Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32412 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32412 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
Oggetto: avviso di accertamento -ristretta base sociale -coniugi -legale rappresentante
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23963/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domici-
liata in Roma, INDIRIZZO costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 comma 1 cod. proc. civ.;
-resistente – avverso la sentenza n.1130/15/17 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata l’8 .3.2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 17533/7/15 con la quale il giudice aveva respinto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n.NUMERO_DOCUMENTO/2011. Mediante tale atto impositivo l’Agenzia delle Entrate rettificava i ricavi dichiarati dalla società per l’anno 2008 e intimava il pagamento di maggiori II.DD., IVA, sanzioni ed interessi.
L’accertamento , emesso ex artt. 32, 39 del d.P.R. n.600/1973 e 51 del d.P.R. n.633/1972 nei confronti della contribuente, esercente attività di autonoleggio, veniva integralmente confermato dalla sentenza di primo grado, sul presupposto che l’atto impositivo fosse stato regolarmente sottoscritto per conto dell’Amministrazione finanziaria e, nel merito, che la società ricorrente non avesse provato che le movimentazioni bancarie, riconducibili all’amministratore e socio all ‘ 1% NOME COGNOME, a sua volta imprenditore esercente attività di carrozziere ed autoriparatore titolare di partita IVA, fossero estranee all’attività svolta e non avessero quindi concorso a formare il reddito societario in aggiunta a quello dichiarato.
Il giudice d’appello confermava tale esito decisorio. Con riferimento alla questione preliminare, ragionava sulla non tempestività della questione e non applicabilità della sentenza della Corte costituzionale
n. 37/2015, accertando la legittimità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento impugnato. Nel merito, condivideva la valutazione del giudice di prime cure, secondo cui la società, sia nella fase precontenziosa sia nel corso del giudizio, aveva prospettato solo generiche e non provate affermazioni atte a confutare l’operato dell’A mministrazione finanziaria. In particolare, nessuna prova era stata fornita in ordine alla riconducibilità ad altre società delle movimentazioni bancarie riferite a NOME Fontana.
Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque censure, che illustra con memoria, mentre l’Agenzia delle Entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso deduce, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. 600/73, 17, comma 1-bis, d. lgs. 165/01, riguardo alla sottoscrizione dell’avviso impugnato, perché la CTR avrebbe illegittimamente ritenuto valido un accertamento sottoscritto da un soggetto delegato dal direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate sulla base di un atto di conferimento di poteri non nominativo, privo di termini temporali e di motivazione.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione da parte del giudice degli artt. 42 del d.P.R. 600/73, 136 Cost., in considerazione della sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015, non avendo tenuto conto che l’accertamento impugnato era stato sottoscritto da un soggetto privo dei necessari poteri.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e sono manifestamente infondati alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte.
3.1. Va premesso che nessun effetto ha sul giudizio la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015, innanzitutto perché la deduzione del fatto sotteso alla questione decisa dalla Consulta dev’essere stata tempestivamente posta sul piano fattuale nel processo (Cass. Sez. 5, sentenza n. 22810 del 9/11/2015) e ciò non è stato dimostrato dalla ricorrente, ma anche in quanto la ricorrente non allega né dimostra che il funzionario sottoscrittore dell’avviso impugnato fosse assegnato temporaneamente a mansioni superiori, in assenza di procedura concorsuale volta alla copertura dei posti dirigenziali.
Inoltre, la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni, secondo la condivisa interpretazione della Cassazione (tra le molte, si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n.8814 del 29/03/2019). Ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega che, pertanto, può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ex post , la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto.
3.2. Orbene, la ricorrente non si confronta con la attuale pertinente giurisprudenza della Sezione, ormai consolidata. Da tempo la giurisprudenza ha statuito che ciò che ai fini della delega di firma rileva, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3 del d.P.R. n. 600 del 1973, è che gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da
altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale.
3.3. Irrilevante è ciò che deduce la società, ossia l’assenza di specifica indicazione nominativa, dell’ indicazione delle ragioni di servizio che hanno indotto il direttore a delegare, come pure la durata della delega, sulla base del richiamato e consolidato principio di diritto cui va data ulteriore continuità. Nel caso di specie, inoltre, non è specificamente contestata la qualifica e il ruolo del sottoscrittore, funzionario direttivo capo ufficio controlli, capo area e capo team, come si legge anche a pag. 9 del ricorso, ossia funzionario appartenente alla terza area funzionale, corrispondente all’ex carriera direttiva. Inoltre, è lo stesso ricorso a precisare che è stato prodotto anche l’ordine di servizio prescritto, con conseguente manifesta infondatezza delle censure in disamina.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 37 e 39 del d.P.R. 600/73, 51 e 54 del d.P.R. 633/72, circa l’attribuzione alla società delle movimentazioni bancarie contestate. La ricorrente contesta il fatto che l’Amministrazione abbia posto alla base dell’atto di accertamento i versamenti e i prelievi eseguiti sul conto di NOME COGNOME, senza indicare né provare sulla base di quali presunzioni gravi, precise e concordanti il conto dovesse ritenersi riferibile alla società.
Il quinto motivo prospetta, ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, 37 e 40 del d.P.R. 600/73, per omessa considerazione delle altre imprese di carrozzeria riferibili a NOME COGNOME circa il capo della motivazione in cui il giudice accerta che «nessuna prova è stata fornita in ordine alla riconducibilità ad altre società delle movimentazioni bancarie riferite al Fontana».
