Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18363 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18363 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2025
Riproposizione eccezioni in appello – Termine – Art. 56 d.lgs. n. 546/1992 -Giudicato esterno
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10966/2016 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 9129/01/2015, depositata in data 19 ottobre 2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnava innanzi alla CTP di Napoli l’avviso di iscrizione di ipoteca n. 103925/71 deducendo l’illegittimità della procedura, per essere le cartelle presupposte già state annullate all’esito di altro giudizio avente ad oggetto il fermo
amministrativo disposto per il mancato pagamento delle medesime cartelle; eccepiva, inoltre, il mancato superamento dell’importo di cui all’art. 76 del d.P.R. n. 602/1973, la violazione dell’art. 50, comma 2, d.P.R. cit. e la prescrizione della pretesa.
La CTP accoglieva il ricorso rilevando che l’agente della riscossione aveva fornito la prova della notifica solo di sei (su otto complessive) cartelle elencate nell’estratto di ruolo, per un importo inferiore a quello minimo previsto ex lege per l’iscrizione d’ipoteca.
Interposto gravame da parte dell ‘RAGIONE_SOCIALE , la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello evidenziando che l’ appellante aveva dato, in sede di gravame, la prova della notifica delle altre due cartelle, che non erano state impugnate dal contribuente; in tal modo la soglia minima prevista dalla legge era stata superata. Riteneva, poi, rinunziate le eccezioni rimaste assorbite in primo grado e riproposte dall’appellato nell’atto di controdeduzioni depositato oltre il termine previsto per la costituzione in giudizio.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L’agente della riscossione è rimasto intimato.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 15 /11/2024. Con ordinanza interlocutoria n. 32845/2024 questa Corte rinviava la causa a nuovo ruolo, ritenuta necessaria ai fini della decisione l’acquisizione dei fascicoli cartacei dei gradi di merito.
È stata, quindi, ri fissata l’adunanza camerale per il 5/06/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione de gli art. 23 e 56 del d.lgs 546/92 e dell’art. 24 della Costituzione, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
Il COGNOME sostiene che il termine per la costituzione dell’appellato sia ordinatorio, non già perentorio, per cui la parte può costituirsi nel termine di 20 giorni prima dell’udienza e la tardiva costituzione non comporta alcuna nullità. La CTR avrebbe, quindi,
erroneamente dichiarato rinunciate le eccezioni (rimaste assorbite in primo grado e) riproposte dall’appellato oltre il termine previsto per la costituzione in giudizio.
Il motivo è infondato.
1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 19/10/2012, n. 17950; Cass. 18/12/2014, n. 26830; Cass. 22/06/2016, n. 12937; Cass. 30/09/2020, n. 20815; Cass. 05/09/2022, n. 26008) nel processo tributario la volontà dell’appellato, che sia risultato totalmente vincitore in prime cure, di riproporre le questioni assorbite, pur non occorrendo a tal fine alcuna impugnazione incidentale, deve essere espressa non solo in modo ‘specifico’ come richiede l’art. 56, d.lgs. n. 546/1992 (cfr. da ult imo Cass. 19/09/2024, n. 25239, secondo cui la riproposizione non può essere affidata a formule di mero stile o di contenuto generico, ad. es. mediante il richiamo al complessivo contenuto degli atti del primo grado), ma anche tempestivamente, ossia, a pena di decadenza, nell’atto di controdeduzioni da depositare nel termine previsto per la costituzione in giudizio, sicché tale volontà di riproposizione non può essere manifestata in un atto successivo.
Militano in favore di questa linea interpretativa diversi elementi.
In primo luogo, inducono in tale direzione la struttura e le finalità del processo tributario, indubbiamente ispirato a criteri di speditezza e di concentrazione, essendo un processo di tipo impugnatorio con ambito delimitato, oltre che dal contenuto dell’atto impugnato, dai motivi specifici di censura formulati nel ricorso introduttivo (salva la possibilità, ma solo in casi particolari, di proporre motivi aggiunti), scandito da termini brevi e caratterizzato, di regola, dalla decisione della controversia, su base essenzialmente documentale, in un’unica camera di consiglio (o, su richiesta di parte, in udienza pubblica di trattazione), mentre non è neppure prevista la figura dell’udienza istruttoria.
