno riprodurre per quanto d’interesse. Si è infatti illustrato che ‘questa Corte non intende rimettere in discussione il principio generale di cassa’, con riferimento all’imposizione di cui all’art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991, in quanto, in relazione al profilo impositivo, ‘momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione RAGIONE_SOCIALE leggi nel tempo.
Trattasi, invece, di verificare se tale principio generale, di natura giurisprudenziale, possa soffrire eccezioni, con riferimento a peculiari situazioni in cui, a seguito di un ingiustificato ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel corrispondere l’indennità di esproprio o il corrispettivo pattuito, il soggetto possa avere subito un danno a seguito della modifica normativa nel frattempo intervenuta e che non avrebbe subito ove il pagamento fosse avvenuto nel termine “ragionevole” di definizione dei procedimenti amministrativi.
La L. n. 241 del 1990, art. 2 bis introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ha disciplinato le conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento, stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1 ter , sono tenute al risarcimento del danno ingiusto
cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Nel caso di specie evidentemente tale termine risulta abbondantemente superato (oltre 15 anni).
Né rileva, ai fini della responsabilità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che il danno per il contribuente tragga origine dal ritardo del Comune nel pagamento della indennità (o del prezzo) e l’azione risarcitoria, in forza della convenzione, è dal danneggiato esercitabile contro lo RAGIONE_SOCIALE‘ quale ‘parte contraente, in quanto ai fini della CEDU lo RAGIONE_SOCIALE va considerato quale apparato unitario che dal punto di vista internazionale ha ‘un solo volto’ (raggruppando l’insieme di autorità cui l’ordinamento attribuisce il potere di emanare e di applicare le norme e i comandi con i quali lo RAGIONE_SOCIALE fa valere la sua supremazia) e che, dunque, ha il dovere di non vulnerare il diritto di proprietà e quello alla giustizia del processo per come tutelati dall’art. 6 CEDU e art. 1 Prot. n. 1 annesso alla CEDU – dir. proprietà.
Occorre, ai fini della decisione del presente giudizio, anche esaminare la decisione CEDU 16.3.2010 (Caso COGNOME COGNOME c. Italia) che si riferisce ad una fattispecie analoga a quella in esame. Nel caso sottoposto all’attenzione della CEDU trattavasi del ritardato pagamento di una indennità di espropriazione anteriore all’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991. La Corte di cassazione, nella fattispecie esaminata dalla CEDU, aveva accolto il ricorso dell’Amministrazione ritenendo applicabile il principio di cassa con riferimento al versamento dell’indennità di espropriazione.
La Corte Europea ha rilevato che anche se una eventuale applicazione retroattiva della L. n. 413 del 1991 al caso del ricorrente non avrebbe costituito di per sé una violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1, poiché questa disposizione non vieta, come tale, l’applicazione retroattiva di una legge fiscale (M.A. e altri c. Finlandia (dec), no. 27793/ 95, 10 Giugno 2003, e COGNOME
(no. 2), decisione precitata), tuttavia assume rilevanza il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione al rimborso, con un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale.
La Corte di Giustizia ha ritenuto la responsabilità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE italiano per non aver dato esecuzione ad una sentenza della Corte di appello di Catania (definitiva in data 8 maggio 1991) nel termine di sette mesi dall’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991 che introduceva la tassabilità dell’indennità di espropriazione. Rilevava, al riguardo, la CEDU che il ritardo da parte della Pubblica Amministrazione nel dare esecuzione alla sentenza aveva avuto un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale in quanto l’indennità concessa al ricorrente non sarebbe stata assoggettata all’imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l’esecuzione della sentenza fosse stata regolare e tempestiva. La Corte europea ha quindi ritenuto che l’applicazione della L. n. 413 del 1991 ha infranto il “giusto equilibrio” che deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, ritenendo sussistere la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1.
Lo RAGIONE_SOCIALE italiano veniva, quindi, condannato alla restituzione della somma “prelevata” a titolo d’imposta oltre al risarcimento del danno morale per la sensazione di impotenza e di frustrazione di fronte al ritardo nel versamento dell’indennità di espropriazione, “raddoppiata” dall’entrata in vigore ed all’applicazione a suo danno della L. n. 413 del 1991. La fattispecie in esame presenta analogie con il caso deciso dalla CEDU, (nel caso in esame, come già rilevato, la cessione volontaria degli appezzamenti di terreno era avvenuta in data 15 ottobre 1981 e 3 ottobre 1982 e il pagamento è avvenuto a distanza di oltre 15 anni). Il contrasto tra la norma interna e i principi affermati dalla CEDU può dar luogo a una questione di legittimità costituzionale, ove non sia possibile una
interpretazione della normativa nazionale in modo convenzionalmente orientato, in quanto la compatibilità tra la Costituzione e i principi Cedu è devoluta alla Corte Costituzionale (Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007). Una tale soluzione alternativa è possibile solo se la norma non è rigida, cioè se è possibile da parte del giudice nazionale una interpretazione conforme ai principi comunitari, dovendosi applicare, altrimenti, il brocardo “in claris non fit interpretatio”, rimettendo alla Corte Costituzionale la questione della legittimità della normativa nazionale confliggente con i principi della CEDU. La Corte di Cassazione, così come le Commissioni tributarie, prima di sollevare questione di costituzionalità devono verificare se sia possibile una interpretazione dei principi CEDU in modo costituzionalmente orientato, cioè conforme alla Costituzione.
