Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1715 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1715 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Procuratore Speciale Sig. NOME COGNOME nominato con atto del 11/12/2013 a rogito Notar Dott. NOME COGNOME rep. n. 104804/36163, con sede in Brescia (BS), INDIRIZZO, C.F.: P_IVA, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del presente atto, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE – PEC fEMAILstudiosantaroniEMAIL), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO, indirizzo di posta elettronica certificata e utenza telefax cui si intendono ricevere le notificazioni e comunicazioni relative al presente giudizio, EMAIL
– controricorrente –
RIPORTO PERDITE FUSIONE
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. staccata Brescia, n. 6072/67/2016 depositata il 21 novembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza dell’undici dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Dato altresì atto che l’Avvocatura generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Dato atto che il difensore della controricorrente ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
1.Con avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2011 veniva rettificato il reddito dell’impresa a seguito del disconoscimento delle perdite fatte confluire dalla newco conseguente alla fusione per incorporazione con società controllata, avvenuta il 2 dicembre 2011 ma retrodatata al primo gennaio di quell’anno, ritenendosi la violazione dell’art. 172, comma 7, TUIR in quanto non era stato superato il test di vitalità, da effettuarsi non solo per l’anno 2010, ma anche per quello rispetto al quale gli effetti della fusione erano stati retrodatati (2011), rispetto al quale ultimo esercizio appunto il test non veniva superato né la società aveva presentato interpello disapplicativo.
Inoltre, veniva contestato l’indebito utilizzo del fondo svalutazione crediti per € 349.131,66, per aver dedotto l’intero ammontare dei crediti svalutati, sebbene per alcuni crediti -vantati verso società soggetta a procedura concorsuale -la deduzione andava riferita non al 2011, come fatto, ma a quello in cui era stata aperta la suddetta procedura.
La CTP respingeva il ricorso, ma la CTR accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, e l’Agenzia propone così ricorso
fondato su due motivi, mentre la contribuente resiste a mezzo di controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 172, comma 9, d.P.R. n. 917/86, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., deducendo che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel condividere la tesi della contribuente, secondo la quale il ‘test di vitalità’ andava limitato all’esercizio antecedente la fusione e non esteso a quello in cui è avvenuta la fusione.
1.1. Il motivo è fondato.
L’art. 172, commi 7 e 9, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo applicabile ratione temporis alla presente controversia, stabilisce che «le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501 quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato ad altri enti pubblici. Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante
alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione. In caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione ai sensi del comma 9, le limitazioni del presente comma si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione . Le disposizioni del presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili . . . L’atto di fusione può stabilire che ai fini delle imposte sui redditi gli effetti della fusione decorrano da una data anteriore a quella in cui si si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella più prossima, in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante ».
In particolare con le modifiche recate dall’art. 35, comma 17, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, si è stabilito che per le fusioni e le scissioni retroattive i limiti per il riporto delle perdite pregresse si estendono al risultato negativo del periodo in cui avviene l’operazione e la verifica dei requisiti minimi di vitalità economica deve essere effettuata anche per il periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia dell’operazione. Pertanto, le perdite delle società che partecipano alla fusione possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione per la parte del loro ammontare che non ecceda l’ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dell’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di fusione. Questo poi deve essere depurato
dai conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce il bilancio o la situazione di fusione. Tra tali versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato o da altri enti pubblici.
Inoltre, la società le cui perdite sono ammesse in deduzione deve superare la prova dell’operatività, legata ad alcuni componenti di reddito presenti nel proprio conto economico, relativi all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata. In proposito deve risultare un ammontare di ricavi e di proventi dell’attività caratteristica, nonché un ammontare delle spese di lavoro subordinato e relativi contributi di cui all’articolo 2425 cod. civ. superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tali requisiti, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, devono essere presenti anche per il periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia dell’operazione. In tal caso, l’ammontare delle suddette poste relativo al suddetto intervallo temporale deve essere ragguagliato ad anno per permettere che il confronto con la media degli ultimi due esercizi precedenti sia effettuato tra dati omogenei.
Ed infatti il riformato art. 172 cit. recita in proposito, si ripete ‘le limitazioni del presente comma si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione’.
Queste disposizioni perseguono «l’obiettivo di evitare l’incorporazione di società inattive a fini elusivi (‘vitalità’ della società) e la fusione di ‘scatole vuote’ o cariche solo di perdite da portare ‘in dote’ all’incorporante, ma ormai svuotate di ogni concreta operatività, ed esige che la società abbia una residua efficienza, costituendo il predetto limite una presunzione di legge di
operatività, che rende irrilevanti, a tali fini, depotenziamenti dell’attività contenuti in tali limiti, ma senza, nel contempo, pretendere alcun depotenziamento (Vedi in termini, Cass., Sez. 5, 17/07/2019, n. 19222; anche Cass., Sez. 5, 20/10/2011, n. 21782)» (Cass. 4 marzo 2021, n. 5953).
