Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5220 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 28432/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
FONDAZIONE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL; -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE d’Appello di TORINO n. 1099/2022, depositata il 23/09/2022 e notificata il 26/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Fondazione NOME COGNOME Clinica del Lavoro e della Riabilitazione (d’ora in avanti Fondazione COGNOME) agiva in giudizio, ai sensi dell’art. 702 bis cod.proc.civ., contro Iren Mercato S.p.A., per ottenere la restituzione, ai sensi dell’art. 2033 cod.civ., della somma di euro 411.578,00 (al netto degli interessi), versata, in relazione alla somministrazione di energia elettrica nei confronti di più cliniche localizzate in varie regioni, a titolo di addizionali provinciali sulle accise applicate nelle fatture di energia elettrica emesse per gli anni 2010 e 2011.
A sostegno della domanda adduceva la contrarietà dell’art. 6, comma 2, dl. n. 511/1988, istitutivo dell’addizionale, con il disposto della direttiva n. 2008/118.
RAGIONE_SOCIALE in via principale, contestava l’esistenza dei presupposti dell’indebito e, in via subordinata, rilevata l’illegittimità dell’articolo 14 T.U. in materia di rimborsi a causa della lesione del principio unionale di effettività, chiedeva: a) di essere autorizzata a chiamata in giudizio l’Agenzia Dogane e Monopoli per essere manlevata; b) di sottoporre alla Corte di Giustizia europea e/o alla Corte Costituzionale la questione relativa alla legittimità dell’art. 14 T.U. Accise.
Il Tribunale di Torino, con ordinanza n. 4354/2021, rigettava il ricorso.
La Fondazione COGNOME impugnava la suddetta ordinanza, dinanzi alla Corte d’Appello di Torino, deducendo, in via pregiudiziale, la nullità del decisum per violazione dell’art. 101, 2° comma, cod.proc.civ., avendo il tribunale applicato un principio di diritto (la carenza dell’efficacia orizzontale della direttiva), in violazione delle regole del contraddittorio e, nel merito, la contrarietà dell’art. 6 dl n. 511/ 1988 al disposto della direttiva n. 2008/118.
Con la sentenza n. 1099/2022, depositata il 23/09/2022 e notificata il 26/09/2022, la Corte d’Appello di Torino ha accolto l’impugnazione della Fondazione Maugeri ed ha riformato l’impugnata ordinanza.
Ai fini che ancora sono di interesse ha ritenuto:
obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale unicamente il fornitore ( ex artt. 2, comma 4°, e 53, comma 1, lett. a) T.U. Accise applicabile ratione temporis ), legittimato ad addebitare integralmente, in via di rivalsa, le accise pagate al consumatore finale ( ex art. 16, comma 3°, T.U. Accise), precisando, sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte, che <<la rivalsa comporta l'addebito al consumatore finale non già dell'imposta, ma del corrispondente risultato economico nell'ambito, quindi, non del 'rapporto di imposta' (che intercorre tra fornitore ed amministrazione tributaria), ma del 'rapporto di rivalsa' (che intercorre tra fornitore e consumatore finale);
autonomi i rapporti tra fornitore e amministrazione doganale e tra fornitore e consumatore finale, ancorché collegati, in quanto il fornitore può esercitare la rivalsa nei confronti del consumatore finale soltanto relativamente a somme da questi effettivamente dovute all'erario a titolo di addizionale, con la conseguenza che la non debenza dell'addizionale rende illegittima la rivalsa ed indebito il pagamento effettuato dal consumatore finale al fornitore;
il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, privo del diritto di chiedere direttamente all'amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte, spettando detto diritto unicamente al fornitore che può esercitarlo nei confronti dell'amministrazione finanziaria: a) nel caso in cui non abbia addebitato l'imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento; b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato
vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell'accisa, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme ( ex art. 14 T.U. Accise);
il consumatore finale legittimato a esercitare, nel caso di addebito delle accise e delle addizionali, l'azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso nei confronti dell'amministrazione finanziaria, allorquando alleghi che l'azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell'ipotesi di suo fallimento);
possibile la ricorrenza di pagamenti indebiti e ripetibili tanto nell'ambito dei rapporti tra fornitore e amministrazione doganale quanto tra fornitore e consumatore finale; l'indebito ha per oggetto l'imposta, nel primo rapporto, mentre in caso di non debenza della somma pretesa a titolo di rivalsa dal fornitore nei confronti del consumatore finale l'indebito riguarda la somma corrispondente all'imposta e ha natura civilistica;
accertabile in via incidentale dal giudice ordinario l'indebito civilistico risalendo al 'rapporto tributario' intercorrente tra il fornitore (soggetto passivo dell'imposta) e lo Stato (creditore dell'imposta) che ne rappresenta il presupposto, come già chiarito in tema di IVA dalla giurisprudenza di questa Corte che ha formulato princìpi di portata generale, là dove ha affermato che <>;
errata l’impugnata ordinanza per avere ritenuto che l’accertamento del prospettato indebito presupponesse l’applicazione ‘orizzontale’ del diritto comunitario nell’ambito del rapporto oggetto di causa;
assorbito il terzo motivo di appello, secondo cui la peculiare composizione societaria di RAGIONE_SOCIALE e la funzione da essa svolta permetterebbero l’applicazione diretta della direttiva n. 2008/118 in virtù del principio dell’effetto diretto verticale delle direttive, avendo la Corte di Giustizia più volte affermato il principio secondo cui è ammissibile la disapplicazione di una norma nazionale che viola un precetto contenuto in una direttiva anche in una controversia tra soli privati, allorquando l’organismo di diritto privato sia qualificabile come una emanazione dello Stato;
