Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33810 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
Oggetto: avviso di accerta- mento – IRPEF – partecipa- zione sociale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18461/2018 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL e dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dei difensori;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO costituita ai soli fini
dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art.370, comma 1, cod. proc. civ.;
-resistente – avverso la sentenza n.7745/7/2017 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio depositata il 19.12.2017, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del l’8 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio veniva rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n. 20159/37/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di rigetto del ricorso introduttivo proposto dal contribuente avverso l ‘ avviso di accertamento n. TK501P404186/2012 per l’importo di euro 135.762,00 quale reddito di partecipazione IRPEF per l’anno di imposta 2007.
In sentenza si legge che l’Amministrazione finanziaria contestava che la società RAGIONE_SOCIALE, costituita dai due soci al 50%, NOME COGNOME e NOME COGNOME, aveva emesso fatture per operazioni inesistenti per euro 279.661,00 nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE create dai due soci anzidetti per la medesima attività di pulizia e di edifici svolta dalla RAGIONE_SOCIALE al fine di detrarre l’IVA e dedurre costi dalla base imponibile.
Il giudice di prime cure disattendeva le doglianze preliminari del contribuente e, nel merito, riteneva legittimo l’avviso impugnato, accertando l’insistenza delle operazioni contestate. La decisione veniva confermata integralmente in appello.
Propone ricorso il contribuente, affidato a sette motivi, mentre l’Agenzia delle Entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art.370, comma 1, cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., viene censurata la sentenza di appello, per violazione degli artt. 56, 2° e 5° comma, d.P.R. 633/72, 42, 2° e 3° comma, d.P.R. 600/73 e 7, d.lgs. 212/2000, per aver la CTR ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, sebbene lo stesso non contenesse la trascrizione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo avevano determinato, non avendo indicato e allegato la segnalazione della Direzione Provinciale III di Roma (asseritamente non conosciuta né conoscibile dal ricorrente) che aveva originato l’avviso di accertamento a carico del contribuente.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità perché il ricorrente non riproduce il contenuto dell’avviso di accertamento per consentire alla Corte di valutarne il contenuto motivazionale. Non è sufficiente quanto trascritto in ricorso che pare solo la ‘premessa’ dell’atto impositivo, mentre la parte avrebbe dovuto riprodurre tutta la parte motivazionale non essendo all’uopo sufficiente nemmeno il rinvio al documento prodotto in primo grado.
Il secondo motivo, relativo alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2697 cod. civ., 39 d.P.R. 600/1973 e 54 d.P.R. 633/1972, in rapporto all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., lamenta il fatto che la CTR, nella sentenza impugnata, non ha indicato gli elementi da cui ha tratto presunzioni gravi, precise e concordanti poste alla base del metodo di accertamento adottato dall’Ufficio, diverse dalla ristretta base sociale della società.
4. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza. E’ inammissibile nella parte in cui, lamentando il fatto che la sentenza impugnata conterrebbe un mero e generico richiamo al principio che sorregge la presunzione semplice di fondatezza della pretesa senza entrare nel merito della vicenda ed eseguire un’analisi ponderata degli elementi indiziari ritenuti rilevanti per la legittimità dell’atto impositivo, sostanzialmente prospetta una motivazione apparente, ma senza dedurre il corrispondente paradigma normativo (art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ.). E’ inoltre infondato sulla base della costante giurisprudenza della Corte (Cass. Sez. 5, sentenza n. 27778 del 22/11/2017), secondo la quale in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti. La presunzione di distribuzione degli utili tra i soci ha origine nella partecipazione (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 32959 del 20/12/2018) e, pertanto, prescinde dalle modalità di accertamento, ferma restando la possibilità per i soci di fornire prova contraria e al riguardo la motivazione della CTR è congrua.