Questa Corte ha altresì in proposito osservato che
In tema di reddito imponibile di società partecipanti ad una operazione di fusione, la disciplina contenuta nell’art. 172, comma 7, TUIR, posta a tutela dal rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente o prevalentemente elusivi, costituisce una regola “circolare”, che, mediante l’identificazione di criteri legali presuntivi ma specificamente predeterminati, assicura all’operatore economico la conoscenza degli effetti della fusione sotto il profilo fiscale ed è in ogni caso disapplicabile, mediante il ricorso all’interpello previsto dall’art. 11 della l. n. 212 del 2000, qualora sia dimostrato che la società partecipante all’operazione, pur con perdite fiscali incompatibili con la deducibilità dal reddito della società risultante dalla fusione, non è una “scatola vuota”.
(Cass. n. 1035/2023).
E’ oltremodo evidente che tale finalità sarebbe agevolmente elusa ove non si prendesse in considerazione, in caso di retrodatazione, anche il periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione, quindi alla frazione di anno decorsa anteriormente all’adozione della fusione, in cui la società potrebbe essere interamente svuotata senza conseguenze sul test di operatività, il cui significato sarebbe allora ridotto a una mera quanto inutile formalità priva di efficacia effettiva.
Inoltre è previsto che se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è
comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito della società partecipante o dell’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione. Orbene l’assenza di uno solo dei tre requisiti suddetti determina l’inapplicabilità del regime previsto dalla norma, stante la sua funzione, operante all’interno delle norme impositive, di presiedere alla determinazione dell’imponibile e del reddito di imposta (Cass. n. 5953 del 2021, cit.; conf. Cass. n. 19222 del 17/07/2019)» (Cass. 10 agosto 2022, n. 24613).
Nella specie si ebbe una fusione con retrodatazione dei suoi effetti fiscali. È pacifico, altresì, che il test di vitalità dell’impresa non è stato superato per il periodo compreso tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia dell’operazione: anno di imposta 2011 (ed infatti, in base a quanto sopra chiarito, occorre tener conto del periodo tra il primo gennaio 2011, inizio dell’esercizio, e la data di efficacia giuridica, 5 dicembre 2011).
Poiché tale periodo, per quanto sopra ricordato, è rilevante, e poiché il requisito del superamento del test di vitalità non è presente, non si può riconoscere all’incorporante il diritto alla riportabilità delle perdite pregresse in esito all’operazione di fusione, limitandosi a non considerare l’anno in cui la fusione è avvenuta ed ha avuto efficacia giuridica, come ha operato erroneamente la CTR con la sentenza impugnata
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 101 del TUIR e dell’art. 106 del TUIR, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., poiché l’art. 101, comma 5, TUIR andrebbe interpretato nel senso che, in caso di perdite su crediti vantati nei confronti di un debitore soggetto a procedura concorsuale, le perdite debbano essere dedotte nell’anno di imposta in cui è stata pronunciata la sentenza di fallimento o il
decreto di ammissione al concordato preventivo, posto che, diversamente opinando, si finirebbe con l’ammettere che il contribuente abbia la possibilità di scegliere a suo piacimento il periodo di imposta nel quale far valere la perdita di crediti.
2.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato, con orientamento cui si intende dare continuità, in difformità di altro precedente (Cass. 15 gennaio 2019) consapevolmente superato dalla pronuncia che appunto si riporta
«In tema di perdite su crediti, ove il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali (per esempio, ove ne sia stato dichiarato il fallimento), la deduzione della perdita su crediti è ammessa, ai sensi dell’art. 101, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986 da interpretare alla luce del successivo comma 5 bis, introdotto dall’art. 13, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 147 del 2015 (c.d. Decreto internazionalizzazione) -e del comma 3, dell’art. 13, cit., in tema di svalutazione contabile dei crediti, anche con riferimento agli esercizi anteriori al 2015, nel periodo di imputazione a bilancio, entro la ‘finestra temporale’ che va dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento al periodo d’imposta in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si deve procedere alla cancellazione del credito dal bilancio» (Cass. 1 giugno 2021, n. 15218).
Tra l’altro nel motivo di ricorso non è stato nemmeno allegato che la contribuente abbia provveduto alla deduzione delle perdite su crediti in un periodo di imposta diverso da quello entro il quale quest’ultima avrebbe dovuto procedere alla cancellazione dei crediti dal bilancio secondo la corretta applicazione dei principi contabili.
Il ricorso dev’essere dunque accolto limitatamente al primo motivo, con cassazione della sentenza impugnata rispetto alla quale, non dovendosi compiere ulteriori accertamenti nel merito,
deve essere respinta la domanda introduttiva. Va invece respinto il secondo motivo.
Le spese dell’intero giudizio, in relazione alle reciproche soccombenze, meritano compensazione.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del primo motivo del ricorso, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione oggetto del motivo accolto e, decidendo nel merito, respinge sul punto il ricorso introduttivo.
Dichiara le spese dell’intero giudizio compensate fra le parti.
Così deciso in Roma, l’undici dicembre 2024