La CEDU è una RAGIONE_SOCIALE principali fonti di diritto internazionale di fonte pattizia e, in caso di contrasto non sanabile da una interpretazione conforme RAGIONE_SOCIALE norme nazionali, la Corte Costituzionale costituisce parametro interposto di legittimità costituzionale RAGIONE_SOCIALE leggi, da sottoporre al previo riscontro di conformità con la Costituzione.
La c.d. ” Interpretazione conforme”, sarà tuttavia possibile solo ove la norma, come già evidenziato, non sia “rigida”, e si presti a una differente opzione interpretativa, stante il suo significato suscettibile di diversa valutazione. Tale interpretazione va sempre tentata dal giudice nazionale pur considerando le difficoltà del “judicial transplant” derivanti dalla diversità degli strumenti dell’argomentazione giuridica, del metodo e degli effetti RAGIONE_SOCIALE pronunce’.
5.2. Ha quindi proseguito, questa Corte di legittimità, osservando che ‘la decisione della CEDU si riferisce ad fattispecie concreta, e non aspira a definire massima di giudizio e non è universalizzabile perché frutto di “sincretismo pragmatico”,
così come evidenziato dalla dottrina, mentre la fattispecie da cui sorge l’incidente di costituzionalità viene universalizzata in una massima della Consulta che trova applicazione generalizzata. La Corte di Strasburgo, le cui regole si applicano in 47 nazioni, ha un approccio sostanzialista, mentre i giudici nazionali, tra cui anche la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione adottano un indirizzo formalista. Nel caso di specie, tenendo conto di tali principi, come già evidenziato e come risulta evidente dal diverso significato già attribuito alla normativa in esame da una parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, appare possibile una interpretazione della legislazione nazionale conforme ai principi comunitari.
Va, quindi affermato il seguente principio di diritto: ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989. Tuttavia qualora gli atti integranti il trasferimento cui consegue la plusvalenza, cioè, rispettivamente, il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva, siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza .
La diversa interpretazione, sia pure prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, sarebbe anche in contrasto con i principi costituzionali: a) di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non potendosi consentire che lo RAGIONE_SOCIALE, sempre inteso quale RAGIONE_SOCIALE “apparato”, nella sua veste di debitore, possa trarre vantaggio dal proprio inadempimento costituito dall’aver tardato ingiustificatamente (nella fattispecie per
ben tra lustri) di corrispondere il conguaglio a seguito di cessione bonaria di beni nell’ambito di una procedura espropriativa; b) degli obblighi internazionali come limite generale di validità della legislazione statale e regionale (art. 117 Cost.); c) del giusto processo e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) dovendosi evitare che il contribuente, già danneggiato dal comportamento dilatorio della P.A., sia costretto a un ulteriore iter giudiziario davanti agli organi sovranazionali la fine di ottenere il risarcimento del danno, quando il medesimo risultato perseguito dall’interessato (c.d. “bene della vita”) può essergli riconosciuto in forza di una interpretazione convenzionalmente orientata della normativa nazionale, evitando, tra l’altro, l’eventuale apertura di procedura di infrazione nei confronti RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE italiano e ulteriori aggravi costituiti dalle spese per la difesa in giudizio davanti agli organi sovranazionali e nazionali’, Cass. sez. V, 22.1.2013, n. 1429 (evidenza aggiunta. Conf. Cass. sez. V, 4.8.2020, n. 16629, Cass. sez. V, 11.7.2023, n. 19785).
6. Il primo motivo di ricorso proposto dalla contribuente deve pertanto essere accolto, assorbito il secondo, cassandosi la decisione impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché proceda a nuovo giudizio, anche valutando se abbia avuto a verificarsi un ritardo ingiustificato nell’erogazione RAGIONE_SOCIALE somme da parte dell’Amministrazione.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M .
accoglie il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME NOME , assorbito il secondo, cassa la decisione impugnata e rinvia innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio e provveda anche a regolare le spese processuali del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, il 7.3.2024.