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Rinuncia al ricorso: quando l’appello è inammissibile

Un contribuente, dopo aver impugnato un avviso di accertamento fino in Cassazione, presenta una memoria contenente una rinuncia al ricorso. Nonostante un tentativo fallito di definizione agevolata per atti diversi, la Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, sottolineando che la rinuncia è un atto unilaterale che non necessita dell’accettazione della controparte.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rinuncia al ricorso: La Cassazione chiarisce l’inammissibilità per carenza d’interesse

L’ordinanza n. 1301/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla gestione dei contenziosi tributari, in particolare sull’istituto della rinuncia al ricorso. Anche quando un tentativo di definizione agevolata fallisce, una dichiarazione unilaterale di rinuncia contenuta in una memoria processuale può essere sufficiente a chiudere definitivamente il giudizio, portando a una declaratoria di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione.

I fatti del caso: Un percorso giudiziario complesso

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente per maggiori imposte (IVA, IRPEF e IRAP) relative all’anno 2007. Il contribuente impugna l’atto prima dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale e poi, a seguito della sconfitta in primo grado, presso la Commissione Tributaria Regionale, che conferma la legittimità dell’operato dell’Ufficio. La CTR motiva la sua decisione ritenendo l’avviso di accertamento congruamente motivato e fondato su elementi probatori non superati dal contribuente.

Non arrendendosi, il contribuente propone ricorso per cassazione. Durante questo giudizio, presenta una memoria con cui chiede di dichiarare estinto il processo per cessata materia del contendere, a seguito della sua adesione a una definizione agevolata. Tuttavia, la documentazione allegata si riferisce a cartelle di pagamento diverse dall’avviso di accertamento oggetto della causa.

La rinuncia al ricorso e la decisione della Corte

L’elemento cruciale, che determina l’esito del giudizio, non è il fallito tentativo di definizione agevolata, ma un’altra dichiarazione contenuta nella stessa memoria: la rinuncia al ricorso e alla decisione nel merito.

Il tentativo di definizione agevolata

La Corte rileva immediatamente la discrasia tra l’atto impugnato (l’avviso di accertamento n. TC501CE01510/2012) e gli atti oggetto della definizione agevolata (due diverse cartelle di pagamento). Poiché non vi è alcun collegamento tra la lite pendente e gli atti sanati, i giudici escludono la possibilità di dichiarare l’estinzione del giudizio. La richiesta del contribuente, su questo punto, viene rigettata.

L’effetto decisivo della rinuncia

Nonostante ciò, la Corte valorizza la volontà, chiaramente espressa nella memoria, di rinunciare alla prosecuzione del giudizio. Questa dichiarazione unilaterale, ritualmente comunicata alla controparte, viene interpretata come causa di una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione. In altre parole, manifestando di non voler più una sentenza nel merito, il ricorrente ha reso inutile la prosecuzione del processo. Di conseguenza, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Le motivazioni della Cassazione sulla rinuncia al ricorso

La Corte di Cassazione fonda la sua decisione su principi procedurali consolidati. In primo luogo, ribadisce che la rinuncia al ricorso è un atto unilaterale che non necessita di alcuna accettazione da parte della controparte per produrre i suoi effetti. La semplice comunicazione formale alla cancelleria e alla controparte è sufficiente a rendere la rinuncia efficace.

In secondo luogo, la pronuncia di inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse ha conseguenze pratiche favorevoli per il ricorrente. La Corte, infatti, non dispone nulla sulle spese di giudizio, dato che l’Agenzia delle Entrate si era costituita al solo fine di un’eventuale discussione orale. Ancora più importante, esclude l’applicazione del cosiddetto ‘raddoppio del contributo unificato’, una sanzione prevista per chi perde un’impugnazione. Poiché l’inammissibilità deriva da una scelta volontaria del ricorrente (la rinuncia) e non da una valutazione negativa sul merito del ricorso, non sussistono i presupposti per tale sanzione.

Conclusioni: Implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza evidenzia una strategia processuale che può rivelarsi utile per i contribuenti. Quando si intende abbandonare un contenzioso, la rinuncia al ricorso si dimostra uno strumento efficace e diretto. A differenza di una definizione agevolata, che richiede il collegamento specifico con l’atto impugnato, la rinuncia opera in modo autonomo. Essa porta a una declaratoria di inammissibilità che, come visto, può evitare al contribuente l’addebito delle spese legali della controparte e il raddoppio del contributo unificato, chiudendo la controversia in modo definitivo e con costi potenzialmente inferiori.

Una rinuncia al ricorso necessita dell’accettazione della controparte?
No, secondo la Corte, la rinuncia al ricorso è un atto unilaterale che non richiede l’accettazione della controparte per essere efficace e portare all’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Cosa succede se si tenta una definizione agevolata per atti fiscali diversi da quelli oggetto del giudizio?
Se la definizione agevolata riguarda atti impositivi non collegati a quello impugnato, essa non può determinare l’estinzione del giudizio in corso, poiché manca il nesso diretto tra la lite e la sanatoria effettuata.

Se un ricorso viene dichiarato inammissibile per rinuncia, si deve pagare il doppio del contributo unificato?
No, in questo caso la Corte ha stabilito che, siccome l’inammissibilità deriva da una rinuncia volontaria del ricorrente e non da una reiezione nel merito, non sussistono i presupposti per imporre il pagamento del raddoppio del contributo unificato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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