Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7965 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7965 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
SENTENZA
nel procedimento di rinvio pregiudiziale iscritto al n. 15074/2024 RG disposto dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte con ordinanza emessa il 1/7/2024 e depositata il 3/7/2024, resa nel procedimento n. r.g. 131/2023, tra:
REGIONE PIEMONTE , elettivamente domiciliata in TORINO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende; e
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte
con cui ha chiesto l’enunciazione del seguente principio di diritto: « per conseguire la restituzione dell’IRBA versata alla Regione sulla base di una normativa non applicabile in quanto in contrasto con il diritto eurounitario, il concessionario dell’impianto di distribuzione, soggetto passivo nel rapporto tributario, ha l’onere di allegare e provare i presupposti del rimborso, secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 5 bis d.lgs. n. 546/92, ovvero che l’imposta non sia stata traslata sul consumatore finale o, alternativamente, che quest’ultimo abbia ottenuto dal distributore la restituzione dell’imposta indebitamente riscossa; in difetto di tali allegazioni e dimostrazioni il rimborso è precluso, dovendosi ritenere implicito che esso realizzerebbe un indebito arricchimento del distributore, in misura equivalente alla somma oggetto della domanda di restituzione ».
Sentit i l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. COGNOME per la Regione Piemonte e l’avv. NOME COGNOME per la RAGIONE_SOCIALE
FATTI DI CAUSA
Con l’ordinanza depositata il 3.7.2024 la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, sentite le parti, ha disposto, ex art. 363 bis , c.p.c., il rinvio pregiudiziale degli atti a questa Corte per la risoluzione della seguente questione di diritto: « dica la Corte di Cassazione, se, in materia di azione di rimborso dell’IRBA indebitamente riscossa dall’amministrazione, sia applicabile l’art. 29, comma 2, legge 428/1990 nei casi di traslazione dell’imposta e quale sia il contenuto della prova in tema di esercizio del diritto al rimborso, nonché quale sia l’ambito di esigibilità di tale prova, nei confronti dei soggetti coinvolti, rispetto ai due elementi della mancata traslazione del tributo sull’utente finale e dell’ingiustificato arricchimento del distributore in caso, invece, di avvenuto trasferimento dell’onere, dato che da tali
elementi possono derivare effetti sulla ripartizione del relativo onere probatorio nelle suddette azioni ».
Osserva, in particolare, la Corte rimettente che la questione, in ordine alla quale non vi sono precedenti di legittimità e si registrano contrastanti posizioni nella giurisprudenza di merito, è stata sollevata nel giudizio d’appello promosso dalla Regione Piemonte avverso sentenza n. 644/2022 della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Torino, che aveva accolto il ricorso della RAGIONE_SOCIALE contro il diniego di rimborso per il biennio 2019 2020 dell’Imposta Regionale sulla benzina per autotrazione (IRBA), soppressa con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 e poi con legge regionale n. 31 del 2020 (art. 2 comma 1), negato dall’Amministrazione sul presupposto che la ripetizione avrebbe comportato un indebito arricchimento dell’avente diritto quando costui ha di fatto riversato l’imposta sull’acquirente o consumatore finale della benzina.
Sempre secondo la Corte di merito, la questione costituisce necessario antecedente logico – giuridico influente sulla decisione: si è osservato da parte dell’appellante che, secondo la normativa che regola il tributo, il soggetto inciso economicamente dall’imposta è unicamente il consumatore finale nei confronti del quale il gestore dell’impianto è tenuto a riscuotere l’imposta al momento dell’erogazione per poi riversarla alla Regione; pertanto, secondo questa prospettazione, non sarebbe necessaria alcuna dimostrazione della traslazione dell’imposta al consumatore finale, discendendo questa dalla legge e rilevando come fenomeno economico notorio, cosicché un rimborso eseguito senza la dimostrazione, da parte del distributore, che non sia intervenuta la traslazione dell’imposta determinerebbe un ingiustificato arricchimento del distributore medesimo, unico soggetto legittimato a richiedere il rimborso; per contro, la società titolare della concessione di distribuzione del carburante ha affermato di non
aver operato alcuna traslazione dell’imposta al consumatore finale e di aver versato alla Regione il tributo nell’ambito degli oneri generali dell’attività svolta, restando quindi a carico della società medesima tali importi, sicché sarebbe comunque dovuto il rimborso.