5. Gli ulteriori motivi terzo, quarto, quinto e sesto sono tutti vertenti sulla prova sotto l’angolo della violazione di legge. Rispettivamente, si invoca la violazione dell’art. 2729 cod. civ. quanto agli elementi da cui sono state tratte presunzioni circa l’inesistenza delle operazioni economiche contestate come inesistenti, individuate unicamente nella partecipazione societaria di NOME COGNOME nelle compagnie sociali delle due società indicate dall’Agenzia come cartiere (terzo motivo); degli artt.54 d.P.R. n.633/1972 e 2697 cod. civ. con riferimento al riparto dell’onere della prova (quarto motivo); degli
artt. 2697, 2727 e 1417 cod. civ. in relazione ali artt. 54, 2° e 3° comma, d.P.R. 633/72 e 39 lett. c) e d) del d.P.R. 600/73, 16 cod. proc. civ. per aver il giudice addossato completamente l’onere della prova sul contribuente (quinto motivo); dell’art. 2697 cod. civ., perché non spetta al contribuente provare la regolarità delle operazioni poste in essere con i soggetti ‘cartiera’ ma, al contrario, incombe sull’Amministrazione provare il coinvolgimento del contribuente nella frode carosello (sesto motivo).
I motivi, connessi e largamente ripetitivi, sono infondati.
6.1. Va premesso che a pag.3 la sentenza impugnata ha qualificato le operazioni contestate come oggettivamente inesistenti, citando anche specifica giurisprudenza della Corte («in tema di imposte sui redditi, e con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, ai sensi, dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012 (…) ») e che tale qualificazione non è contestata in ricorso.
6.2. Orbene, quando le riprese sono per operazioni oggettivamente inesistenti, questa Sezione ha più volte affermato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018) che una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
6.3. Così inquadrato il canone probatorio applicabile alla fattispecie, va al proposito rammentato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi ai fini
della disamina della fondatezza delle riprese: la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi, sebbene preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 12002 del 2017; Cass. n. 5374 del 2017). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.
Infine, quanto alla valutazione della prova contraria, il Collegio osserva come, per consolidata interpretazione giurisprudenziale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie offerte dalle parti e, come emerge dalla stessa formulazione del ricorso e della censura, nella fattispecie il fatto storico alla base dell’inesistenza delle operazioni è indubbiamente stato valutato dal giudice e deciso in senso sfavorevole alla contribuente, non potendo la Corte rivalutare il merito e i singoli indizi di prova nei termini indicati dalla parte. Gli elementi presuntivi di inesistenza delle operazioni sono validi a giustificare la ripresa a tassazione, avendo il giudice escluso per genericità la prova contraria, sicché anche le violazioni di legge dedotte sono infondate.
È inammissibile il settimo motivo, con cui viene prospettata l’omessa motivazione ai fini dell’art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ., da parte del giudice sulla seguente doglianza inserita nell’atto di appello (cfr. pp. 28-29 ricorso): «non si intende il motivo per il quale avendo il socio NOME COGNOME ceduto le proprie quote nel
2006 (15/6/2006), abbandonando ogni potere gestionale dell’impresa, lo stesso debba essere ritenuto responsabile per fatturazioni, di dubbia legittimità, relative all’annualità 2007 nel corso del cui anno lo stesso non rivestiva più alcuna carica sociale né la qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE Anche a voler ritenere che l’avviso si possa legittimamente (ma così non è) riferire all’anno 2006, vale lo stesso ragionamento appena manifestato (il Pino cedeva le quote nel giugno 2006) e ciò avuto altresì riguardo affatto che l’amministrazione non specifica l’esatto periodo cui si riferiscono le fatture ‘evase’ ».
7.1. Il Collegio osserva al proposito che l ‘art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012. La novella trova applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 19 dicembre 2017 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal ‘vecchio’ n.5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014). Se del caso, la questione andava posta come omessa pronuncia ai fini dell’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ. con i connessi profili di specificità e localizzazione della questione, ossia dimostrazione della introduzione in primo grado, prima ancora che della riproposizione in appello.
8. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite non seguono la soccombenza, in assenza di effettiva attività difensiva svolta dall’Agenzia.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8.11.2024