infondate le censure in ordine al difetto di legittimazione passiva di Iren Mercato S.p.A., perché il fornitore è il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria ed a carico dell’utente viene posta in via di rivalsa non l’imposta, ma una somma equivalente quale componente del prezzo; nel senso che il fornitore paga l’imposta quale debitore tributario e, quindi, per sé e non per conto del consumatore e l’utente non ha alcun titolo (salvo l’eccezione prevista dalla legge di eccessiva difficoltà ad ottenere la restituzione dall’ accipiens ) per rivolgersi all’amministrazione tributaria con cui non ha avuto alcun rapporto;
irrilevanti, perché non attengono al rapporto di rivalsa, ma a quello tributario ed, in particolare, alle modalità di ripetizione, da parte del fornitore debitore d’imposta, delle addizionali indebitamente pagate, le numerose questioni relative all’illegittimità dell’art. 14 T.U. Accise sollevate dall’appellata: esse andrebbero quindi fatte valere avanti alle Commissioni Tributarie e
nell’ambito del giudizio instaurato dal fornitore nei confronti dell’erario per la ripetizione dell’imposta illegittimamente corrisposta;
12) prive di rilievo le argomentazioni dell’appellata volte a negare l’incompatibilità tra la norma nazionale istitutiva dell’addizionale per le regioni a statuto ordinario e la normativa europea, perché con riferimento al ‘rapporto tributario’ ed al periodo antecedente l’abrogazione dell’imposta oggetto di causa (avvenuta con i d.lgs. 23/2011, 68/2012 e con il dl 68/2011), in forza della giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente affermato il principio secondo cui <> (v. Cass. n. 15198/2019). In sostanza, il difetto del requisito <>, comporta la disapplicazione dell’art. 6, comma 2, del dl n. 511/1998, in forza del principio secondo cui l’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia è immediatamente applicabile
nell’ordinamento interno ed impone al giudice nazionale di disapplicare le disposizioni di tale ordinamento che, sia pure all’esito di una corretta interpretazione, risultino in contrasto o incompatibili con essa; perciò, a seguito dell’accertamento incidentale demandato al giudice civile del rapporto tributario, è risultato che RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE non era tenuta al pagamento delle addizionali con conseguente illegittimità della rivalsa esercitata nei confronti della Fondazione Maugeri, legittimata a ripetere la somma corrisposta per tale titolo, pari (con riferimento al periodo interessato) ad euro 411.578,00, al netto degli interessi.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della decisione della corte d’Appello, formulando cinque motivi.
La Fondazione Maugeri resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente denunzia <>. La sua tesi è che nella specie facciano difetto i presupposti che legittimano il privato a invocare nei confronti di una altro privato le disposizioni di una direttiva non recepita o non esattamente recepita (il cosiddetto «effetto orizzontale).
In particolare, il giudice a quo avrebbe creato inammissibilmente <>, violando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 17350/2004), la granitica giurisprudenza unionale (Corte di Giustizia: 26 febbraio 1986, causa C-152/84, Marshall; 19 novembre 1991, cause riunite 6/90 e
9/90, COGNOME e a.; 14 luglio 1994, causa C-91/92, COGNOME Dori; 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells, 10 marzo 2005, causa C235/03, QDQ Media; 21 ottobre 2010, causa C-227/09, COGNOME e a.; 24 giugno 2019, causa C-573/17, COGNOME) ed anche la sentenza n. 168/1991 della Corte Costituzionale.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la <>.
Attinta da censura è la statuizione con cui il giudice a quo ha ritenuto che l’articolo 6 del dl n. 511/1998 viola l’art. 1, comma 2, della direttiva n. 2008/118, perché la finalità dell’addizionale sull’accisa non è specifica.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, avendo il giudice a quo attribuito alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia l’idoneità ad attribuire alla norma interpretata un’efficacia diversa (maggiore) di quella che le è propria, mentre, invece, come precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 389/1989, la precisazione o l’integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di Giustizia hanno la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate; di conseguenza, atteso che le direttive non hanno efficacia immediata, detta efficacia non può essere riconosciuta alle sentenze della Corte di giustizia. Né a diversa conclusione porta la pronuncia delle Sezioni Unite 17/2/2010 n. 3674 che ha deciso un caso avente ad oggetto la legge 289/2002 in materia di IVA; tale legge -e proprio quellaera già stata oggetto di una pronuncia della Corte di Giustizia (sentenza 17 luglio 2008 in causa C-132/06) in relazione agli
articoli 8 e 9, aventi ad oggetto le ‘sanatorie’ IVA, che, compiuta una approfondita analisi della legge italiana, aveva censurato gli artt. 8 e 9, in quanto ‘premianti’ per i contribuenti infedeli e come tali lesive del buon funzionamento del sistema comune dell’IVA (anche sotto l’aspetto della disparità di trattamento); nel far ciò, la Corte di Giustizia aveva inserito nelle sue valutazioni a livello generale anche il sistema di riscossione IVA. Le Sezioni Unite, interrogatesi circa la disapplicabilità dell’art. 12 della l. n. 289/2002, lo hanno ritenuto disapplicabile in quanto attinente alla fase di riscossione menzionata più volte nella sentenza unionale del 2008.