Con provvedimenti depositato in data 25 luglio 2024 la Prima Presidente, previa affermazione di ammissibilità del rinvio pregiudiziale, ne ha decretato l’assegnazione alla Sezione tributaria per l’enunciazione del principio di diritto.
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta e le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’istituto del cd. rinvio pregiudiziale da parte del giudice di merito, introdotta dalla riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, consente di sottoporre direttamente alla Corte di cassazione una questione di diritto, sulla quale deve decidere ed in relazione alla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti.
La relativa disciplina si rinviene nell’art. 363 -bis cod. proc. civ., rubricato, appunto, ‘Rinvio pregiudiziale’, il cui comma 1 prevede che il giudice di merito, con ordinanza e dopo aver sentito le parti costituite, può disporre « il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione, per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non sia stata ancora risolta dalla Corte di cassazione; 2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative; 3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi ».
Il comma 2 del medesimo articolo, poi, descrive le caratteristiche dell’ordinanza di rimessione, prevedendo che la stessa ‘è motivata’ (analogamente a quelle con cui viene sollevata
una questione di legittimità costituzionale) e, in particolare, « con riferimento al requisito n. 2 del primo comma, reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili ». Alla luce di tale specificazione, dunque, è ragionevole ritenere che la questione di diritto che presenta gravi difficoltà interpretative sia quella per la quale sono possibili diverse opzioni interpretative, tutte parimenti attendibili. Il comma 3, infine, introduce una sorta di filtro delle ordinanze di rimessione da parte del Primo Presidente della Corte di cassazione, il quale, ricevuti gli atti, entro il termine ivi stabilito, valuta la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma. In caso di valutazione positiva, assegna la questione alle Sezioni Unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari); mentre, in caso di valutazione negativa, dichiara inammissibile la questione con decreto.
La Relazione illustrativa al menzionato decreto precisa che, trattandosi di questioni rilevanti, si è previsto che la Corte, sia a Sezioni Unite che a sezione semplice, pronunci sempre in pubblica udienza con la requisitoria scritta del Pubblico Ministero e con la facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ..
Una volta superato il vaglio di ammissibilità, il procedimento si conclude con l’enunciazione del principio di diritto da parte della Corte, espressamente previsto come vincolante nel giudizio nell’ambito del quale è stata rimessa la questione (merita di essere ricordato, peraltro, che, come si legge in Cass., sez. un., n. 34851 del 2023, « è ben possibile distinguere concettualmente tra l’interpretazione della norma giuridica astrattamente destinata a regolare la fattispecie, che può essere demandata al Giudice di legittimità attraverso il rinvio pregiudiziale, e la ricostruzione della concreta vicenda processuale, che resta affidata al giudice di merito, sia in via preventiva, ai fini della motivazione in ordine alla rilevanza della questione, che in via successiva, ai fini
dell’applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte: sebbene, infatti, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 363 -bis, tale principio rivesta carattere vincolante nel giudizio a quo, dev’essere riconosciuta al giudice di merito la facoltà di escluderne l’applicazione, non solo alla luce di modificazioni normative eventualmente sopravvenute alla sua enunciazione, ma anche alla luce degli elementi risultanti da un’istruttoria più approfondita, ove dagli stessi emerga una situazione di fatto difforme da quella tenuta presente nella formulazione del quesito »).
Qualora, poi, tale giudizio si estingua, l’ultimo comma dell’articolo in esame estende il vincolo del principio di diritto enunciato dalla Corte anche al nuovo processo instaurato tra le stesse parti, con la riproposizione della medesima domanda.
2. Si è rilevato in dottrina che il nuovo istituto tende a realizzare una sorta di « nomofilachia preventiva », allo scopo di pervenire ad indirizzi giurisprudenziali uniformi, considerato che la prevedibilità della decisione deve essere considerata come un «valore», che si riflette sulla certezza del diritto, sulla tutela dei cittadini che vi fanno affidamento e sulla effettività del principio di uguaglianza, che impone uniforme trattamento, anche giurisdizionale, di fronte a casi simili.
