Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8810 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
Cartella di pagamento II.DD. e IVA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25725/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente – contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 1835/21/2016, depositata in data 7 aprile 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
A seguito dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno d’imposta 1998 (divenuto definitivo in esito ad un giudizio conclusosi con la sentenza n. 34/20/08 della C.t.r. del Lazio,
depositata in data 2 aprile 2008), l’RAGIONE_SOCIALE -iscriveva a ruolo l’importo del quale il sig. NOME COGNOME, deceduto in data 1° luglio 2009, risultava debitore nei confronti del Fisco (per mancato pagamento di Imposte dirette e IVA). L’RAGIONE_SOCIALE provvedeva, dunque, ad estendere l’iscrizione a ruolo a carico di NOME COGNOME, figlio del de cuius , in qualità di erede (coobbligato in solido con la sorella, NOME COGNOME, anche ella erede). In data 20 dicembre 2010, la RAGIONE_SOCIALE notificava a NOME COGNOME la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA, recante un importo complessivo pari a € 28.031,90.
Avverso la cartella di pagamento e il ruolo ad essa sotteso, dopo aver chiesto l’annullamento in autotutela, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di RAGIONE_SOCIALE; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 144/01/2014, accoglieva il ricorso del contribuente, procedendo poi a compensare tra le parti le spese di lite.
Contro tale decisione proponeva appello l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche il contribuente, chiedendo l’inammissibilità e, in ogni caso, il rigetto dell’appello di parte.
Con sentenza n. 1835/21/2016, depositata in data 7 aprile 2016, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio, confermando la sentenza impugnata e condannandolo al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 febbraio 2024.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Motivazione apparente e illogica. Violazione e falsa applicazione art. 36, comma primo, n. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sulle eccezioni da esso addotte, quali: la legittimità del ruolo in quanto formato sulla base di un accertamento divenuto definitivo a seguito di giudicato (sentenza n. 34/20/08 della C.t.r. del Lazio, depositata in data 02 aprile 2008 e passata in giudicato in data 17 maggio 2009); l’intervenuta sospensione in via amministrativa della cartella di pagamento di cui è causa; l’incompatibilità tra gli atti dispositivi dei beni, equivalenti ad accettazione tacita, e la rinuncia all’eredità; la problematica della retroattività degli effetti e della natura costitutiva della eventuale sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria in corso, ex art. 2901 cod. civ.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r., una volta accertata la mancanza di qualità di erede, ha provveduto ad annullare il ruolo legittimamente emesso nei confronti del de cuius in quanto formato sulla base di un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, anziché annullare l’iscrizione a carico dei coobbligati solidali.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sulla domanda circa la validità
dell’iscrizione a ruolo effettuata nei confronti del defunto NOME COGNOME, così come sulla domanda di sospensione del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ., per essere in corso il giudizio pregiudiziale avente ad oggetto l’azione revocatoria innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha sospeso il processo, essendo la validità della rinuncia all’eredità connessa all’esito del giudizio sulla simulazione intentato dal concessionario RAGIONE_SOCIALE (e riguardante anche l’azione revocatoria) in relazione alla compravendita tra il venditore padre NOME COGNOME e gli acquirenti figli NOME e NOME COGNOME, giudizio che risultava essere quindi pregiudiziale.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha rilevato che, una volta accertata l’inefficacia dell’atto di vendita, i figli NOME e NOME COGNOME non avrebbero potuto più far valere il loro titolo d’acquisto nei confronti dell’ufficio, creditore del padre de cuius , e, dunque, che il compimento di atti di gestione dei beni acquisiti, non quali acquirenti, ma quali chiamati all’eredità, avrebbe determinato l’invalidità o inefficacia della rinuncia all’eredità (revocabile fin quando il diritto di accettarla non sia prescritto).
I primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per ragioni di stretta connessione oggettiva, sono infondati.
A mezzo di essi l’RAGIONE_SOCIALE si duole dell’illogicità e lacunosità della motivazione nonché dell’erroneo annullamento
dell’iscrizione a ruolo RAGIONE_SOCIALE imposte dovute dal defunto sig. NOME COGNOME.
La lettura della pronuncia di seconde cure, tuttavia, non appare illogica né carente, ed oltretutto perviene, al pari della pronuncia di prime cure, all’annullamento della cartella di pagamento e dell’iscrizione a ruolo a carico dei presunti eredi, in particolare, per il caso d’interesse, a carico del sig. NOME COGNOME, e non all’annullamento dell’iscrizione a ruolo a carico del de cuius sig. NOME COGNOME.
