Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2949 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2949 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto:
conferimento
immobili-
cessione
quote
–
riqualificazione operazione esente e
non fuori campo – rettifica pro-rata
IVA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22967/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PECEMAIL) unitamente e disgiuntamente con l’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL in forza di procura speciale in calce al ricorso per cassazione
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 1239/29/2016 depositata in data 08/03/2016, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificatole con il quale l’Ufficio riqualificava a fini iva relativamente al periodo d’imposta 2007 un atto di cessione di quote di fondo immobiliare stipulato dalla contribuente con la società RAGIONE_SOCIALE; tale operazione era qualificata dall’Agenzia delle Entrate come attività esente non accessoria e quindi da inserirsi nel calcolo del c.d. ‘pro rata’ di cui all’art. 15 c. 5 del d.P.R. n. 633 del 1972;
era quindi liquidata la conseguente maggiore iva derivante dalla conseguente rettifica del ‘pro rata’, oltre a interessi e sanzioni a seguito della rideterminazione della percentuale di detraibilità dell’iva in argomento;
la CTP rigettava il ricorso; appellava la società;
con la sentenza qui oggetto di ricorso per cassazione, il giudice del gravame ha confermato la statuizione di primo grado ritenendo -previa riqualificazione del contratto in essere – che la cessione oggetto di controllo riguardasse in realtà non la partecipazione nel fondo, ma il compendio immobiliare conferito, così anche escludendosi la classificazione dell’operazione in operazione fuori campo iva in quanto oggetto dell’attività imprenditoriale della RAGIONE_SOCIALE
ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a due motivi; la stessa ha anche depositato memoria in vista dell’adunanza camerale
resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
Considerato che:
va in primo luogo esclusa la rilevanza del giudicato al quale parte ricorrente fa riferimento in memoria depositata in data 2 ottobre 2024; le sentenze prodotte in detta sede invero non possono avere l’efficacia invocata da parte ricorrente;
-da tempo questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19152 del 15/12/2003) che nel processo tributario, perché risulti fondata l’eccezione di giudicato è necessario che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l’oggetto del
secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest’ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che, ove sorga un’obbligazione tributaria autonoma, non è configurabile la preclusione da giudicato allorché il precedente giudicato si riferisca ad un’annualità diversa dal periodo di imposizione considerato nella impugnata sentenza;
-nella fattispecie che ci occupa, trattandosi di operazioni di riqualificazione del contratto operata dall’Ufficio, è evidente che ogni operazione risulta, sotto il profilo di cui si è detto, del tutto autonoma, dipendendo la sua riqualificazione da elementi che variano nel corso di ogni singolo periodo d’imposta, in forza dei fatti accertati e del contenuto, sempre diverso, del regolamento contrattuale e dell’esegesi che se ne deve operare;
in ogni caso, poi, le pronunce delle quali si invoca il giudicato non sono rese tra le stesse parti del presente giudizio;
può quindi procedersi con l’esame dei motivi di ricorso;
il primo motivo di doglianza censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’operazione realizzata, vale a dire una cessione di quote di fondo immobiliare, all’esito della riqualificazione del contratto di cessione, fosse una operazione esente e non fuori campo iva;
il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 19 bis c. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che l’operazione oggetto dell’accertamento dovesse essere inclusa nel calcolo del c.d. ‘pro rata’ in quanto attività accessoria all’esercizio dell’impresa;
i motivi, che vertono entrambi sulla riqualificazione del contratto di cessione delle partecipazioni oggetto del conferimento nel fondo immobiliare ai fini della loro rilevanza in sede di determinazione dell’iva
indetraibile previa applicazione del c.d. ‘pro rata’, risultano strettamente connessi tra di loro, al punto di costituire sfaccettature di una medesima censura;
può quindi procedersi al loro esame congiunto; all’esito, i motivi risultano privi di fondamento;
va premesso che l ‘Amministrazione finanziaria ha il potere di verificare se le qualificazioni giuridiche che il contribuente ha effettuato siano corrette ai fini della funzione impositiva e, in definitiva, di interpretare l’atto in vista della determinazione della ricchezza sulla quale dovrà essere applicata l’imposta;
-tale attività interpretativa va collegata al perdurante potere dell’Amministrazione di interpretare il contratto, a fronte di situazioni di fatto diverse e, di conseguenza, individuare lo specifico regime tributario da applicare (Cass. n. 30974 del 2/11/2021);
da tempo questa Corte ammette infatti la sussistenza in capo all’ Ufficio non solo del potere di riqualificare in modo giuridicamente corretto i rapporti contrattuali tra le parti -facendo emergere la reale situazione legittimante la corretta imposizione -ma anche il connesso potere di rilevare invalidità contrattuali per ricondurre lo schema negoziale alle regole che debbono trovare effettiva applicazione;
in argomento, basterà richiamare quella giurisprudenza di questa Corte (per tutte si vedano per prima la risalente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12249 del 19/05/2010; seguita – tra molte – da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1568 del 27/01/2014) secondo la quale l’Amministrazione finanziaria, assumendo il correlativo onere probatorio, ha il potere di riqualificare -prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa – i contratti sottoscritti dal contribuente, ovvero di farne rilevare la simulazione o altri profili di invalidità, quale la nullità per mancanza di causa, e, conseguentemente, applicare un trattamento fiscale meno favorevole di quello conseguente agli effetti ricollegabili allo schema negoziale impiegato.