La già menzionata Cass., sez. un., n. 34851 del 2023, poi, ha evidenziato che il rinvio pregiudiziale « rappresenta un’opportunità offerta al giudice di merito per rivolgersi all’organo giurisdizionale che, nell’attuale sistema, garantisce l’unità e l’uniforme interpretazione del diritto (…) e costituisce espressione di un nuovo bilanciamento tra i poteri riconosciuti alla giurisdizione di merito e di legittimità, nell’ambito del quale alla compressione del potere decisorio cui il giudice di merito decide di sottostare nell’esercizio delle prerogative che la legge gli attribuisce fa riscontro una forte espansione del ruolo d’impulso allo stesso spettante come parte del sistema giustizia nel suo complesso, inteso non più solo come
funzione dello Stato diretta all’attuazione del diritto nel caso concreto, ma come servizio pubblico in cui le risorse destinate alla soluzione della singola controversia contribuiscono al soddisfacimento di un più ampio compendio di esigenze individuali ». Tale meccanismo si pone in linea con l’esigenza del giusto processo, affidando alla Corte di cassazione il compito di decidere la questione ad essa sottoposta con pronunce rese in pubblica udienza, sia a Sezioni Unite che a sezione semplice, con la requisitoria scritta del Procuratore generale, per ciò stesso dotate di una valenza nomofilattica al più elevato livello e tali da renderle, se non vincolanti per altri giudizi, sicuramente dotate di un particolare grado di persuasività, proprio perché orientate a garantire la certezza e la prevedibilità del diritto (cfr. Cass. n. 28727 del 2023).
Questa Corte ha altresì ritenuto l’applicabilità dell’istituto anche al giudizio tributario di merito, osservando che proprio la funzione nomofilattico -deflattiva assegnata al rinvio pregiudiziale giustifica l’utilità di tale strumento in una materia come quella tributaria, nell’ambito della quale si rivela particolarmente pressante l’esigenza di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, anche al fine di contenere la proliferazione di un contenzioso notoriamente assai consistente sotto il profilo quantitativo e spesso connotato da caratteri di serialità, nonché di consentire una più rapida definizione delle controversie pendenti (Cass. sez. un. n. 34851 del 2023).
Quanto al vaglio di ammissibilità che la Corte è chiamata a svolgere ed ai rapporti, sotto questo profilo, tra Primo Presidente e Collegio, le Sezioni Unite hanno ritenuto che quella del Primo Presidente è una delibazione prima facie che non preclude la valutazione collegiale (Cass. sez. un. n. 15130 del 2024). Questa prospettiva pare condivisa dalla stessa Prima Presidente là dove ha fatto « salvi ulteriori approfondimenti » da parte del Collegio in
merito alla ammissibilità della questione (Decr. 23 settembre 2023 in RG 15340/2023) ovvero ha ritenuto di non doversi attestare su una decisione di segno negativo, rilevando come l’ammissibilità della questione, proprio per la complessità dei profili in rilievo, non potesse essere in limine esclusa (Decr. 18 aprile 2023 in RG 7201/2023), lasciando quindi la definitiva decisione sul punto alla Corte.
3.1. Con riguardo, poi, al requisito della ‘necessità’ della questione ai fini della definizione anche parziale del giudizio, secondo accreditata dottrina, a dispetto del nomen iuris , la questione non ha carattere pregiudiziale in senso tecnico, non vertendo su una relazione fra accertamenti giudiziali aventi ad oggetto situazioni giuridiche soggettive. La questione concerne l’interpretazione di una norma giuridica, sostanziale o processuale, che deve essere applicata dal giudice di merito con effetto definitorio, anche parziale, del processo, rientrando, pertanto, nell’oggetto principale del giudizio. Non si tratta di pregiudiziale in senso tecnico ma, piuttosto, di un presupposto logico ai fini della decisione della lite e la sentenza della Cassazione che risolve la questione pregiudiziale non decide la causa, ma vincola il giudice rimettente ad una decisione conforme al principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità.