La ricorrente aggiunge che, come stabilito dalla Consulta, la disapplicazione è un modo di risoluzione delle antinomie normative che presuppone la contemporanea vigenza delle norme reciprocamente contrastanti e non produce alcun effetto sull’esistenza delle stesse e, pertanto, non può essere causa di qualsivoglia forma di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto; pertanto, nel presente giudizio, <>.
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della direttiva 118/2008 e dell’art. 6 quater del dl n. 511/1988.
Sottolinea di non essere un autonomo centro di interessi in relazione alla riscossione (e poi alla eventuale restituzione) della addizionale, quindi, di non essere il legittimato passivo dell’azione di ripetizione dell’indebito da parte dell’utente, la quale ha ad
oggetto somme non percepite per sé (ma riscosse per conto dello Stato) e nemmeno in minima parte trattenute (avendole invece immediatamente trasferite all’Agenzia delle Dogane).
Né potrebbe valere il meccanismo di rivalsa definito dal giudice a quo un meccanismo di riscossione ‘a due fasi’ adottato dal legislatore italiano, il quale non risponde a nessuna ‘necessità’ di ordine logico giuridico, ma è soltanto una scelta di ‘opportunità’.
Con il quinto motivo alla corte d’Appello si imputano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 14 del T.U. accise e della Direttiva 2008/118/CE, nonché dell’art. 267 TFUE, dell’art. 1 della Legge cost. n. 1/1948 e dell’art. 23 della Legge cost. n. 87/1953.
La ricorrente invoca l’obbligo di questa Corte di rimettere la questione qui dibattuta alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia, perché la soluzione adottata dalla corte d’appello lederebbe: i) il principio di effettività <>; ii) l’art. 3 Cost., a causa del grave squilibrio che viene introdotto tra la posizione del fornitore e quella dell’Erario e, sotto altro profilo, in quanto, senza alcuna valida giustificazione, viene previsto un meccanismo di rimborso più complesso ed oneroso di quello previsto per altre imposte; iii) il principio di ‘equivalenza’ stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non distinguendo le ipotesi ben diverse- in cui la necessità di rimborso derivi da un errore del contribuente o dell’Amministrazione da quelle in cui essa invece deriva dalla sopravvenuta illegittimità della norma; iv) l’art. 23 Cost. in quanto, imponendo al fornitore di rimborsare in prima battuta l’utente, per poi recuperare dalla Dogana solo molto tempo dopo, in esito ad un defatigante iter giudiziario, pone in esser un ‘prestito forzoso’ che non ha alcuna giustificazione e non rispetta il precetto costituzionale; v) l’art. 41 Cost., perché il ‘prestito forzoso’ al fornitore importanti risorse così limitando la sua libertà di iniziativa
economica; vi) gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto si impone al fornitore una resistenza ‘suicida’ nei confronti dell’utente, i cui costi non saranno recuperabili, così trasformando il diritto di difesa in un oneroso obbligo; vi) l’art. 97 Cost., essendo evidente che l’art. 14 T.U. Accise non rispetta i parametri (peraltro propri anche del diritto dell’Unione europea) di ragionevolezza, proporzionalità equilibrio ed efficienza desumibili dal precetto costituzionale.
7) Si impone il rinvio a nuovo ruolo in attesa che la Corte di Giustizia si pronunci sulla questione pregiudiziale, rimessale dalla Corte d’Appello di Bologna con ordinanza del 26 ottobre 2023, circa se l’addizionale possa essere considerata un’«altr(a) imposta indiretta» sull’energia elettrica, se l’art. I par. 2 direttiva 2008/118/CE abbia effetti diretti e se l’art. 6 commi 1 e 2 decreto legge 28.11.1988 n. 511 possa essere disapplicato nel rapporto tra somministrante e somministrato; ciò in ragione del rilievo di detta pronuncia nella vicenda per cui è causa, non essendo sufficienti ai fini della decisione la pronuncia della Corte di Giustizia dell’11/04/2024 nella Causa C -316/02, nelle more del giudizio intervenuta sulle questioni pregiudiziali proposte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Como, con ordinanza del 28 aprile 2022, né le successive pronunce di questa Corte che ad essa si sono conformate (Cass. 29/07/2024, n.21154; Cass. 11/09/2024, n. 24373, Cass. 1/08/2024, n. 21749 e Cass. 9/09/2024, n. 24203).
P.Q.M.
La Corte dispone il rinvio a nuovo ruolo in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 10 gennaio 2025 dalla