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Risarcimento danno tassabile: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19275/2025, ha stabilito un principio fondamentale sulla tassabilità del risarcimento del danno. Il caso riguarda una lavoratrice che ha ricevuto una somma a titolo di risarcimento per l’illegittima reiterazione di contratti a termine da parte di un’amministrazione pubblica. La Corte ha chiarito che tale somma non è automaticamente un reddito imponibile. È necessario verificare se il risarcimento ha una funzione sostitutiva di un reddito mancato (lucro cessante), nel qual caso è tassabile, oppure se ristora un danno di natura diversa, non patrimoniale o da ‘danno comunitario’, nel qual caso è esente da imposte. La sentenza di merito è stata cassata con rinvio perché non aveva compiuto questa fondamentale distinzione.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Risarcimento danno tassabile: quando è esente da IRPEF?

Il tema del risarcimento danno tassabile è una questione complessa che spesso genera dubbi tra i contribuenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, in particolare per le somme ricevute a seguito di illegittima reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale: non ogni risarcimento è reddito. Approfondiamo i fatti e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dalla richiesta di rimborso IRPEF presentata da una contribuente. Quest’ultima aveva ottenuto in un precedente giudizio un risarcimento del danno dal Ministero dell’Università e della Ricerca a causa dell’abuso di contratti a tempo determinato, reiterati per anni senza mai una stabilizzazione. Sulla somma liquidata era stata operata una ritenuta fiscale, che la lavoratrice riteneva non dovuta. Di fronte al silenzio dell’Agenzia delle Entrate, che equivale a un diniego, la contribuente ha avviato un contenzioso tributario.

Il percorso giudiziario è stato altalenante:
1. La Commissione Tributaria Provinciale (primo grado) aveva dato parzialmente ragione alla lavoratrice, riconoscendo la non tassabilità delle somme a titolo di risarcimento del danno, ma non di quelle per differenze stipendiali.
2. La Commissione Tributaria Regionale (secondo grado), accogliendo l’appello dell’Ufficio, aveva invece ribaltato la decisione, ritenendo l’intera somma imponibile.

La contribuente ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il giudice d’appello avesse errato nel qualificare la somma come reddito da lavoro, ignorandone la natura puramente risarcitoria.

La Decisione e il Principio Sostitutivo

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi centrali del ricorso, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il cuore della decisione ruota attorno all’interpretazione dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986 (TUIR). Secondo questa norma, le somme percepite a titolo risarcitorio sono imponibili solo se hanno una funzione sostitutiva di redditi che sarebbero stati tassabili (il cosiddetto “lucro cessante”).

In altre parole, il risarcimento danno tassabile è quello che va a compensare la mancata percezione di un reddito, come stipendi o profitti non conseguiti. Al contrario, non è tassabile il risarcimento che ristora un pregiudizio di natura diversa, come un danno emergente o un danno non patrimoniale.

L’importanza del Danno Comunitario nel risarcimento danno tassabile

Nel caso specifico di abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego, la Cassazione, richiamando un suo precedente a Sezioni Unite (n. 5072/2016), ha specificato che il risarcimento previsto dalla legge ha una valenza sanzionatoria e mira a ristorare il cosiddetto “danno comunitario”. Questo danno non consiste nella mera perdita di retribuzioni, ma nel pregiudizio derivante dalla precarizzazione del rapporto di lavoro in violazione delle normative europee.

Di conseguenza, tale somma non può essere automaticamente ricondotta a una funzione sostitutiva del reddito. Il giudice di merito ha il dovere di accertare concretamente la natura del danno risarcito: se la somma compensa la perdita di chance professionali o la stabilizzazione del lavoro (danno non patrimoniale o comunitario), essa è esente da imposte. Se, invece, copre specificamente mancate retribuzioni, allora è imponibile.

le motivazioni

La Corte ha ritenuto fondati il terzo e il quarto motivo di ricorso, criticando la sentenza impugnata per aver completamente omesso di indagare sulla natura della somma liquidata. Il giudice d’appello si era limitato a considerarla reddito senza distinguere tra la sua possibile funzione sostitutiva e quella meramente risarcitoria. Questo, secondo la Cassazione, costituisce un error in iudicando, ovvero un errore nell’applicazione della legge.

La motivazione della Suprema Corte è chiara: l’onere di qualificare la natura del risarcimento spetta al giudice di merito, che deve analizzare gli elementi di fatto e le ragioni della liquidazione. Non è possibile applicare una presunzione di tassabilità. L’errore del giudice di secondo grado è stato proprio quello di non aver svolto questo accertamento, obliterando un fatto decisivo per il giudizio.

le conclusioni

La decisione della Cassazione rappresenta un punto fermo per tutti i lavoratori, specialmente del settore pubblico, che ottengono un risarcimento per l’abuso di contratti a termine. Le conclusioni pratiche sono le seguenti:
1. Non tutto il risarcimento è reddito: Le somme ricevute non sono automaticamente soggette a IRPEF.
2. È necessaria un’analisi caso per caso: Bisogna distinguere se il risarcimento copre mancati guadagni (tassabile) o se ristora un danno diverso, come la perdita di stabilità e opportunità (esente).
3. Il “danno comunitario” non è reddito: Il risarcimento per la violazione delle norme UE sui contratti a termine ha natura sanzionatoria e non sostitutiva di reddito, orientando quindi verso la non tassabilità.

La causa è stata rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria della Campania che, in diversa composizione, dovrà ora attenersi a questi principi per decidere nuovamente sulla questione.

Quando un risarcimento del danno è soggetto a tassazione IRPEF?
Secondo la Corte, un risarcimento è soggetto a tassazione solo quando ha una funzione sostitutiva di redditi, ovvero quando compensa la mancata percezione di somme che, se incassate, sarebbero state tassabili (principio del lucro cessante). Non è tassabile se ristora un pregiudizio di natura diversa (danno emergente o non patrimoniale).

Il risarcimento per l’abuso di contratti a termine nel pubblico impiego è tassabile?
Non automaticamente. La Corte ha stabilito che il giudice deve verificare la natura del risarcimento. Se la somma compensa il cosiddetto “danno comunitario”, derivante dalla precarizzazione del rapporto in violazione delle norme UE, ha una funzione sanzionatoria e risarcitoria non reddituale, e quindi non è tassabile. Se invece ristora specifiche mancate retribuzioni, è imponibile.

Cosa ha deciso la Corte di Cassazione in questo specifico caso?
La Corte ha cassato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale che aveva ritenuto l’intera somma tassabile. Ha rinviato il giudizio affinché il giudice di merito proceda a un nuovo esame, valutando se la somma liquidata avesse funzione sostitutiva di reddito o natura puramente risarcitoria per un danno di diversa natura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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