Si è osservato che « Non è possibile, dunque, un rinvio per mere ragioni di nomofilachia, ma è necessario che la questione normativa interpretativa sia concreta, costituisca, cioè, un antecedente logico rispetto alla decisione della causa principale pendente davanti al giudice di merito. Tale requisito s’intende soddisfatto quando detto giudice, al fine di emanare una decisione (totale o parziale) della controversia che pende dinanzi a sé, sia convinto di doversi chiedere quale sia l’interpretazione da attribuire ad una determinata disposizione di diritto. Saranno inammissibili, quindi, le questioni meramente teoriche o in caso di cause di
inammissibilità della domanda» (Cass. n. 11688 del 2024, punto 3.4.2). Nella stessa prospettiva si pongono i provvedimenti presidenziali, secondo cui non possono darsi rinvii pregiudiziali « puramente esplorativi o ipotetici; ed è improprio l’utilizzo del rinvio pregiudiziale ove rivolto unicamente a conseguire un suggello interpretativo dalla Corte di cassazione diretto a preservare la decisione del rimettente da una diversa lettura ed applicazione delle norme ad opera del giudice dell’impugnazione » (Decr. 11 aprile 2024, n. 9808 in RG n. 5709/2024; in senso conforme v. decr. 15 marzo 2024, n. 7106 in RG n. 2695/2024; decr. 14 febbraio 2024, n. 4071, in RG n. 1550/2024; decr. 3 novembre 2023, n. 30657 in RG n.18326/2023).
3.2. Trattando della relazione che corre tra la questione oggetto di rinvio e la definizione della causa, in dottrina si è parlato di ‘rilevanza’, in termini non molto dissimili dalla rilevanza dell’incidente di costituzionalità, richiedendosi che dall’ordinanza di rimessione emerga l’attitudine del profilo problematico ad essere calato concretamente nel caso di specie . Questa indicazione non è di per sé risolutiva, considerato l’ampio ventaglio delle definizioni del concetto di ‘rilevanza’ offerte dal giudice delle leggi: dall’« astratta possibilità di applicazione » delle disposizioni contestate al caso oggetto del giudizio (Corte cost. n. 292 del 1987) ovvero dall’« esigenza minima, ma inderogabile » che si tratti di disposizioni del quale il giudice rimettente debba, in qualche modo, direttamente o indirettamente, fare applicazione nel processo (Corte cost. n. 142 del 1968; Corte cost. n. 216 del 1993), sino a ritenere che le norme della cui costituzionalità si dubita debbano « certamente essere applicate » (Corte cost. n. 103 del 1977) ovvero « debba farsi applicazione concreta della norma in discussione, non bastando la generica possibilità che la norma stessa venga applicata nel corso del giudizio, ove si verifichino le
condizioni necessarie per la sua applicazione » (Corte cost. n. 10 del 1979).
Tenuto conto anche del diverso oggetto dei due giudizi, pare più utile concentrarsi sul rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. che tende alla pronuncia di un ‘principio di diritto’: come noto, questo non costituisce un principio astratto ma consta del « principio che regge il caso, cioè del diritto applicato al caso » ovvero della regola di giudizio che fissa il criterio di decisione della fattispecie concreta, cosicché il giudice di merito rimettente deve impegnarsi nella ricostruzione della concreta vicenda processuale, ai fini di dimostrare che la questione sottoposta all’esame della Corte si pone in un concreto ed effettivo rapporto di strumentalità con la definizione, anche parziale, della controversia.
In questa stessa prospettiva sembrano porsi tanto la Prima Presidente quanto le Sezioni Unite: la prima ha affermato che la valutazione sulla pregiudizialità della questione non è esente dalla verifica della ricorrenza di « una ragione più liquida, che consenta di decidere la controversia a prescindere dalla questione di diritto controversa » (Decr. 23 settembre 2023 in RG 15340/2023), le seconde hanno ammesso, nel caso in cui il giudice rimettente abbia disposto il rinvio pregiudiziale senza aver prima sentito le parti, la possibilità di recupero ex post davanti alla Corte, osservando che dal contraddittorio tra le parti in vista della (e durante la) udienza pubblica può emergere che la questione «non è più idonea a definire totalmente o parzialmente il giudizio, a seguito delle precisazioni, modificazioni e dei chiarimenti resi dalle parti (riguardanti anche eventuali profili fattuali presupposti) o a seguito della possibile rinuncia alla domanda o alle eccezioni sottese alla questione giuridica controversa» (Cass. sez. un. 15130 del 2024).
3.3. La necessaria pregiudizialità, quindi, deve essere valutata in termini di concretezza e deve costituire un effettivo
antecedente logico rispetto alla decisione della causa principale pendente davanti al giudice di merito, cosicché il sindacato di ammissibilità, sotto questo profilo, risulta assai ampio ed incisivo, riguardando il fatto concreto e il merito della decisione.