Sotto tale profilo, è pienamente coerente con il complessivo delineato quadro normativo e con le finalità acceleratorie poste a fondamento della struttura del processo tributario (senza che, d’altra parte, ciò comporti alcun aggravio all’esercizio del diri tto di difesa), esigere che l’ambito della materia del contendere, devoluto al giudice del gravame, sia definito, da entrambe le parti, sin dal primo atto difensivo, con la conseguenza che anche la volontà dell’appellato di riproporre le questioni assorbite, che indiscutibilmente concorre alla determinazione della portata del thema decidendum , deve essere espressa nell’atto di controdeduzioni, da depositare nel termine prescritto, e non può essere manifestata successivamente, a seguito di costituzione tardiva ovvero in un atto successivo, esclusivamente destinato, come previsto dall’art. 32, d .lgs. n. 546/1992, ad una funzione meramente ‘illustrativa’, cioè esplicativa, delle questioni già poste all’esame dell’organo giudicante.
In questo ambito, va osservato che la previsione di cui all’art. 32, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (anch’esso applicabile al giudizio di appello in base al generale rinvio disposto dall’art. 61), stabilisce che fino a dieci giorni liberi prima della data di trattazione ciascuna delle parti può depositare ‘memorie illustrative’, alle quali, solo nel caso di trattazione in camera di consiglio, ‘sono consentite brevi repliche scritte’.
Se ne deve inferire che tali ulteriori memorie non possono che contenere l’illustrazione di quanto già dedotto ed eccepito nella prima memoria di costituzione in giudizio, disciplinata dall’art. 54, ma non possono introdurre per la prima volta questioni non già tempestivamente in essa dedotte.
D’altro lato, l’art. 53, comma 1, prevede che il ricorso in appello deve contenere, fra l’altro, a pena di inammissibilità, i ‘motivi specifici di impugnazione’, ed il successivo art. 54 dispone che l’eventuale appello incidentale deve essere proposto, sempre a pena di inammissibilità, nel termine per la costituzione in giudizio (sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale), nell’ambito
dell’atto di controdeduzioni. Entrambe le suddette previsioni sono, invero, palesemente indicative dell’intento legislativo di indurre i contendenti a delimitare la materia del contendere del giudizio di gravame già con i rispettivi atti di costituzione.
1.2. Sotto tale aspetto il processo tributario si distingue nettamente da quello civile ordinario, in cui la riproposizione, in appello, delle domande e delle eccezioni rimaste assorbite può avvenire anche alla prima udienza di trattazione innanzi al giudice di appello (cfr. Cass. Sez. U. sent. n. 7940 del 21/03/2019).
1.3. La pronuncia impugnata è conforme ai principi interpretativi sopra indicati, avendo legittimamente dichiarato tardiva la costituzione dell’odierno ricorrente in appello e, per l’effetto, inammissibili le eccezioni rimaste assorbite in primo grado e riproposte in sede di gravame.
Non si è venuta, quindi, a configurare la violazione di legge prospettata con l’esaminata censura .
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la «nullità della sentenza per violazione del vincolo derivante da precedenti giudicati ex art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3.4. -violazione di legge».
Il contribuente assume che le medesime cartelle di pagamento erano state indicate in un provvedimento di fermo amministrativo, impugnato dinnanzi al Giudice di Pace di Napoli, che con sentenza n. 65632/2005 (passata in giudicato) accoglieva il ricorso annullando il fermo e le cartelle presupposte. Ha invocato , quindi, l’autorità di cosa giudicata di detta pronuncia nel presente giudizio, sul presupposto del l’identità delle cartelle di pagamento.
