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Rinuncia al ricorso: spese legali e conseguenze

Una contribuente, dopo aver impugnato un accertamento sintetico basato sul redditometro, ha presentato rinuncia al ricorso in Cassazione. La Corte Suprema ha dichiarato estinto il giudizio. Tuttavia, in assenza di accettazione della rinuncia da parte dell’Agenzia delle Entrate e di prova del perfezionamento di una definizione agevolata, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese legali in base al principio di causalità.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rinuncia al Ricorso: Chi Paga le Spese se la Controparte Non Accetta?

La decisione di presentare una rinuncia al ricorso per Cassazione può sembrare una via d’uscita per chiudere una lunga controversia, specialmente in ambito tributario. Tuttavia, un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che tale atto non è privo di conseguenze, soprattutto per quanto riguarda le spese processuali. Se la controparte non accetta la rinuncia, il giudice deve decidere sulla base del principio di causalità. Vediamo i dettagli di questo interessante caso.

I Fatti del Caso: Dall’Accertamento Sintetico al Ricorso

La vicenda ha origine da due avvisi di accertamento notificati a una contribuente per gli anni d’imposta 2005 e 2006. L’Agenzia delle Entrate, utilizzando il meccanismo dell’accertamento sintetico (noto come “redditometro”), aveva rideterminato il reddito della signora, contestando un’ingente differenza rispetto a quanto dichiarato. L’Ufficio basava le sue pretese su alcuni indicatori di capacità contributiva: il possesso di un immobile ad uso abitativo, il pagamento di rate di mutuo, l’acquisto di un’auto di grossa cilindrata e di un altro immobile.

Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione alla contribuente, annullando gli avvisi. L’Agenzia delle Entrate, però, non si è arresa e ha proposto appello. La Commissione Tributaria Regionale ha ribaltato la decisione di primo grado, accogliendo le ragioni del Fisco e condannando la contribuente anche al pagamento delle spese di lite.

Il Contenzioso in Cassazione e l’Imprevista Rinuncia al Ricorso

A questo punto, la contribuente ha deciso di giocare l’ultima carta, proponendo ricorso per Cassazione e lamentando, tra le altre cose, un’errata applicazione della normativa sul redditometro e un’ingiusta attribuzione dell’onere della prova interamente a suo carico.

Il colpo di scena è arrivato poco prima della discussione: il nuovo difensore della contribuente ha depositato un atto di rinuncia al ricorso, sostenendo che la sua cliente aveva aderito a una definizione agevolata dei carichi pendenti. Tuttavia, questo atto strategico non ha prodotto l’effetto sperato.

Le Motivazioni della Corte: Principio di Causalità e Mancata Accettazione

La Corte di Cassazione ha prima di tutto preso atto della rinuncia al ricorso. Tuttavia, ha sottolineato due elementi cruciali. In primo luogo, non era stata fornita alcuna prova documentale del perfezionamento della procedura di definizione agevolata. In secondo luogo, e ancora più importante, l’Agenzia delle Entrate non aveva formalmente accettato la rinuncia.

I giudici hanno spiegato che, in assenza di accettazione della rinuncia, non si può semplicemente dichiarare estinto il giudizio e compensare le spese. Si deve invece applicare il “principio di causalità”. Secondo questo principio, la parte che ha dato origine al giudizio (in questo caso, la ricorrente che ha promosso l’impugnazione) e che poi vi rinuncia, deve farsi carico delle spese sostenute dalla controparte, che è stata “costretta” a difendersi. La dichiarazione di rinuncia non conteneva, inoltre, alcuna richiesta di compensazione delle spese, rafforzando la posizione dell’Agenzia. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato estinto il giudizio ma ha condannato la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali, liquidate in 3.000 euro.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza offre un importante monito per i contribuenti e i loro difensori. La rinuncia al ricorso è un atto che deve essere gestito con attenzione. Non è sufficiente dichiarare di aver aderito a una sanatoria per essere esonerati dalle spese legali. È fondamentale non solo documentare il perfezionamento della procedura agevolata, ma anche, e soprattutto, cercare di ottenere l’accettazione della rinuncia da parte della controparte. In mancanza di questi elementi, il rischio concreto è quello di dover pagare le spese legali del giudizio che si è scelto di abbandonare, trasformando una potenziale via d’uscita in un’ulteriore spesa.

Cosa succede se si rinuncia a un ricorso per cassazione ma la controparte non accetta la rinuncia?
Se la controparte non accetta la rinuncia, il giudice dichiara estinto il giudizio ma deve regolare le spese processuali. In base al principio di causalità, la parte che ha rinunciato è generalmente condannata a pagare le spese legali sostenute dalla controparte.

Chi paga le spese legali in caso di rinuncia al ricorso?
Le spese legali gravano sul rinunciante, a meno che non vi sia un’accettazione della rinuncia da parte della controparte che includa un accordo sulla compensazione delle spese. In assenza di accettazione, si applica il principio di causalità e chi ha promosso il giudizio (e poi rinunciato) paga.

La sola dichiarazione di aver aderito a una definizione agevolata (es. “rottamazione”) è sufficiente per evitare la condanna alle spese in caso di rinuncia?
No. Secondo la sentenza in esame, non è sufficiente. È necessario fornire la documentazione che prova il perfezionamento della definizione agevolata. In assenza di tale prova e di accettazione della rinuncia, il rinunciante può essere comunque condannato a pagare le spese processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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