Se deve escludersi l’ammissibilità della questione quando questa non è in grado di definire, neppure parzialmente, il giudizio in considerazione delle concrete ragioni di merito dedotte in causa, a maggior ragione deve negarsi che la questione sia rilevante quando non possa incidere sull’esito processuale della lite per la ricorrenza di ragioni « in via preliminare al merito » che impongono il rigetto della domanda, ad esempio per difetto di una condizione dell’azione: « la “legitimatio ad causam” si ricollega al principio dettato dall’art. 81 cod. proc. civ., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta -trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza “inutiliter data” -la verifica, anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione) e in via preliminare al merito, della coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta » (Cass. sez. un. n. 1912 del 2012).
Tanto premesso, va rilevato che questa Corte ha deciso sulla domanda di rimborso dell’IRBA riconoscendo « la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle Regioni, stante la natura erariale del prelievo previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali » (Cass. n. 3098 del 2025; v. anche Cass. nn. 3101, 3109, 3111, 3768, 3771, 3773,
3774, 3777, 3779, 3783, 3786, 6616, 6617, 6618, 6619, 6621 del 2025).
Inoltre, questa stessa Corte, in un caso in cui si era formato giudicato esplicito « sul difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli», si è pronunziata sulle questioni oggetto del presente rinvio pregiudiziale (Cass. n. 3093 del 2025) osservando: «.. sulla premessa che l’IRBA è dovuto dai soggetti concessionari al momento della vendita della benzina ai consumatori finali, ovvero l’imposta è dovuta dai soggetti che forniscono direttamente il prodotto ai consumatori, di guisa che soggetto passivo dell’imposta è il fornitore del prodotto, mentre l’onere corrispondente all’imposta è traslato sul consumatore in virtù e nell’ambito di un fenomeno meramente economico, ne deriva necessariamente che il rapporto tributario inerente al pagamento dell’imposta si svolge soltanto tra l’Amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente i prodotti, essendo ad esso estraneo l’utente consumatore. Come è stato efficacemente rilevato, «i due rapporti, quello fra fornitore ed amministrazione finanziaria e quello fra fornitore e consumatore, si pongono quindi su due piani diversi: il primo ha rilievo tributario, il secondo civilistico» (cfr. Cass., 30 gennaio 2024, n. 2733 ed altra giurisprudenza ivi richiamata). Sotto questo aspetto, la tesi dell’Ente territoriale poteva trovare riscontro nell’originaria formulazione dell’IRBA, alla luce di una legge delega che, in effetti, configurava il consumatore finale come soggetto passivo dell’IRBA, ma in seguito alla riforma del quadro normativo di riferimento operata dal legislatore con l’art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 i caratteri fondamentali del tributo sotto il profilo soggettivo sono radicalmente mutati e la Regione Campania si è adeguata alla riforma legislativa del 1995 (cfr. Cass., 1 giugno 2023, n. 15522; Cass., 19 aprile 2017, n. 9874), con la conseguenza che il concessionario, previsto in sede di delega come
un mero riscossore dell’imposta, è diventato il soggetto passivo dell’imposta, e il consumatore finale è il soggetto sui cui l’imposta viene traslata economicamente. Inoltre, in applicazione dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990, è l’amministrazione finanziaria che deve provare l’avvenuta traslazione del tributo, conformemente ai principi suesposti secondo cui l’avvenuta traslazione dell’imposta integra un fatto impeditivo di detto diritto, l’onere della cui prova ricade sull’amministrazione finanziaria e che non sussiste, nel caso di specie, un obbligo legale di rivalsa (come per esempio in materia di Iva dove l’art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi deve addebitare la relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o committente), con l’ulteriore corollario che il rigetto della richiesta di rimborso dell’IRBA (tributo ritenuto incompatibile con la direttiva 118/2008/CE) presuppone il concreto accertamento dell’avvenuta traslazione del tributo ad altri soggetti, oltre che dell’esistenza di un effettivo arricchimento che l’operatore conseguirebbe per effetto del rimborso (cfr. Cass., 26 ottobre 2022, n. 31679; Cass. 24 luglio 2019, n. 19976; Cass., 1 ottobre 2015, n. 19681), ciò che non scalfisce il principio, pure affermato e condiviso da questa Corte secondo cui «Nelle liti di rimborso, sia in tema di imposte dirette, che in tema di Iva, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della pretesa» (Cass.,14 dicembre 2023, n. 35042; Cass., 3 luglio 2023, n. 18644; Cass., 2 settembre 2022, n. 25999; Cass., 29 ottobre 2020, n. 23862; Cass., 27 giugno 2019, n. 17239). Dunque l’Amministrazione finanziaria, per escludere il diritto al rimborso, ha l’onere di dimostrare sia la traslazione su altri (nella specie, il consumatore finale) dell’onere economico costituito dal tributo chiesto in rimborso, sia l’arricchimento determinato dal rimborso in capo al