2.1. Il motivo è privo di fondamento.
La richiamata sentenza n. 65632/2005 del Giudice di Pace di Napoli, allegata al ricorso per cassazione con l’attestazione del passaggio in giudicato sul retro dell’ultimo foglio (congiunto alla motivazione della sentenza) riproducente il fermo amministrativo, lungi dall’annullare il fermo e le cartelle presupposte, si limita ad
accogliere la domanda di risarcimento dei danni extracontrattuali patiti (tra gli altri, dall’interventore COGNOME NOME) per effetto dell’illegittima iscrizione del fermo amministrativo sui veicoli; nell’ incipit dei motivi della decisione il Giudice di Pace opportunamente evidenzia che gli attori (e l’interventore) avevano rinunciato ad eventuali accertamenti sulle cartelle esattoriali, per cui nessun accertamento in relazione alla notifica delle stesse (ove anche dovesse predicarsi la loro medesimezza con quelle poste a base dell’iscrizione ipotecaria) è stato svolto dal giudice ed è invocabile in questo giudizio.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la «violazione dell’onere della prova ex art. 2697 c.p.c., nonché omessa esibizione dei titoli originari ex art. 2836 c.c., inesistenza e/o nullità della notificazione delle cartelle di pagamento impugnate, violazione ex artt. 26 e 57 II comma DPR 602/73 e artt. 37 comma 27 DL 223/07 e 137, 148 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, c.1, n.3 ».
Con questa doglianza viene dedotta la violazione del principio dell’onere della prova, per non avere l’Agente della riscossione provato la rituale notifica delle cartelle di pagamento. Si eccepisce, poi, che gli estratti di ruolo depositati dall’Equitalia non siano idonei ‘a costituire valido supporto probatorio documentale’ perché stampati successivamente al ricorso, e che le relate delle notifiche delle due cartelle, depositate in grado di appello in fotocopia dall’Agente della riscossione, sono sprovviste dei requisiti minimi previsti dalla legge per la loro validità (nominativo del contribuente, sottoscrizione dello stesso, nominativo del mittente). Infine, si aggiunge che il concessionario della riscossione avrebbe dovuto depositare non solo una fotocopia della relata di notifica, ma anche l’originale dell’atto notificato.
Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato.
3.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ.; la disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza del contribuente, la quale,
ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
3.2. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/3/2022, n. 9055).
3.3. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (da ultimo Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass. 05/04/2023, n. 9336; v. anche Cass., 09/03/2012 n. 3703).
3.4. Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dall’Ufficio, ha ritenuto provata, sulla scorta della documentazione depositata da Equitalia in sede di gravame, la regolare notifica delle due (ulteriori) cartelle di pagamento; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come dedotto dal ricorrente.
3.5. Il motivo è, invece, infondato nella parte in cui viene dedotta la mancata notifica delle due cartelle di pagamento nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA per essere le relative relate depositate da Equitalia non conformi alla legge.
Dall’esame del fascicolo d’appello ritualmente acquisito emerge, invero, che le due cartelle furono regolarmente notificate al contribuente: nelle due relate vi sono indicati i numeri delle cartelle di pagamento notificate; inoltre, il destinatario (COGNOME NOMECOGNOME, ha ricevuto personalmente le cartelle (nelle relate è, infatti, barrata la casella ‘personalmente al contribuente’), per cui non era necessaria la sottoscrizione, da parte del destinatario, della relata.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la «violazione e falsa applicazione degli artt. 50 comma 2 e 77 DPR 602/73 (Art. 360 c.p.c. n. 3). Vengono prospettate la nullità ed illegittimità dell’iscrizione ipotecaria impugnata perché non preceduta dalla notifica delle cartelle esattoriali e/o degli avvisi di mora».
In particolare, si afferma che l’ipoteca sarebbe stata iscritta per un importo inferiore ad Euro 8.000,00 e non sarebbe stata preceduta dalla notifica dell’avviso di mora.
Con il quinto (ed ultimo) motivo il ricorrente deduce la «prescrizione -decadenza della procedura di riscossione a mezzo ruolo violazione dell’art. 25 DPR 602/73, ai sensi dell’art. 360, n.3 e 4».
I due motivi posso essere trattati congiuntamente, poiché con essi il ricorrente ripropone questioni rimaste assorbite nella decisione di primo grado.
I motivi sono inammissibili.
Invero, come evidenziato in sede di esame del primo motivo, le dette questioni sono state riproposte in sede di gravame solo tardivamente; pertanto, non possono essere più riproposte in questa sede in quanto devono intendersi già preventivamente rinunciate.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato.
Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio, essendo l’agente della riscossione rimasto intimato.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 giugno 2025.