2.1. A ben vedere, invero, i Giudici di seconde cure sono pervenuti ad una conclusione logica e coerente, partendo dal presupposto che il contribuente chiamato ad assolvere il debito fiscale in qualità di coobbligato avesse rinunciato all’eredità; la rinuncia, difatti, oggetto di alcuna impugnazione o declaratoria di nullità sul piano civile, ha piena validità in ambito fiscale e non può essere superata a mezzo di meri ragionamenti presuntivi. La rinuncia all’eredità, per effetto della sua caratteristica retroattività al momento dell’apertura della successione (articolo 521 del Codice civile), rende il chiamato all’eredità non responsabile del debito tributario del defunto, anche se la rinuncia intervenga dopo che, in epoca successiva all’apertura della successione, venga notificato un avviso di liquidazione, il quale sia poi divenuto definitivo per mancata impugnazione: la ragione è che, per regola RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità per i debiti ereditari (compresi quelli tributari) grava su chi, accettando l’eredità, assume la qualità di erede e non grava sul ‘semplice’ chiamato all’eredità.
2.2. Se l’Amministrazione intende far valere l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità (la quale impedirebbe l’esercizio della facoltà di rinuncia all’eredità), deve fornirne la prova (Cass., n. 24317 del 2020). Nel caso di specie, l’Amministrazione ha sollevato l’eccezione di omessa pronuncia circa gli atti dispositivi compiuti dal contribuente, ritenendoli incompatibili con la rinuncia
all’eredità; trattavasi, tuttavia, di atti relativi all’anno 2006, avvenuti ben tre anni prima dell’apertura della successione, pertanto inidonei a privare di valore l’atto di rinuncia del sig. COGNOME.
2.3. Oltretutto, la pronuncia censurata non appare viziata sul piano dell’ error in procedendo che l’Ufficio lamenta ‘avendo la C.t.r. omesso di pronunciarsi su eccezioni quali la legittimità del ruolo in quanto formato sulla base di un accertamento divenuto definitivo a seguito di giudicato (sentenza n. 34/20/08 della C.t.r. del Lazio, depositata in data 02 aprile 2008 e passata in giudicato in data 17 maggio 2009); l’intervenuta sospensione in via amministrativa della cartella di pagamento di cui è causa; l’incompatibilità tra gli atti dispositivi dei beni, equivalenti ad accettazione tacita, e la rinuncia all’eredità; la problematica della retroattività degli effetti e della natura costitutiva della eventuale sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria in corso, ex art. 2901 cod. civ.’
2.4. La C.t.r., difatti, si è espressa chiaramente sulle eccezioni censurate, dando altresì atto RAGIONE_SOCIALE ragioni poste a fondamento del rigetto RAGIONE_SOCIALE stesse; nella pronuncia, invero, si legge «L’Amministrazione finanziaria sostiene che l’atto di “rinuncia all’eredità” sottoscritto dal Sig. NOME COGNOME doveva (e dev’essere) considerato invalido ed inefficace, in quanto sottoscritto dopo il compimento, da parte sua, di atti di gestione (nella specie: l’acquisto degli immobili dal padre) compiuti proprio in qualità di “erede”. Ma la tesi si appalesa destituita di ogni fondamento. Ed invero, gli atti di acquisto degli immobili sono stati stipulati nel mese di luglio del 2006, e cioè ben prima (tre anni prima) dell’apertura della successione, avvenuta nel luglio del 2009; allorquando, cioè, gli acquirenti non avevano acquistato la qualità di (e non potevano essere considerati in alcun modo) “eredi” del venditore. Ne consegue che l’atto di rinuncia all’eredità è valido ed efficace. In ogni caso non risulta che alla data di
“estensione” a carico del Sig. NOME COGNOME dell’iscrizione a ruolo (disposta dall’RAGIONE_SOCIALE a seguito del decesso del padre del predetto), l’atto di rinuncia all’eredità fosse stato invalidato (id est: annullato o dichiarato nullo), in sede di giudizio civile, dalla competente Autorità giudiziaria. Sicché non si vede come l’Amministrazione finanziaria abbia potuto considerarlo (e possa pretendere che venga considerato) ‘tamquam non esset’ . Né, d’altra parte, allo stato degli atti può assumere rilevanza la tesi anch’essa propugnata dall’Amministrazione finanziaria – secondo cui la vendita degli immobili del Sig. NOME COGNOME ai propri figli costituirebbe un “atto in frode ai creditori”. Ed invero, a parte il fatto che ciò non è stato giudizialmente accertato (e men che mai risultava accertato alla data di apertura della successione né alla data dell’illegittima estensione dell’iscrizione a ruolo nei confronti del Sig. NOME COGNOME), non si vede come l’eventuale invalidazione della vendita in questione potrebbe incidere sull’atto di rinuncia all’eredità rendendolo automaticamente parimenti invalido. Dalle superiori osservazioni consegue che, non avendo acquistato la qualità di “erede”, li Sig. NOME COGNOME non poteva essere considerato responsabile per le obbligazioni tributarie contratte da padre. E che ‘rebus sic stantibus’ – non potrà mai esserlo; a meno che (e/o comunque fintantoché) la ‘rinuncia all’eredità’ da lui sottoscritta non venga giudizialmente invalidata. Non resta pertanto che concludere che l’argomentazione del Giudice di primo grado – che ha osservato che allo stato degli atti “la rinuncia all’eredità è atto valido” ed idoneo a far sì che i figli del de cuius “non assumano la qualità di eredi, e, pertanto, di coobbligati” – non appare censurabile sotto alcun profilo. E che pertanto, assorbito quant’altro, l’appellata sentenza meriti condivisione e vada confermata in toto».