richiedente, che costituiscono entrambi non già fatti costitutivi dello stesso diritto al rimborso, bensì fatti impeditivi al suo riconoscimento, così da dover essere provati, in positivo, dall’Ente impositore. Né è condivisibile la prospettazione regionale (secondo cui la traslazione economica dell’imposta si è verificata per via della struttura normativa dell’IRBA, che comporta una traslazione automatica sul consumatore finale e che l’imposta per cui è causa era inclusa nel prezzo di vendita al dettaglio della benzina), stante da un lato l’assenza di un meccanismo di rivalsa obbligatorio e dall’altro che la traslazione dell’imposta non comporta automaticamente l’arricchimento del soggetto che chiede e ottiene il rimborso. La Corte di Giustizia Ue, in proposito, ha affermato che «Anche quando è provato che l’onere dell’imposta indebitamente riscossa è stato parzialmente o totalmente ripercosso sui terzi, il rimborso di questa all’operatore non gli procura necessariamente un arricchimento senza causa (v. sentenze RAGIONE_SOCIALE e a., cit., punto 29, e 21 settembre 2000, cause riunite C -441/98 e C -442/98, Michailidis, Racc. pag. 1 -7145, punto 34). Infatti, anche qualora l’imposta sia completamente inserita nel prezzo praticato, il soggetto passivo potrebbe subire un danno dovuto ad una diminuzione di volume delle sue vendite (v. cit. sentenze Comateb e a., punto 29, e Michailidis, punto 35). Pertanto, l’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa che il rimborso di un tributo indebitamente riscosso con riguardo al diritto comunitario causerebbe per un soggetto passivo potranno essere stabiliti soltanto al termine di un’analisi economica che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti. Di conseguenza, il diritto comunitario osta a che uno Stato membro neghi di rimborsare a un operatore un’imposta riscossa in violazione del diritto comunitario solo perché questa è stata inserita nel prezzo di vendita al dettaglio praticato da detto operatore e, pertanto, trasferita su terzi, il che implicherebbe necessariamente che il rimborso dell’imposta
causerebbe un arricchimento senza causa dell’operatore» e ha concluso che affermando che «le norme del diritto comunitario relative alla ripetizione dell’indebito devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale che rifiuti -il che tocca al giudice nazionale verificare -il rimborso di un’imposta incompatibile con il diritto comunitario solo perché questa è stata trasferita sui terzi, senza esigere che sia stabilita la misura dell’arricchimento senza causa che causerebbe per l’operatore il rimborso di detta imposta» (Corte Giustizia UE, 2 ottobre 2003, causa C -147/2001 ). Anche di recente, in tema di Iva, la Corte di Giustizia ha ribadito che l’assenza di perdita o di svantaggio finanziari non è necessariamente il corollario della traslazione integrale dell’Iva sul consumatore finale in quanto, anche in tale ipotesi, l’operatore economico può avere subito una perdita economica connessa alla diminuzione del volume delle sue vendite (Corte di Giustizia UE, sentenza 21 marzo 2024, causa C -606/22, che richiama Corte di Giustizia UE, del 10 aprile 2008, causa C -309/06)».
Questa sentenza, pur riguardando la Regione Campania, fissa principi di rilievo generale, desunti dalla normativa statale, in quanto l’IRBA « si configura come un tributo regionale proprio derivato» (Corte cost. n. 100 del 2024) e in tale categoria rientrano quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b), n. 1), della legge n. 42 del 2009 -la legge delega sul federalismo fiscale – sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ».
5. In conclusione, difettano i presupposti di cui all’art. 363 bis, comma 1, n. 1 c.p.c., non ricorrendo la ‘necessità’ della questione ed essendo, comunque, venuto meno il requisito della ‘novità’. Conclusivamente, quindi, il rinvio deve essere dichiarato inammissibile e gli atti devono essere restituiti al giudice rimettente.
p.q.m.
dichiara inammissibile il rinvio pregiudiziale;
ordina la restituzione degli atti alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Roma, 14 gennaio 2025