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Rinuncia al ricorso: spese compensate dopo la pace fiscale

Una società in liquidazione, dopo aver aderito alla definizione agevolata di una controversia tributaria, ha presentato rinuncia al ricorso pendente in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato estinto il processo e, in deroga alla regola generale, ha compensato integralmente le spese legali tra le parti. La decisione si fonda sulla ratio della normativa sulla pace fiscale, che sarebbe contraddetta da una condanna alle spese a carico del contribuente che accetta la definizione.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rinuncia al Ricorso Dopo la Pace Fiscale: la Cassazione Compensa le Spese

Quando un contribuente decide di aderire a una definizione agevolata, comunemente nota come “pace fiscale”, e di conseguenza presenta una rinuncia al ricorso pendente, chi paga le spese legali? Con l’ordinanza n. 2541/2024, la Corte di Cassazione fornisce un chiarimento cruciale: le spese vanno compensate. Questa decisione si discosta dalla regola generale e si allinea con lo spirito conciliativo delle norme sulla definizione agevolata, offrendo un importante vantaggio ai contribuenti.

I Fatti del Caso

Una società in liquidazione aveva impugnato un avviso di liquidazione per imposte di registro e ipocatastali, emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito della revoca di un’agevolazione fiscale sull’acquisto di un terreno edificabile. Se in primo grado i giudici avevano dato ragione alla società, la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia.

Di fronte a questa sentenza sfavorevole, la società ha presentato ricorso per cassazione. Tuttavia, durante lo svolgimento del giudizio di legittimità, la società ha colto l’opportunità offerta dalla normativa sulla definizione agevolata delle controversie tributarie (L. n. 130/2022), presentando la relativa domanda e versando l’importo dovuto. A seguito di ciò, ha formalizzato la rinuncia al ricorso pendente dinanzi alla Suprema Corte.

La Rinuncia al Ricorso e la Compensazione delle Spese

L’esito naturale della rinuncia al ricorso è l’estinzione del processo, come previsto dall’art. 391 del codice di procedura civile. La questione più delicata, però, riguardava la gestione delle spese di giudizio. La regola generale (art. 391, secondo comma, c.p.c.) prevede che la parte che rinuncia al ricorso debba rimborsare le spese legali alla controparte, salvo diverso accordo.

In questo caso, la Corte di Cassazione ha deciso di derogare a tale principio. I giudici hanno stabilito che le spese del giudizio di legittimità dovessero essere integralmente compensate tra le parti. Questa scelta rappresenta il cuore della decisione e si fonda su un’interpretazione logica e sistematica della legge.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che una condanna alle spese a carico del contribuente che aderisce alla definizione agevolata sarebbe in contrasto con la ratio stessa di tale istituto. La finalità della “pace fiscale” è quella di incentivare la chiusura delle liti pendenti, offrendo al contribuente una via d’uscita vantaggiosa. Imporre anche il pagamento delle spese legali della controparte vanificherebbe in parte questo beneficio, scoraggiando l’adesione a tali strumenti deflattivi del contenzioso.

In sostanza, secondo la Cassazione, l’obiettivo del legislatore è quello di chiudere definitivamente la partita tra Fisco e contribuente. Se il contribuente accetta di pagare l’importo previsto dalla sanatoria, non è coerente con questo obiettivo gravare su di lui con ulteriori costi processuali. La compensazione delle spese diventa, quindi, la soluzione più equa e in linea con lo spirito della normativa.

Inoltre, la Corte ha specificato che non ricorrono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato (il cosiddetto “doppio contributo”). Tale misura, avendo natura sanzionatoria, si applica solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non può essere estesa per analogia a casi diversi, come quello dell’estinzione del giudizio per rinuncia.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale favorevole al contribuente. Stabilisce un principio di coerenza tra gli istituti della definizione agevolata e la disciplina delle spese processuali. In pratica, chi sceglie la via della “pace fiscale” e, di conseguenza, effettua una rinuncia al ricorso, può contare sulla compensazione delle spese, senza temere un’ulteriore condanna economica. Si tratta di un’importante tutela che rende più appetibile e prevedibile il ricorso agli strumenti di definizione agevolata, favorendo la riduzione del contenzioso tributario pendente.

Cosa succede a un processo tributario se il contribuente aderisce alla definizione agevolata e rinuncia al ricorso?
Il processo si estingue. La Corte, prendendo atto della rinuncia conseguente alla definizione della lite, dichiara l’estinzione del giudizio, chiudendo così la controversia in modo definitivo.

Se un contribuente rinuncia al ricorso dopo aver aderito alla pace fiscale, deve pagare le spese legali all’Agenzia delle Entrate?
No, di norma le spese vengono integralmente compensate. La Corte di Cassazione ha chiarito che condannare il contribuente al pagamento delle spese contrasterebbe con la finalità della definizione agevolata, che mira a chiudere la lite in modo vantaggioso per chi vi aderisce.

In caso di estinzione del giudizio per rinuncia, è dovuto il pagamento del doppio del contributo unificato?
No. La Corte ha specificato che il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato è una misura di natura eccezionale e sanzionatoria, applicabile solo nei casi di rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, e non in caso di estinzione per rinuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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