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Rinuncia finanziamento socio: quando è tassata?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4754/2024, ha stabilito che la rinuncia a un finanziamento da parte di un socio a favore della propria società deve essere soggetta a imposta di registro proporzionale (0,5%) come remissione di debito, e non a imposta fissa come conferimento. La decisione si basa sull’interpretazione ‘ab intrinseco’ dell’atto, valorizzando la sua natura giuridica testuale rispetto alla finalità economica. La Corte ha chiarito che un atto unilaterale del socio non può essere qualificato come ‘atto proprio della società’, categoria riservata alle decisioni degli organi assembleari.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rinuncia finanziamento socio: La Cassazione chiarisce la tassazione

La rinuncia finanziamento socio è una pratica comune nella vita delle imprese, spesso utilizzata per rafforzare la struttura patrimoniale di una società in difficoltà. Tuttavia, le implicazioni fiscali di tale operazione sono state a lungo oggetto di dibattito. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4754 del 22 febbraio 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale, stabilendo un principio di diritto destinato a orientare le future scelte di soci e amministratori.

I fatti del caso: La rinuncia al finanziamento del socio

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un noto imprenditore, socio unico di una S.p.A., che aveva erogato alla società un cospicuo finanziamento infruttifero. In un secondo momento, per evitare l’adozione di misure straordinarie a causa di perdite che avevano eroso il capitale sociale, il socio aveva dichiarato per iscritto di rinunciare a una parte consistente del proprio credito, pari a circa 129,5 milioni di euro.

La controversia: Imposta fissa o proporzionale?

L’operazione ha generato una controversia fiscale. Da un lato, l’Agenzia delle Entrate sosteneva che la rinuncia al credito costituisse una ‘remissione di debito’, un atto da assoggettare a imposta di registro in misura proporzionale (pari allo 0,50%) secondo quanto previsto dall’art. 6 della Tariffa allegata al D.P.R. 131/1986.

Dall’altro lato, il contribuente e le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano qualificato l’atto come un versamento in conto capitale, finalizzato a coprire le perdite. In questa ottica, l’operazione rientrerebbe tra gli ‘atti propri delle società’ disciplinati dall’art. 4 del medesimo decreto, soggetti a imposta di registro in misura fissa e non soggetti a registrazione se non in caso d’uso.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla rinuncia finanziamento socio

La Corte di Cassazione ha ribaltato le decisioni dei giudici di merito, accogliendo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria. Il ragionamento dei giudici si è fondato sull’interpretazione dell’art. 20 del Testo Unico sull’Imposta di Registro, il quale, nella sua formulazione attuale (frutto delle riforme del 2017 e del 2018), impone di qualificare un atto sulla base della sua ‘intrinseca natura e degli effetti giuridici’, prescindendo da elementi esterni o collegamenti con altri atti.

Applicando questo principio di interpretazione ab intrinseco, la Corte ha analizzato il testo della dichiarazione del socio. La scrittura recitava testualmente una ‘rinuncia a parte dell’erogazione del finanziamento’. Secondo i giudici, questa formulazione non lascia dubbi sulla natura giuridica dell’atto: si tratta di una remissione di debito (art. 1236 c.c.), non di un conferimento.

La distinzione tra atto del socio e atto della società

Il punto cruciale della sentenza risiede nella distinzione tra un atto posto in essere dal singolo socio e un ‘atto proprio della società’. Gli atti societari, disciplinati dall’art. 4 della Tariffa e soggetti a tassazione fissa, sono quelli che esprimono la volontà collettiva dell’organismo sociale, tipicamente attraverso una delibera assembleare. La rinuncia finanziamento socio, invece, è un atto unilaterale che, sebbene compiuto nell’interesse della società, promana dalla volontà individuale del socio e non da quella degli organi societari.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la qualificazione fiscale di un’operazione deve aderire strettamente alla sua forma giuridica, così come manifestata nel documento presentato per la registrazione. L’obiettivo economico del socio, per quanto lodevole (evitare la riduzione del capitale sociale), non può alterare la natura giuridica dell’atto. Poiché la scrittura conteneva una chiara e inequivocabile rinuncia a un credito, essa doveva essere tassata come tale. La pretesa del contribuente di assimilare tale atto unilaterale a un conferimento è stata respinta perché manca il presupposto fondamentale: una manifestazione di volontà dell’ente societario, come una delibera di aumento di capitale.

Le conclusioni

La sentenza n. 4754/2024 stabilisce un principio chiaro: la forma è sostanza ai fini dell’imposta di registro. La rinuncia finanziamento socio, se formalizzata come un atto unilaterale del socio stesso, è fiscalmente una remissione di debito e sconta l’imposta proporzionale dello 0,5%. Per ottenere l’applicazione dell’imposta fissa, è necessario che l’operazione sia inquadrata in un contesto societario formale, ad esempio attraverso una delibera assembleare che destini il credito del socio a un aumento di capitale o a una riserva specifica. Questa decisione impone a soci e professionisti una maggiore attenzione nella strutturazione e formalizzazione di queste operazioni di patrimonializzazione.

Come viene tassata la rinuncia a un finanziamento da parte di un socio?
Secondo la sentenza in esame, la rinuncia unilaterale del socio al suo credito verso la società è qualificata come remissione di debito e, pertanto, è soggetta all’imposta di registro in misura proporzionale dello 0,5% sull’importo rinunciato.

Perché la rinuncia del socio non è stata considerata un conferimento di capitale a tassazione fissa?
Perché, secondo la Corte, l’atto era unilaterale e promanava dalla volontà individuale del socio. Per essere considerato un conferimento o un atto societario soggetto a imposta fissa, avrebbe dovuto essere l’espressione della volontà collettiva della società, manifestata attraverso una delibera di un organo sociale, come l’assemblea.

L’intenzione del socio di ripianare le perdite della società modifica la natura fiscale dell’atto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’imposta di registro, l’atto deve essere valutato per la sua natura giuridica intrinseca e per gli effetti che produce, come risultano dal testo del documento. La finalità economica sottostante, se non si traduce in una forma giuridica coerente (come una delibera societaria), non è rilevante per la qualificazione fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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