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato parzialmente.
Con esso l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi sulla domanda circa la validità dell’iscrizione a ruolo effettuata nei confronti del defunto NOME COGNOME, così come sulla domanda di sospensione del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ., per essere in corso il giudizio pregiudiziale avente ad oggetto l’azione revocatoria innanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
3.1. E’ pacifico che, al momento del decesso in data 1° luglio 2009, NOME COGNOME risultava nullatenente, tuttavia veniva riscontrato che il contribuente si era di fatto spogliato di tutti i suoi averi (una villa e due locali C/3) in data 4 luglio 2006 con atto ai rogiti per notar Lanzillo n. rep. 19. 925, con il quale, unitamente alla moglie NOME COGNOME, aveva venduto ai due figli NOME e NOME COGNOME la nuda proprietà di tutti i suoi beni per il prezzo pattuito di € 300.00,00; le modalità di corresponsione erano dettagliatamente descritte ossia, relativamente alla somma di € 99.610,23, veniva redatto apposito atto di quietanza, con il quale i venditori dichiaravano di aver ricevuto ratealmente € 20.000,00, e che i rimanenti € 78.610,23 erano riconosciuti per la futura assistenza da parte dei figli. Orbene, l’Ufficio, ritenendo che la vendita fosse stata effettuata in frode all’Erario, in quanto l’operazione negoziale veniva effettuata quando già sul contribuente NOME COGNOME gravavano importanti crediti tributari (11 cartelle notificate da RAGIONE_SOCIALE, per il complessivo importo di euro 782.985,36), intraprendeva azione revocatoria e di simulazione al fine di far dichiarare inefficaci le predette operazioni negoziali; procedimento che è ancora in corso.
3.2. L’Ufficio, quindi, ha proposto la doglianza relativa alla mancata pronuncia da parte della C.t.r. sulla domanda di dichiarare la legittimità del ruolo a carico del de cuius invece dichiarato illegittimo dalla C.t.p. che aveva accolto il ricorso del chiamato all’eredità. Sul precipuo punto la C.t.r. ha pronunciato soltanto sulla
questione della responsabilità solidale del defunto NOME COGNOME non ravvisando alcun rapporto di pregiudizialità con la pendenza del giudizio civile revocatorio e soprattutto sulla domanda formulata circa l’iscrizione al ruolo effettuato nei confronti del defunto NOME COGNOME, iscrizione la cui legittimità era assolutamente evidente perché la pronuncia sulla questione della legittimità del ruolo non può considerarsi assorbita dalla pronuncia sulla responsabilità solidale del ricorrente. In altri termini, la domanda dell’Ufficio non disaminata non è priva di effetti sulla riscossione del credito erariale ed infatti, con l’appello si era operata una distinzione tra la legittimità del ruolo a carico del defunto NOME COGNOME e la responsabilità solidale degli eredi NOME e NOME COGNOME perché, ove fosse stata confermata la legittimità del ruolo in capo al de cuius, in caso di buon esito dell’azione revocatoria, il creditore erariale avrebbe potuto promuovere, ai sensi dell’articolo 2902 cod. civ. le azioni esecutive o conservative sui beni che avevano formato oggetto dell’atto impugnato in revocatoria nei confronti dei terzi acquirenti ossia proprio gli eredi COGNOME.
3.3. In giurisprudenza, si ritiene che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n.3, c.p.c., o del vizio di motivazione ex art. 360, n.5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo ”
ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (cf. ex plurimis : Cass. 13/10/2022, n. 29952).
3.4. Va, invece, disattesa la domanda di sospensione ex art. 295 cod. proc. civ. costituendo giurisprudenza pacifica quella secondo cui la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 cod. proc. civ. ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicché può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnicogiuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336, comma 2, c.p.c. sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. (Cass. 15/05/2019, n. 12999).
Dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso, discende l’assorbimento del quarto e del quinto motivo.
In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, rigettati il primo ed il secondo motivo ed assorbiti il quarto ed il quinto; la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo e, assorbiti il quarto ed il quinto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio affinché, in diversa
composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il 20 febbraio 2024.