si tratta quindi, di due vie di intervento nei rapporti contrattuali attribuite all’Amministrazione finanziaria, che sono tra di loro alternative
(l’interpretazione corretta dei rapporti contrattuali, che li riqualifica nel giusto modo mantenendone validità, da un lato; il rilievo delle ragioni di invalidità, che -ai soli fini tributari, stante il disposto dell’art. 10 c. 3 della L. n. 212 del 2000 -consentono l’applicazione alla fattispecie della disciplina conseguente l’invalidità che deriva) ed ambedue utilizzabili per applicare la corretta disciplina tributaria alla fattispecie;
– e coerentemente con tali principi questa Corte ha ritenuto (Cass. Sez. V., 23/07/2024, n. 20388), ad esempio, che ai fini dell’applicazione del regime forfetario IVA previsto per le locazioni finanziarie di imbarcazioni, è necessario che l’Amministrazione finanziaria dimostri l’anormalità delle clausole contrattuali rispetto alla prassi commerciale usuale del settore. La semplice affermazione di anomalia, senza un’adeguata motivazione specifica, non giustifica la riqualificazione del contratto e l’applicazione dell’IVA ordinaria in luogo del regime forfetario previsto dall’art. 7, comma 4, lett. f) del d.P.R. n. 633 del 1972;
deve ricordarsi poi che l’ordinamento tributano è ispirato all’esigenza di contrastare il c.d. abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come lo strumento essenziale, finalizzato a garantire la piena applicazione del sistema comunitario di imposta. In materia tributaria, invero, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr., ex plurimis , Cass. 6800/09, 4737/10, 20029/10 1372/11);
– rientrano nel principio generale delle norme antielusive, trovando il suo fondamento nell’art. 53 Cost., e più specificamente nell’abuso del diritto, quelle pratiche che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano mirate principalmente ad ottenere benefici fiscali contrastanti con la “ratio” delle norme che introducono il tributo;
nondimeno, l’abuso in argomento (precedentemente disciplinato dall’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 ed ora dall’art. 10 bis della L. n. 212 del 2000) è qualcosa d’ altro -morfologicamente, logicamente e giuridicamente -rispetto alla riqualificazione dei contratti che viene in rilievo nella vicenda che ci occupa;
il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini tributari, nella fattispecie adottato dall’Ufficio come si evince dalla sentenza impugnata, consente all’Amministrazione di interpretare e qualificare, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti, quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla ricognizione positiva del loro significato; fatto ciò l’Ufficio procede ad accertare, come nel caso di specie, l’esistenza di una non consentita qualificazione -eppure adottata dalle parti – che pregiudica il diritto alla percezione dell’esatto tributo e che quindi va disattesa in quanto non consentita ex art. 1362 c.c.;
siffatta indagine, implicando un’operazione giuridica, vale a dire l’esplicazione di un’attività interpretativa di un negozio giuridico al fine della individuazione degli effetti che esso è idoneo a produrre, può e deve essere compiuta;
ne deriva che la qualificazione conferita agli atti dalle parti o dal giudice civile non è affatto del tutto intangibile né da parte del giudice tributario, il quale ha il potere di valutare incidentalmente tutte le questioni che, per quanto connaturalmente estranee alla sua giurisdizione, sono decisive ai fini della soluzione della controversia devolutagli, né da parte dell’Amministrazione finanziaria, la quale, facendosi naturalmente carico del relativo onere probatorio, al quale deve puntualmente assolvere, ha i potere di riqualificare (prima contestandoli in sede di accertamento fiscale e poi dando la prova della bontà della riqualificazione contestata in sede contenziosa) i contratti sottoscritti dal contribuente per farne valere l’esatto contenuto secondo le previsioni di cui all’art. 1362 e seguenti c.c., onde assoggettarli ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello applicato dalla parti, ma corretto quanto alla disciplina contrattuale prima e tributaria poi;
il giudice tributario può, quindi, su impulso dell’Ufficio , operare una diversa qualificazione giuridica della fattispecie concreta che abbia dato luogo all’esercizio della pretesa fiscale sottoposta al suo esame;
