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Risarcimento danno demansionamento: quando è tassabile?

Un’azienda ha dedotto un importo versato a un dipendente a titolo di risarcimento danno demansionamento, qualificandolo come danno biologico in un accordo transattivo. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la deduzione. La Corte di Cassazione ha stabilito che spetta al contribuente provare che la somma risarcisce un danno non tassabile (danno emergente) e non una perdita di reddito (lucro cessante). Un semplice accordo transattivo non è una prova sufficiente.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Risarcimento danno demansionamento: la Cassazione chiarisce i confini della tassabilità

Il tema del risarcimento danno demansionamento e del suo corretto trattamento fiscale è spesso fonte di contenzioso tra contribuenti e Amministrazione Finanziaria. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sulla distinzione fondamentale tra somme tassabili e non tassabili, ponendo l’accento sull’onere della prova a carico del contribuente. La decisione analizza il caso di un’azienda che aveva dedotto un importo corrisposto a un dipendente a seguito di un accordo transattivo per presunti danni biologici da demansionamento.

I Fatti di Causa

Una società si vedeva notificare un avviso di accertamento IRAP con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava un’imposta di oltre 36.000 euro. L’oggetto del contendere era la deduzione di una spesa per il personale di 125.000 euro, che l’azienda aveva contabilizzato come risarcimento per danno biologico derivante da demansionamento, corrisposto a un dipendente tramite un accordo transattivo. L’Amministrazione Finanziaria, invece, riqualificava tale somma come reddito di lavoro dipendente, e quindi non deducibile in quel modo ai fini IRAP.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale dava ragione all’Agenzia su questo specifico punto, la Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione. I giudici d’appello ritenevano che la natura transattiva dell’accordo e le esigenze di riservatezza giustificassero la mancata produzione di documentazione dettagliata a prova dell’effettiva esistenza del danno. Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione.

Il trattamento fiscale del risarcimento danno demansionamento

La questione giuridica fondamentale ruota attorno a un principio cardine del nostro ordinamento tributario, sancito dall’articolo 6 del TUIR: le somme percepite a titolo di risarcimento sono tassabili se vanno a sostituire un reddito mancato. Si delinea così una netta distinzione:

1. Lucrum Cessans (Mancato Guadagno): Rientrano in questa categoria le somme che compensano la perdita di un reddito, presente o futuro (ad esempio, a causa di un’inabilità temporanea al lavoro). Queste somme sono soggette a tassazione in quanto hanno natura sostitutiva del reddito che non è stato percepito.
2. Danno Emergente (Perdita Subita): In questa categoria rientrano i risarcimenti per danni non patrimoniali (biologico, morale, esistenziale, all’immagine professionale) o per danni che colpiscono direttamente il patrimonio del soggetto senza essere legati a un mancato reddito. Queste somme, non avendo natura reddituale, sono esenti da tassazione.

Nel caso specifico del demansionamento, è cruciale distinguere tra il danno derivante dalla perdita di reddito (tassabile) e quello legato all’impoverimento della capacità professionale, alla perdita di ‘chances’, al danno biologico o esistenziale (non tassabile).

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza d’appello. Il ragionamento dei giudici supremi è stato netto e si è basato su un principio fondamentale del diritto processuale: l’onere della prova, disciplinato dall’art. 2697 del codice civile.

Secondo la Corte, spetta al contribuente che intende beneficiare di un regime fiscale agevolato (in questo caso, la non tassabilità del risarcimento) dimostrare l’esistenza dei presupposti. Nel caso di specie, l’azienda avrebbe dovuto provare in modo inequivocabile che la somma di 125.000 euro era stata corrisposta per risarcire un ‘danno emergente’ e non un ‘lucro cessante’.

I giudici hanno specificato che un semplice accordo transattivo stipulato con il dipendente non costituisce una prova sufficiente. Si tratta, infatti, di un atto contrattuale tra il contribuente e un terzo, che non può, da solo, vincolare l’Amministrazione Finanziaria. Inoltre, la Corte ha definito ‘risibile’ l’argomento della tutela della riservatezza, sottolineando come tale esigenza sia del tutto irrilevante in sede processuale, dove prevale la necessità di accertare la verità dei fatti attraverso le prove.

Conclusioni

La decisione in esame ribadisce un principio fondamentale per le imprese: quando si stipulano accordi transattivi con i dipendenti per risarcimento danno demansionamento, non è sufficiente qualificare la somma come ‘danno biologico’ o ‘danno non patrimoniale’ per garantirne la non tassabilità. È indispensabile che l’azienda si doti di documentazione concreta e probante (perizie medico-legali, documentazione che attesti l’effettivo impoverimento professionale, ecc.) in grado di dimostrare, in un eventuale giudizio tributario, la natura non reddituale delle somme erogate. In assenza di tale prova rigorosa, il Fisco è legittimato a riqualificare l’importo come reddito e a sottoporlo a tassazione.

Una somma pagata a un dipendente come risarcimento per demansionamento è sempre tassabile?
No, dipende dalla natura del danno risarcito. Se sostituisce un reddito mancato (lucro cessante) è tassabile; se risarcisce un danno non patrimoniale (come quello biologico o esistenziale) o un impoverimento della capacità professionale (danno emergente), non è tassabile.

A chi spetta l’onere di provare la natura non tassabile del risarcimento?
L’onere della prova spetta al contribuente (in questo caso, l’azienda che ha erogato la somma) che deve dimostrare che il risarcimento è stato corrisposto per un danno emergente e non per una perdita di reddito.

Un accordo transattivo tra azienda e lavoratore è una prova sufficiente per dimostrare la natura del danno ai fini fiscali?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un accordo contrattuale tra il contribuente e un terzo (il lavoratore) non è di per sé una prova sufficiente. Il contribuente deve fornire elementi concreti che dimostrino la reale natura del danno risarcito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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