6. I due mezzi di impugnazione, da trattarsi congiuntamente perché tra loro connessi, in quanto relativi all’applicazione nella fattispecie delle risultanze delle indagini bancarie operate sui conti correnti di NOME COGNOME e, in particolare, alla riferibilità delle movimentazioni su tali conti alla società, sono inammissibili.
6.1. Innanzitutto, le censure sono manifestamente infondate in quanto va ricordato che in tema di accertamento dell’IVA come nel caso oggetto del giudizio, la giurisprudenza della Corte ha più volte (cfr. ad es. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12276 del 12/06/2015) chiarito che la presunzione stabilita dall’art. 51, secondo comma, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui le movimentazioni sui conti bancari risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio finanziario si presumono conseguenza di operazioni imponibili, opera anche in relazione alle società di capitali con riferimento alle somme di danaro movimentate sui conti intestati ai soci e amministratori. I conti devono ritenersi riferibili alla società contribuente stessa, in presenza di elementi sintomatici di sostanziale riferibilità alla società di cui l’Amministrazione ha dato conto e il giudice accertato. In tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari debbano, in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario, ascriversi alla società a ristretta base sociale sottoposta a verifica.
6.2. Parallelamente, relativamente alle riprese per imposte dirette, la Sezione (v., tra le molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8112 del 22/04/2016) ha stabilito che, in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente. Al contrario, si estende anche a quelli intestati ai
soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità alla società dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati. In tal caso, non vi è necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 cit., incombe sulla società contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa.
6.3. La Sezione (cfr. Cass., Sez. 5, ordinanza n. 30098 del 21/11/2018) ha inoltre già affermato che, in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perché la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa.
Dunque, la ristretta base sociale e i legami di parentela tra i soci sono elementi idonei a fondare le presunzioni di cui all’art.32 cit. Del resto, è stato anche affermato dalla Corte (v. Cass. Sez. 5, sentenza n. 12624 del 20/07/2012) che l’Ufficio finanziario, nella fase delle indagini dirette all’accertamento della evasione di imposta da parte di una società di capitali, è legittimato a richiedere agli istituti bancari, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7), e del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7), l’accesso ai conti e depositi bancari formalmente intestati ai soci anche non amministratori e – in caso di ristretta compagine sociale – anche ai conti/depositi intestati ai loro familiari,
qualora sussistano anche soltanto “fondati sospetti” che la società verificata abbia partecipato ad operazioni imponibili “soggettivamente” inesistenti volte a evadere l’imposta sul valore aggiunto.
Le interpretazioni sopra richiamate sono interamente condivise dal Collegio.
7.1. Nella fattispecie, la presunzione di cui all’art.32 cit. opera sicuramente in presenza di circostanziati indizi quali, in primo luogo, il fatto che le condotte verifiche bancarie operano in relazione ad una società capitali a ristretta base sociale circa le somme di danaro movimentate sul conto intestato all’ amministratore e socio.
7.2. In secondo luogo, la società non è solo a base ristrettissima, due soci appena, rispettivamente all’1 e al 99% delle quote, ma essi sono anche coniugi, e la relazione di parentela di primo grado tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci.
7.3. In terzo luogo, nel ricorso stesso, a pagina 2, si legge che «l ‘accertamento imputava alla ricorrente (società di autonoleggio), quali ricavi, tutte le movimentazioni, sia in entrata che in uscita, presenti sul conto del sig. NOME COGNOME quale amministratore della società» e, dunque, è parte ricorrente stessa a identificare l’indagine bancaria come condotta specificamente sul conto del socio quale amministratore della specifica società e non di altre di cui eventualmente egli sia pure amministratore.
7.4. In presenza di tali circostanziati indizi, è conforme a legge l’interpretazione condotta dal giudice d’appello che ne ha tratto il fondamento per l’applicazione dell’art.32 del d.P.R. n. 600/1973. Ne deriva che non vi è necessità di provare che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi dell’art. 32 cit., incombe sulla società contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa.
7.5. Orbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di diritto summenzionati, in quanto è pacifico il fatto che NOME COGNOME era amministratore e socio della società. Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente di cui alle previsioni di legge sopra richiamate, in virtù delle quali le movimentazioni di denaro risultanti dai dati acquisiti dall’ufficio si presumono costituire conseguenza di operazioni imponibili, è rimesso al socio e legale rappresentante dimostrare in relazione ad ogni singola movimentazione dei conti oggetto di contestazione, la loro estraneità all’attività di impresa, onere che la CTR ha accertato non essere stato assolto.
7.6. Deve anche ribadirsi che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis, v. Cass. n. 26110 del 2015; Cass. 7 aprile 2017 n. 9097). Infatti, è condiviso il principio secondo il quale con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito. A quest’ultimo resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le
prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Anche per tale ragione le due censure in disamina sono inammissibili.
Con il quarto motivo la società deduce, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, con riferimento all’eccepita violazione o falsa applicazione degli artt. 32, 37 del d.P.R. 600/73 e dell’art. 51 del d.P.R. 633/72, avendo il giudice mancato di rilevare l’incoerenza tra le presunzioni in materia di imposte dirette ed IVA.
Il motivo è inammissibile per doppia conforme quanto al paradigma del prospettato vizio motivazionale, alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
10. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Non vi è necessità di provvedere sulle spese di lite considerato che l’Amministrazione finanziaria, costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 comma 1 cod. proc. civ., non ha svolto effettiva attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/09/2024