ebbene, nella fattispecie per cui è processo, a conclusione della verifica fiscale è emerso che la società contribuente in data 26 giugno 2007 aveva conferito al fondo immobiliare chiuso Naviglio gestito dalla società RAGIONE_SOCIALE un compendio immobiliare; in data 25 giugno 2007 – quindi per vero addirittura precedentemente alla costituzione del fondo – aveva ceduto, senza l’emissione di fattura, alla RAGIONE_SOCIALE quote di partecipazione a tale fondo immobiliare, per un prezzo esattamente equivalente al valore di conferimento, ponendo tale cessione fuori campo IVA;
l’Ufficio riteneva tale operazione esente iva, ex art. 10 del d.P.R. n 633 del 1972 -quindi non fuori campo iva – e rientrante, pertanto, nel regime del c.d. ‘pro rata’ di cui all’art. 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972; – ne derivava la irrilevanza della stessa al fine della riduzione della detrazione IVA, non potendo applicarsi la disciplina derogatoria in quanto la RAGIONE_SOCIALE aveva come oggetto sociale proprio la compravendita di immobili e consistendo l’operazione -‘a valle’ dell’operazione di riqualificazione del contratto realizzata dall’Ufficio -per l’appunto in una cessione di immobili;
la CTR -e prima ancora la CTP -hanno in sostanza condiviso le argomentazioni dell’Ufficio ritenendo che l’operazione di cessione delle quote del fondo dovesse in realtà riqualificarsi come cessione degli immobili oggetto del conferimento operato ‘a monte’ della cessione;
-l’operazione di riqualificazione così operata risulta corretta poiché rispettosa delle sopra esposte considerazioni in diritto;
in ultimo, va osservato sul punto, che la disciplina unionale, per prima, all’art . 19 della direttiva 112 del 2006, prevede che ‘ in caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente. Gli Stati membri possono
adottare le disposizioni necessarie ad evitare distorsioni della concorrenza, qualora il beneficiario non sia un soggetto passivo totale. Possono inoltre adottare le misure utili a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale mediante l’applicazione di questo articolo’;
anche alla luce del diritto dell’Unione, quindi, va sempre salvaguardata, anche in via interpretativa dei regolamenti contrattuali, la tutela dei principi sovrani in forza dei quali si può ritenere non operato il conferimento ove lo stesso, alla luce della corretta applicazione delle disposizioni che lo regolano, sia in realtà -in quanto il beneficiario succede al cedente -una cessione dei beni oggetto solo apparentemente di conferimento, in realtà trasferiti da cedente a cessionario;
tornando ora alla riqualificazione dell’operazione di cessione di partecipazione come operazione di cessione dei beni di secondo grado -vale a dire di cessione degli immobili conferiti nel fondo la cui partecipazione (bene di primo grado) era oggetto del trasferimento dedotto in contratto tra le parti -va ancora rilevato che il rigetto del primo motivo con conseguente riconoscimento della legittimità della riqualificazione del contratto da parte dell’Ufficio come riconosciuto dalla CTR, trascina con sé la censura di cui al secondo motivo;
essa è infatti incentrata sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 19 bis c. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 per violazione dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR -dopo aver qualificato l’operazione oggetto di rilievo come operazione esente iva -inclusa la stessa nel calcolo del c.d. ‘pro rata’ in quanto non considerabile come accessoria dell’attività principale;
tale secondo motivo è parimenti rigettato poiché la censura così espressa cozza contro l’accertamento di fatto operato dalla sentenza impugnata, risultato in questa sede come nei gradi di merito corretto, secondo il quale -come rilevato dall’Ufficio e riportato dalla pronuncia a pag. 1 terzo periodo della stessa -la RAGIONE_SOCIALE ha come oggetto sociale ‘la vendita di immobili, ovvero, l’acquisizione, la detenzione o la gestione di società che hanno lo stesso fine istituzionale’;
-accertato come sopra l’oggetto sociale, la riqualificazione dell’operazione di cessione delle partecipazioni come cessione -in realtà -di immobili, una volta riconosciuta legittima come avviene in seguito al rigetto del primo motivo di ricorso, disvela immediatamente la connessione tra l’operazione di cessione e l’oggetto sociale esercitato dalla contribuente, escludendosi l’accessorietà dell ‘operazione in argomento e derivandone quindi la natura di operazione esente come tale avente rilevanza in sede di rettifica del c.d. ‘pro rata’;
in conclusione, il ricorso va quindi rigettato;
le spese sono regolate dalla soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 5.800,00 oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2024.